Alla fine, pur se in ritardo, anche i media italiani hanno dovuto misurarsi ‒ poco e male ‒ con la crisi cubana. Le proteste della popolazione contro il governo comunista erano iniziate l’11 luglio nella provincia di Artemisia e nella città di San Antonio de los Baños ‒ per poi coinvolgere anche Havana e Santiago de Cuba ‒ e sono state, questa la vera novità, le più imponenti da quelle del 1959.
Ci si riferisce, si badi bene, non tanto a quelle mitologicamente riferite dalla vulgata ufficiale castrista, quanto a quelle che si registrarono quando l’ideatore del fallito assalto alla Caserma di Moncada, decise di nazionalizzare alcune imprese americane evidenziando «il dissenso di coloro che erano stati fortemente colpiti dalle riforme, i quali preferirono abbandonare l’isola per rifugiarsi in Florida» [1].
D’altra parte, il vero motivo per il quale Batista lasciò l’isola ‒ e, de facto, il campo libero ai castristi ‒ fu la «decisione di Eisenhower di sospendergli gli aiuti militari giudicando la soluzione di Fidel […] una possibile soluzione di tipo democratico-borghese» [2]. Il resto della storia è nota ai più e ci porterebbe fuori strada. Quindi, preferiamo rimanere all’attualità, non meno complessa della Presidenza Urrutia di quegli anni [3].
La situazione critica dal punto di vista economico ‒ «carenza di cibo e medicinali, impennata dei prezzi a causa dell’inflazione» [4] ‒ non è certo una novità nell’isola ‒ basti ricordare la rivolta anti-castrista “Maleconazo” del 1994 [5] ‒, ma i mesi di pandemia e la dimensione endemica che questa ha assunto, hanno fatto da volano all’insofferenza, già latente, nei confronti del Governo comunista di Miguel Dìaz-Canel.
Il quale ha risposto di tutto punto ai cortei spontanei ricorrendo ‒ come non si vedeva da anni ‒ all’invio della polizia in tenuta anti-sommossa affiancata da agenti in borghese [6], arrestando più di 80 manifestanti solo nella giornata dell’11 luglio [7], cogliendo l’occasione per arrestare gli oppositori più noti e, come pare ormai di moda in questi casi [8], limitando arbitrariamente l’accesso al web.
L’obiettivo, in questo caso, era quello di rendere più difficile la condivisione dei video degli abusi subiti dai cittadini privandoli della possibilità di organizzarsi online per continuare ad esprimere il dissenso in modo ancora più plateale pur se pacifico.
La situazione è precipitata quando Dìaz-Canel ‒ approfittando dell’immobilismo di Biden ‒ «ha accusato i cubano-americani di usare i social media per stimolare una rara ondata di proteste» [9], convinto del fatto che le persone in piazza fossero tutti sul libro paga statunitense.
Peccato, invece, che le proteste siano la risultante della cattiva gestione da parte del Governo comunista della pandemia e che abbiano, dunque, la stessa genìa di quelle che hanno vissuto, tra gli altri, la Colombia e il Brasile: Paesi, cioè, che non stanno in rapporti burrascosi con Washington. Anche gli osservatori più ideologizzati, d’altra parte, hanno dovuto ricordare che «la Colombia è stata per decenni un alleato chiave degli Stati Uniti, guadagnandosi persino il soprannome di “Israele dell’America Latina”. Il Brasile, nel frattempo, è diventato particolarmente vicino agli Stati Uniti durante l’amministrazione Trump, in gran parte a causa dell’affinità ideologica tra i rispettivi presidenti […] dei due Paesi» [10].
La storiella dei manifestanti come «abietti delinquenti» [11] fomentati dagli Usa, quindi, non regge proprio e chi la sostiene, “mente sapendo di mentire”: anche perché, lo stesso leader cubano ha dovuto ammettere che la base dello scontento per la mancanza di cibo e per i sempre più frequenti blackout energetici, sia più che legittima.
Piuttosto, andrebbe ricordato quanto Cuba abbia sofferto gli effetti della pandemia nella propria economia, basata sul turismo: «il PIL nel 2020 si è contratto dell’11%; la peggior recessione negli ultimi 30 anni. Un terzo delle importazioni sono crollate, “lasciando i creditori a mani vuote e i cubani in coda per ore per acquistare beni di uso quotidiano”» [12]. Il che aveva portato, già nel febbraio 2021, lo stesso Dìaz-Canel ad auspicare l’apertura dell’economia del Paese alle imprese ‒ e quindi agli investimenti ‒ degli stakeholder privati.
La reazione del governo comunista alle manifestazioni è un brutto passo indietro: aver ceduto alle spinte demistificatrici delle proteste nel tentativo di strumentalizzarle è quanto di peggio si potesse fare.
E poi, la decisione di imporre i blocchi alle connessioni web allinea il Paese a quanto sta accadendo in India e Iran. Nella prima, infatti, molti utenti sono stati denunciati poiché “rei” di aver chiesto aiuto e bombole di ossigeno tramite Twitter, Whatsapp e Telegram [13]: il che ha spinto il governo di Delhi a introdurre una serie di limitazioni all’uso del web per contrastare (anche e soprattutto) le proteste degli agricoltori [14]. In Iran, proprio in questi giorni, è stato adottato un vero e proprio Internet Censorship Bill obbligando «tutte le società di social networking e di messaggistica a nominare un rappresentante iraniano accettando le regole sul controllo decise da quest’ultimo» [15].
A Cuba, la stretta sul web parte da lontano: i primi hotspot pubblici sono comparsi solo nel 2015 e, alla fine del 2018, la società pubblica di telecomunicazioni ETECSA ha introdotto le prime connessioni 3G. Fino ad allora, molti cubani si accontentavano di The Weekly Package, «a hard drive updated weekly and filled with contraband movies and series, music, news and advertisements that acted as a kind of snapshot of the global web» [16].
Nel 2017, poi, fece scalpore la vicenda di una vicepreside di una scuola elementare statale cacciata ‒ oltre che per essere sposata con un dissidente anticomunista ‒ per aver chiesto ai suoi alunni di cercare informazioni su wikipedia durante una lezione di storia [17]. Nell’isola, inoltre, già all’epoca un’indagine dell’Open Observatory of Network Interference (ONI) aveva testato «1.458 siti Web da otto località dell’Avana, Santa Clara e Santiago de Cuba. L’elenco includeva siti Web in 30 grandi categorie. […] del numero totale di siti testati, OONI ha trovato 41 siti bloccati. […] Tutti avevano una cosa in comune. Avevano espresso critiche al governo cubano, trattato questioni relative ai diritti umani o hanno avuto a che fare con strumenti di elusione (tecniche per aggirare la censura)» [18].
Bloccare i siti Internet esclusivamente per limitare le critiche politiche al fine di contrastare l’accesso alle informazioni è – giova ricordarlo sempre – contrario al diritto internazionale dei diritti umani nonché rappresenta una violazione del diritto alla libertà di espressione.
Il che ha reso necessario, per quasi un milione e mezzo di cubani, il ricorso alla rete gratuita di elusione dei blocchi Psiphon, seguendo l’esempio di quanto fatto anche da alcuni oppositori degli altri regimi non democratici e anticristiani dell’Iran e della Cina [19].
Mentre le strade di Cuba si riempivano di canti «di “libertad”, Internet si è improvvisamente oscurato. Quando è tornato, il governo cubano era in modalità di censura totale, […] manteneva completamente disattivato l’accesso al Web in alcune aree e limitava la velocità dei dati in altre. Yunior Garcia, un podcaster, ha detto a NPR che la mossa del governo “ci tiene disconnessi, disinformati e incapaci di partecipare alla risoluzione pacifica dei problemi di Cuba”» [20].
Che il comunismo non faccia rima con libertà è cosa tristemente nota [21]. La novità preoccupante, invece, è che quest’aria di censura stia avvolgendo una lista ‒ sempre più lunga ‒ di Paesi tra loro diversissimi, ma con alcuni punti in comune: proteste popolari post-ideologiche motivate dallo scontento per le ingiustizie che permeano la realtà fattuale di tutti i giorni. Che da sempre i regimi comunisti non hanno mai tollerato. E che siamo, almeno nel nostro piccolo, in dovere di seguire e denunciare come abbiamo sempre fatto e continueremo a fare.
- Note:
- [1] G. Aliberti, F. Malgeri, Due Secoli al Duemila. Transizione, mutamento, sviluppo, nell’Europa contemporanea (1815-1998), Milano, LED, 1999, p. 658.
- [2] Ibidem.
- [3] Ci si riferisce a Manuel Urrutia Lleo, magistrato cubano che, prima, fu tra gli oppositori di Batista e, poi, tornato a Cuba come Presidente provvisorio della Repubblica, il 2 gennaio 1959, dopo aver nominato Castro comandante in capo dell’esercito, fu dallo stesso accusato di sabotaggio al “riformismo” del governo rivoluzionario nonché costretto a dimettersi il seguente 17 luglio, cfr., W. Saxon, Manuel Urrutia; was foe of Castro, in «The New York Times», del 6 luglio 1981.
- [4] L. Mastrodonato, Cuba, migliaia di persone stanno protestando contro il governo, in «Lifegate», del 14 luglio 2021, ora in https://www.lifegate.it/proteste-cuba-usa.
- [5] Conosciuta anche come “la crisis de los balseros”, all’epoca lo stesso Castro dovette recarsi di persona per sedare la rivolta esortando il popolo a sollevarsi contro gli “apolidi” che protestavano, invece, stremati dalla carenza di cibo e medicine, cfr., J.C. Cueto, Protestas en Cuba: qué fue el histórico “Maleconazo” de 1994 y cómo se compara con las masivas movilizaciones de este domingo, in «BBC News», del 12 luglio 2021, ora in https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-57805495.
- [6] R. Miranda, Proteste a Cuba, senza i Castro traballa il regime castrista?, in «Formiche», del 13 luglio 2021, ora in https://formiche.net/2021/07/proteste-cuba-regime/.
- [7] G. Pioli, La ‘bomba’ Cuba è un boomerang per Biden, in «Quotidiano Nazionale», del 14 luglio 2021, ora in https://www.quotidiano.net/cronaca/la-bomba-cuba-e-un-boomerang-per-biden-1.6588399.
- [8] R. Bonuglia, Ancora brutte notizie dall’Iran: verso la censura del web, in «Ora Zero», del 30 luglio 2021.
- [9] A. Madhani, M. Lee, Cuba, Haiti stir fresh political pressures for US president, in «News4jax», del 14 luglio 2021, ora in https://www.news4jax.com/news/politics/2021/07/14/cuba-haiti-stir-fresh-political-pressures-for-us-president/.
- [10] Cfr., la febbricitante e anacronistica chiave di lettura fornita in P. Bolton, Washington’s Weaponization of Protests in Cuba Takes Its Regime Change Efforts to New Heights of Hypocrisy, in «Counter Punch», del 14 luglio 2021, ora in https://www.counterpunch.org/2021/07/14/washingtons-weaponization-of-protests-in-cuba-takes-its-regime-change-efforts-to-new-heights-of-hypocrisy/.
- [11] R. Miranda, Proteste a Cuba, senza i Castro traballa il regime castrista?, cit.
- [12] M. Frank, Cuba lifts ban on most private business, in «Financial Times», del 7 febbraio 2021, ora in https://www.ft.com/content/3956b50f-621a-4289-90c3-247a2762fae2.
- [13] G. Porro, L’India ha iniziato a censurare i post che criticano la sua gestione della pandemia, in «Wired», del 30 aprile 2021, ora in https://www.wired.it/internet/social-network/2021/04/30/india-censura-covid-pandemia/.
- [14] B. Perrigo, India’s New Internet Rules Are a Step Toward ‘Digital Authoritarianism,’ Activists Say. Here’s What They Will Mean, in «Time», del 12 marzo 2021, ora in https://time.com/5946092/india-internet-rules-impact/.
- [15] R. Bonuglia, Ancora brutte notizie dall’Iran: verso la censura del web, cit.
- [16] M. Benson, Search for shortcuts through Cuban internet censorship, in «DodoFinance», del 30 luglio 2021, ora in https://dodofinance.com/search-for-shortcuts-through-cuban-internet-censorship/.
- [17] A. Filastó, Cuba’s Internet paradox: How controlled and censored Internet risks Cuba’s achievements in education, in «Amnesty International», del 29 agosto 2017, ora in https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/08/cubas-internet-paradox-how-controlled-and-censored-internet-risks-cubas-achievements-in-education/.
- [18] OONI, Measuring Internet Censorship in Cuba’s ParkNets, del 28 agosto 2017, ora in https://ooni.org/post/cuba-internet-censorship-2017/.
- [19] D. Shepardson, Censorship circumvention tool helps 1.4 million Cubans get internet access, in «Reuters», del 16 luglio 2021, ora in https://www.reuters.com/world/americas/censorship-circumvention-tool-helps-14-million-cubans-get-internet-access-2021-07-16/.
- [20] R. Fontaine, Cuba Needs a Free Internet, in «Foreign Policy», del 29 luglio 2021, ora in https://foreignpolicy.com/2021/07/29/cuba-free-internet-protests-censorship/.
- [21] R. Bonuglia, Il Lockdown tra fine della privacy e comunismo della sorveglianza, in «Corriere delle Regioni», del 17 luglio 2021, ora in https://www.corriereregioni.it/2021/07/17/il-lockdown-tra-fine-della-privacy-e-comunismo-della-sorveglianza-roberto-bonuglia/.