Originariamente pubblicato su Il blog di Alceste  http://alcesteilblog.blogspot.com/2019/02/avemo-vinto-poppolo-elezioni-e-illusioni.html

Il veleno più insinuante che non riusciamo a diluire: la democrazia liberale.

Questo concetto ce l’hanno marchiato a fuoco in anni felici e ora, come il tatuaggetto di una nota canzoncina, è impossibile toglierlo. Se ne può fare uno più grosso, certo, che inglobi il precedente, ma cancellare quella patacca … non si può, non si può, signora mia …

La democrazia è bella, giusta e, sulla carta, uno vale uno, e poi c’è la libertà, la libertà di fare cosa non lo sappiamo, ma siamo liberi. Liberi di partecipare a un concorso pubblico con eguali diritti e possibilità? No, quello no. Liberi di scegliere un lavoro? Ma se è tanto che ne hai uno, pur miserabile. Liberi di far sì che i figli abbiano le stesse possibilità degli altri? No, neanche questo. Liberi di godere i diritti di una sanità eguale per tutti? No, non questo. Liberi di scegliere il Presidente della Repubblica, i magistrati, il capo della polizie? No. Liberi di scegliere i dirigenti di Equitalia, dell’Agenzia delle Entrate, dei ministeri, delle ambasciate? Della RAI? No, caro signore, è il patriziato a selezionare tali individui … per via endogamica, incestuosa … per non avere sorprese … e poi non si può certo ricorrere al poppolo per così poco … lo si disturba, mi capisce? Allora … allora, ecco l’azzardo … io la butto là … forse, forse … liberi di votare? Bravo, proprio così!Il voto, le elezioni. Ecco, questa è la parola chiave per comprendere l’essenza della democrazia postmoderna. Liberi di votare. Infatti le elezioni vengono definite “libere”. Libere elezioni. Nei luoghi in cui si vota c’è sicuramente la libertà. Se il voto si conforma a ciò che lorsignori avevano in mente allora il voto è democraticissimo, liberissimo e il trionfo della libertà assicurato. Gli Inglesi, a esempio, avevano sì votato, ma in modo obliquo … mancando il bersaglio, diciamo. Siccome, però, siamo in una democrazia, e liberale per giunta, democrazia che dà piena libertà all’individuo, la libertà di votare ciò che vuole il potere, allora si voterà un’altra volta. Avete ben compreso?

E però tutti amano il voto. Anche i più selezionati controinformatori amano il voto perché le proprie frustrazioni potranno scaricarsi come la corrente elettrica si scarica attraverso un parafulmine. Il tifo, signori, il tifo è il collante dei coglioni di tutto il mondo, la trappola che suscita la sensazione di avercela fatta contro i nemici. Abbiamo vinto, li abbiamo battuti, non importa come, il VAR ci ha dato ragione, abbiamo comprato l’arbitro, ci siamo dopati, ma il nemico ha la testa china, abbiamo vinto!

Cos’è il maggioritario? Un altro trucco angloamericano che ci siamo messi in casa quando l’Italia fu abbattuta dalla magistratura. Il potere ordì da subito il teatrino: un paio di insospettabili pupazzi a catalizzare le delusioni degli elettori scioccati da Tangentopoli a proporre, pensate un poco, la riforma del sistema elettorale! E così, sotto gli auspici di un silente Sergio Mattarella, fu varata la legge maggioritaria. I burattini entravano nel cono di luce del palco con frequenza da commedia dell’arte: il professore di diritto amministrativo, un rispettabile vegliardo, e poi i giornalisti stranieri (ci insegnavano, a noi primitivi, la democrazia), i saggisti tedeschi e americani (idem come sopra), quarte linee di PCI e DC, presentatori, arruffapoppolo: tutti per la rivoluzione. E la rivoluzione qual era? Il maggioritario, il voto. Mi ricordo persino una trasmissione di Gianfranco Funari in cui questi traditori della Patria passavano cantilenando di governabilità: ci volevano i “colllegggi magggioritari”, come li declamava un politico romano, un tangentaro che nemmeno sapeva cosa fosse un collegio, eppure … senza i “colllegggi” eravamo perduti … il maggioritario … i “collegggi magggioritari” ce volevano, ma come avevamo fatto a vivere, noi italiani, senza il maggioritario, con le preferenze appannaggio della mafia … dovevamo evolverci, verso il mondo angloamericano, il mondo dei “colllegggi”, del centrodestra e del centrosinistra … du’ partiti ebbasta … se sono de più poi magneno troppo … due basteno … uno de destra e uno de sinistra: e così fu.

La febbre del voto, il tifo per una parte è la superstizione inestirpabile dell’Italiano. Il pendolo dei coglioni: voto per le Teste Tonde, poi la delusione; proviamo le Teste Piatte, poi la delusione; proviamo le Teste Ovali, poi la delusione. Voi penserete che tali smacchi in serie possano fiaccare la speranza e ingenerare, quindi, il sospetto che il gioco sia truccato. Nemmeno per idea! Con le delusioni passano gli anni. Con gli anni, la smemorina. Molti attori e soubrette si sono ritirati dalle scene, altre maschere, col vigore psicopatico dei neofiti (un Renzi, a esempio), irrompono sul palco … l’elettore riprende la speranziella dal pozzo del disinganno … la voglia di tifo è intatta: voterò le Teste Tonde! Mi hanno convinto! Stavolta glielo facciamo vedere! Maledetti fascisti, maledette zecche comuniste, maledetti clericali, maledetti populisti, maledetti gli altri! E il micco si rimette in fila onde rinchiudersi in un cubicolo di legno, fare una croce e consegnare, poi, il foglio da analfabeta a un tizio che, forse, non ci si pulirà la barba unta di frittata.

Si vota, signore e signori, si vota. In Abruzzo, in Sardegna, a Rocca Invernizia, a Parabiago Lacustre. Si affidano settori strategici per l’esistenza a cialtroni ignorantissimi, psicopatici, menefreghisti, sol perché essi soddisfano la nostra voglia di tifo. Frustrazioni, vita incolore, noia, miseria spirituale. Da oggi, però, il mio trippone ha vinto le elezioni … gliela faremo vedere … e giù a postare su twitter e facebook … abbiamo vinto! Abbiamo vinto! Cambia la musica! Er Trippa adesso comanda, non comandate più voi! Un tornado di idiozia che svelle ogni ragionevolezza … il fortunale dei coglioni … mica si ragiona, qui: si tifa!
In Abruzzo e in Sardegna la partita fantozziana “Scapoli contro Ammogliati”, su un campo di calcio pieno di gobbe e trabocchetti, l’irregolare linea di porta segnata con la farina, la rete piena di buchi, San Pietro a ridere sulla traversa … Ma Calboni ha fatto gol! Gol gol gol … ho fatto gol … dice Calboni, il cafone supponente, amante della Silvani, scapolo lui, mentre il ragionier Ugo se la deve vedere con la Pina tutte le sere, per tacere della figlia Mariangela … Ma Calboni ha vinto, insieme a tutti i controinformatori … a chi estende compulsivamente post e saggetti sulle massonerie internazionali e complotti universali e imperituri … millenari … ma quando c’è da tifare, si tifa … e i commentatori? Quelli agitano le bandierine da sempre .. infatti sono banderuole.
Mariangela Fantozzi era interpretata da Plinio Fernando: un pio ebreo, una brava persona, oggi scultore di vaglia.
La sensazione che prende ognuno di noi quando scorre la formazione di una squadra di calcio di cinque o dieci anni fa. Giocatori che non ci dicono più niente, figurine scolorite. Eppure li abbiamo amati, espettorando tutta la nostra passione per loro, le speranze per lo scudetto, la coppa, la minicoppa, il trofeo estivo … ma oggi? Oggi abbiamo altri beniamini … talmente bravi che non ci si rende conto di come stimassimo quelli di pochi anni fa. Come si poteva vincere qualcosa con questi polmoni? si lamenta il tifoso di oggi riguardandoli. Adesso, però, ragiona il micco, c’è speranza nel futuro, la musica è cambiata: all’ala corre Virgilio Mezzagamba, un giovane campione! In porta c’è Oswald von Duck, il portiere incubo dei centravanti; il regista, dai piedi sopraffini, è nientemeno che Jeremy Crook! Qui il campionato lo vinciamo, la Champions sta dietro l’angolo … peccato per la Coppa Italia, persa contro il Valdabbiene … von Duck non è stato attento … addio Triplete … ma siamo una corazzata … adesso gliela facciamo vedere noi …
La speranza è l’ultima a morire. La speranza non muore mai. L’uomo vive di speranza. Se non fosse materiato di speranza egli ragionerebbe … ma la razionalità induce al suicidio o all’omicidio, non alla vita … allora si spera … domani è un altro giorno … il sol dell’avvenire … adda passà ‘a nuttata … il ciclo ricomincia sempre.
Se fossi un maestro o un professore porterei i miei allievi al Consiglio Regionale o Comunale. Uno qualunque. Li abituerei alla democrazia. Senza giudicare. Ecco, ragazzi, i prodotti del tifo dei vostri genitori. Sempre senza far motto, li condurrei, poi, per i corridoi deserti, al bar del Consiglio, col sottofondo di cucchiaini e porcellane a far da bordone alle risate degl’impiegati locali, quindi a sbirciare qualche ufficio, anch’esso deserto, in cui un computer spento vigila sul da farsi; poscia, fattosi mezzogiorno inoltrato, sempre muto, li recherei all’entrata dove i locupletati dal voto cominciano a presentarsi, con o senza scorta, onde addivenire al fulmineo consiglio delle Tredici. Consiglio in cui verranno risolti, in mezz’ora circa, i più urgenti e angoscianti problemi della comunità che li ha votati. Si comincia! Riscaldamento, stretching, fischio dell’arbitro. Uno chiede la parola, un altro cantilena qualche comma di una legge di cui nulla sa né vuole sapere; non manca l’intervento focoso di un membro dell’opposizione da rivendere a qualche radio o TV che tifa per l’anzidetto tizio in foia oppositiva. Fra un berciamento e un prova-microfono spettrale, parecchi andirivieni: i democratici vanno e vengono dagli scranni per cicalare, a bassa voce, come Carbonari mazziniani, l’occhio che rotea attorno, a scorgere, con la coda visiva, eventuali sicofanti austroungarici, con qualche lobbista ivi convenuto: si ha, con accortezza, da dipanare il gomitolo delle prebende con gli uomini del sottosuolo (è la merda a concimare l’affare da risolvere a ogni costo), flaccidi e spietati, latori di cartelline e consigli nonché di musi lombrosiani da lestofante all’altimo grado di degenerazione.  
Si avvicina l’ora della pappatoria; un sussulto: trenta secondi d’intervento sulla “mozzzione” dell’ODG; i grugni richiudono le mandibole confabulatorie, ciò che è stato detto è stato detto; ora gli uomini del fare si ricompattano, decisi, scivolando via lesti sulle Prada, tictoccando il parquet su allucinati tacchi dodici, verso i seggi della libertà: un due tre quattro, il voto. Il voto democratico, quello della nostra fierezza, quello per cui il potere ha sterminato un milione di Iracheni e Afgani. Si vota, signori, si vota; qualche decina di milioni donati volontariamente dai contribuenti passa irrevocabilmente di mano per il bene di tutti. Dichiarazioni, controdichiarazioni finali. Un fiat. Fatto.Il presidente, onorevole Loris Batacchi, che presiede la seduta in luogo del presidente effettivo, ora non presente poiché lo è a Los Angeles, a uno stage dove presenta le eccellenze del Comune o della Regione, il carciofo lanceolato o la gruviera senza buchi, onde sbalordire gli hollywoodiani grazie alle virtù vegetali e casearie del DOC-DOP-DOCP, il presidente non-presidente dicevamo, che sostituisce addirittura il vice-presidente effettivo, in missione pure lui, ma a Reggio Emilia, a una riunione di presidenti gravida di improcrastinabilità, ove sostituisce il presidente californiano con Ray-Ban a specchio, dichiara chiusi i giochi, evitando così VAR e fastidiosi supplementari.Il profumo dei filetti di vitella a tre euro aleggia nell’aria; la greppia aziendale è presa moderatamente d’assalto.Una nuova seduta si terrà alle sedici. Forse alle diciassette. Salvo rimandi all’indomani, scrutinati coscienziosamente gl’impegni soverchianti degli onorevoli consiglieri. Sciamano i democratici e i loro clientes. Ancora una volta abbiamo dimostrato la superiorità dell’organizzazione liberale sulle dittature. Fatto. Primo, secondo, insalata, io scappo, il tale dei tali sta in missione pure lui, me lo saluti, poi ci aggiorniamo. Intanto il micco elettore, durante tali bassi andirivieni, è in un call center, in un cantiere o allo studio: in cuor suo magari è contento: la sua squadra, infatti, ha vinto.
Se la democrazia fosse liberale contemplerebbe la propria rimozione.Scientificamente: il superamento di sé stessa.Ma così non è, anzi. Gli elettori, poi, ci han preso gusto alla democrazia tanto che privarli di questo gioco inutile li sprofonderebbe nell’angoscia.
Il patriziato, quel ceto composto da magistrati, politici, alti poliziotti, stataloni e affaristi va in brodo di giuggiole con le elezioni. Esso, infatti, non può perderle. Le vince sempre. Il micco elettore a volte le perde, a volte le vince. Quando le perde scarica la sua ira in contumelie digitali; quando le vince si lascia andare al gradassume e spera, soprattutto, spera … spera che Foa, un giornalista professionista, possa mandare a casa altri giornalisti professionisti (leggi: patriziato inamovibile). Il patrizio si riconosce subito, come detto: non perde mai. Può distruggere, uccidere, fallire, ma sempre lì sta. Passa di insuccesso in insuccesso col sorriso del conquistatore. Anche quando lo mettono in galera (ma non succede quasi mai) egli vince: quale vittima. Questo, però, accade solo rarissimamente, sol perché il tale ha voluto esagerare. Gli avevano detto: ruba cento milioni! È un tuo diritto! Stupra, uccidi, sventra! Un tuo diritto! Ma lui no, testa dura: vuole rubarne duecento! E scopare la nurse, i bimbi orientali, il transessuale. E allora si mette nei guai. Est modus in criminibus, poffarre. Poca roba, per carità. Molte volte al prodotto del voto democratico i guai si mutano addirittura in benefici. Se proprio gli va male (ma gli deve andare male) si ritira. Se gli va malissimo (si contano tali casi, però, sulle dita della mano di un monco) rischia qualche annetto di galera; una volta sfrondato tale rischio da benefici di legge, prescrizioni, vendita di sentenze, avvocati milionari, cartelle cliniche che testimoniano, in lacrime, disturbi violentissimi, improvvisi e mai occorsi prima, residuano pochi mesi. O settimane; forse giorni. Da tale abisso il prodotto del voto del micco democratico esce più forte di prima, in un certo qual modo più arrogante, poiché circonfuso dal vittimismo: ha trovato la fede, si dedica ai carcerati, vuole aiutare il “poppolo”. E lo aiuterà, magari quale candidato della lista “Rinascimento Italia” “Cambiare Si Può” “Avanti Poppolo” “Uno di Noi” “Viva la Gente”, perché la gente oramai ha dimenticato: grazie puccettoni!
Intanto il “poppolo” affila le matite copiative. E spera.