
Tratto da Financial Times scelto e tradotto da Gustavo Kulpe
Alcuni anni di storia – 1848, 1917, 1968, 1989 – evocano immagini di proteste di strada, manifestazioni di massa e tumulti rivoluzionari. Quando gli storici mettono in prospettiva il 2019, possono anche considerarlo un anno vintage a causa dei disordini popolari.
In termini di pura diffusione geografica, è difficile pensare a un altro anno in grado di competere con questo. Proteste abbastanza massicce da alterare la vita quotidiana e provocare il panico nel governo sono scoppiate a Hong Kong, India, Cile, Bolivia, Ecuador, Colombia, Spagna, Francia, Repubblica Ceca, Russia, Malta, Algeria, Iraq, Iran, Libano e Sudan – e l’elenco non è completo.
Eppure tutta questa turbolenza sfugge finora agli sforzi per trovare una spiegazione globale convincente. Uno dei motivi della carenza di analisi è che le ribellioni del 2019 hanno avuto luogo in posti parecchio disparati – in città globali benestanti come Hong Kong e Barcellona, come in nazioni povere e relativamente isolate come il Sudan e il Venezuela. Ciò rende più difficile unire i punti e più facile alimentare dubbi verso l’idea che stia accadendo qualcosa di globale. Non c’è stato nemmeno un singolo momento iconico: nessuna caduta del muro di Berlino o l’assalto al palazzo d’inverno a caratterizzare la situazione.
Ma se le rivolte del 2019 non hanno ancora rovesciato nessun importante leader mondiale o nessun governo, hanno certamente ottenuto qualche “scalpo”. Proteste di piazza e scioperi hanno visto Evo Morales, il presidente della Bolivia, costretto a lasciare l’incarico a novembre, dopo 13 anni al potere.
Altri leader politici sono stati abbattuti da manifestazioni di massa come Abdelaziz Bouteflika in Algeria e Omar al-Bashir in Sudan – entrambi caduti in aprile dopo decenni di potere. (Nel caso di Al-Bashir, i militari hanno organizzato un colpo di stato, dopo mesi di proteste). Il primo ministro libanese Saad al-Hariri è stato costretto a lasciare l’incarico alla fine di ottobre, dopo due settimane di proteste di massa. Il mese successivo, anche Adel Abdul Mahdi, primo ministro iracheno, si è dimesso, dopo diversi mesi di tumulti. Sia in Iran che in Iraq, le manifestazioni di massa hanno incontrato livelli scioccanti di violenza, con centinaia di morti nelle strade in entrambi i paesi.
Il fatto che diversi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente siano stati sconvolti da manifestazioni, spesso nello stesso periodo, mostra che ci sono davvero connessioni tra gli sconvolgimenti popolari nei diversi paesi. In due regioni – Medio Oriente e America Latina – le proteste sono sufficientemente diffuse in maniera tale da costituire un vero sovvertimento della regione, in cui gli eventi in un paese stanno chiaramente ispirando l’emulazione nei paesi vicini, in un modo che ricorda la Primavera araba. Lo slogan reso famoso allora – “la gente vuole la caduta del regime” – viene nuovamente proposto ora. La lingua comune in America Latina ha anche permesso a notizie e immagini di disordini di riversarsi facilmente oltre i confini. Nel mondo connesso di oggi, idee e slogan possono persino saltare i continenti senza sforzo, diffondendosi tramite smartphone. Alcuni manifestanti catalani sono stati visti portare la bandiera di Hong Kong e hanno adottato tattiche simili – come occupare un aeroporto.
La scintilla che innesca le manifestazioni di massa varia da paese a paese. In alcuni luoghi, il fattore scatenante è stato di tipo economico, come un aumento delle tariffe della metropolitana in Cile o una proposta di tassa su WhatsApp in Libano. In altri luoghi, il motivo è stato più chiaramente politico – come le nuove leggi sulla cittadinanza e sui rifugiati in India o una proposta di legge sull’estradizione a Hong Kong.
Ci sono anche alcuni temi e tattiche comuni che emergono in un luogo dopo l’altro: proteste per la durezza della vita quotidiana; disgusto per la corruzione e verso l’oligarchia; accuse secondo cui l’élite politica ed economica del paese è fuori dal mondo e non risponde alle aspettative dei cittadini.
I social media sono un potente strumento organizzativo ovunque, consentendo ai manifestanti di assemblare una folla con rimostranze, slogan e tattiche comuni. Nel tentativo di impedire che le proteste diventino virali attraverso i social media, l’India ha chiuso le comunicazioni mobili in alcune città colpite da disordini di massa.
Ma mentre le grandi manifestazioni sono chiaramente più facilmente evocate dai social media, questo nuovo marchio di rivolta “senza leader” può anche soffrire a causa della sua spontaneità. Gli hashtag e i meme in Internet sono efficaci nel portare le persone in strada rapidamente, ma possono mascherare una mancanza di organizzazione e strategia.
Probabilmente in conseguenza di ciò, relativamente poche dimostrazioni sono finora riuscite a rovesciare i leader – alcune di quelle che hanno avuto successo, come quelle in Algeria, sono continuate anche dopo un cambio nominale del governo.
Ma le proteste di massa del 2019 mostrano pochi segni di cessazione. In effetti, con l’avvicinarsi della fine dell’anno, potrebbero aumentare di forza – tipo le enormi dimostrazioni che stanno sfidando il governo indiano. La risposta dell’amministrazione Modi è stata goffa e violenta – con eminenti intellettuali arrestati davanti alle telecamere e la polizia che usa reazioni brutali contro gli studenti.
Tutto ciò potrebbe facilmente alimentare una spirale di disordini in India nel corso del nuovo anno. Anche le proteste di Hong Kong sembrano destinate a crescere, mentre anche gli scontri in Spagna e Cile potrebbe intensificarsi. Soprattutto, come hanno dimostrato gli ultimi 12 mesi, i disordini sociali si stanno ripetutamente proponendo in luoghi inaspettati e per motivi imprevedibili.
Quindi, mentre il 2019 si propone già per un posto di spicco negli annali delle proteste di strada, è possibile che l’anno davvero sconvolgente sia il 2020.