Ascoltavo l’altra sera questo vecchio album di un gruppo inglese molto particolare, Death in june, politicamente molto controverso e autore di una musica oscura, a tratti gotica, ma con sonorità tipicamente folk, definita dalla stampa specializzata neo-folk o folk apocalittico. Al di là dell’aspetto tipicamente musicale, quello che ha attirato la mia attenzione e ispirato questo breve scritto di riflessioni personali, è il titolo: che cosa finisce quando i simboli si sgretolano?

Da un punto strettamente politico, in Italia si è potuto assistere allo sgretolamento di tutti i simboli che rappresentavano ideologie ben precise, falce e martello per le sinistre, lo scudo crociato per la DC, la fiamma tricolore per la destra post fascista. Di conseguenza anche le ideologie stesse, una volta così chiare, granitiche, ben delineate, si sono sgretolate lasciando una miriade di cocci dai quali è molto difficile ricostruire, come in un puzzle, qualcosa che vagamente assomigli alla composizione originale. Oggi si fa fatica a riconoscere nel simpatizzante, o nell’elettore del PD, per esempio, l’erede del vecchio elettore o militante del PCI. Eppure il PD è l’erede politico del PCI, è da lì che nasce. Ma questo vale per tutti, non solo per il Pd. La Lega, giusto per continuare con gli esempi, prima o poi smetterà il simbolo storico rappresentato da Alberto da Giussano, figura storica e mitologica di condottiero che alla testa dell’esercito messo insieme dai comuni italiani del nord, si battè contro l’esercito di Federico Barbarossa. In pratica simboleggia per la lega, il rifiuto di sottomettersi al giogo dello statalismo centralista di Roma in favore di una secessione (mitigata poi in una autonomia federale) che avrebbe consentito al nord Italia di volare economicamente e socialmente, senza più il fardello di un sud zavorroso, verso modelli di tipo nord europei. Che cosa resta di quegli ideali? Nulla, ora che la Lega ha sfondato al sud e del sud non può fare a meno per essere una forza di governo egemone.

E allora per tornare a quello che domandano i death in june: che cosa finisce? Finisce soprattutto un modo di vedere la politica in modo propositivo, che propone cioè un modello ben preciso. Finisce il possesso di una identità che porta, di conseguenza, ad abbracciare falsi modelli, falsi miti. Ad esempio  l’europeismo che vorrebbe sottintendere tutto e che invece non significa assolutamente nulla, come del resto l’antieuropeismo o sovranismo, che dir si voglia, hanno sostituito socialismo, capitalismo e liberismo. Termina un atteggiamento per cui invece di fare il tifo per la propria squadra (giusto per continuare un discorso legato alla similitudine tra militanza politica e fede sportiva di cui ho già accennato in un altro articolo) si fa il tifo “contro” l’altra squadra. E questo è l’aspetto più grottesco e controverso della situazione politica attuale:  

chi fa il tifo “contro” lo fa senza preoccuparsi minimamente di credere in  un’alternativa concreta e valida che sia immediatamente applicabile in maniera completamente opposta a quanto propugnato dall’altra parte. E così capita che chi oggi manifesta contro la quota cento, apostrofando i lavoratori che ne usufruiranno come dei privilegiati e come gente che ruba risorse alle generazioni future, ieri difendeva a spada tratta il privilegio di poter andare in pensione a 51 anni con 35 anni di contributi, con pensioni calcolate sul retributivo e che nulla avevano da spartire con i contributi realmente versati. Per non parlare di chi contestava l’abolizione dell’ici che in seguito abolisce l’imu, tra le critiche di chi ieri aveva abolito la tassa sulla prima casa. Oggi chi fa il tifo contro, finge di volere la caduta di questo governo, ma in realtà è ben contento che sia in carica e che ci resti a lungo, pur di avere qualcosa per cui fare il tifo.

I numeri sono impietosi, chi finge di volere la caduta del governo non può non sapere che l’alternativa è un governo M5s + PD, che presumo sarebbe ancor più litigioso di quello attuale ma soprattutto sarebbe difficile da giustificare per i tifosi dell’uno o dell’altro schieramento che sino ad ora si sono scannati all’ultimo sangue”! Un governo tecnico? E chi lo sostiene? Se lega e 5s dovessero sostenerlo, credo che nel giro di pochi mesi sprofonderebbero sotto il 10% divenendo di fatto totalmente ininfluenti. Allora nuove elezioni? Difficile prevedere, nel panorama italiano, un risultato diverso uscire dalle urne: diverso probabilmente nei rapporti di forza ma simile, in sostanza all’attuale, con tre forze politiche impossibilitate a governare da sole o con alleanze omogenee e costrette a innaturali e litigiose alleanze tra loro. E quindi che si fa? Naturalmente aspettiamo l’esito delle imminenti elezioni europee, nelle quali di tutto si parla fuorchè di Europa, e in base a quelle si prenderanno decisioni, tra le quali anche la decisione di non prendere decisioni e lasciare che tutto galleggi alla meno peggio. Del resto, cambiano i nomi delle epoche politiche, pomposamente denominate prima, seconda e addirittura terza repubblica (solita minchiata tutta italiana con la quale si cambiano i nomi ma non si cambia una mazza nella realtà) ma nulla cambia nei soliti vizi degli esecutivi italici: aspettare sempre le prossime elezioni, che siano europee, regionali o comunali poco importa, per vedere se mutano gli equilibri interni delle forze di maggioranza e poi, anche se i numeri in parlamento rimangono esattamente gli stessi, pretendere, da parte del vincitore, più forza nel governo altrimenti tutti a casa.

Ma a quanto pare, agli italiani va bene così, basta dare loro qualcosa su cui dividersi nelle classiche fazioni e combattersi tra loro. Con queste premesse i fotti-popolo avranno il potere servito su un piatto d’argento.