Si è iniziato questo articolo menzionando le parole di Walter Raleigh, famoso corsaro di cui gli inglesi si sono serviti per attaccare l’espansione coloniale spagnola nelle Americhe: «Chi possiede il mare, possiede il commercio mondiale; chi possiede il commercio, possiede la ricchezza; chi possiede la ricchezza del mondo possiede il mondo stesso». Ebbene, non vi è dubbio alcuno che queste parole calzino a pennello per descrivere la vera natura dell’impero britannico. La vastità dei suoi possedimenti, il posizionamento di quest’ultimi in punti strategici per le rotte transoceaniche, le miniere, le terre, le coltivazioni, le foreste, e tutte le altre risorse materiali che questi domini offrivano in abbondanza hanno di fatto reso l’impero britannico il vero padrone dei mari e dei suoi traffici commerciali, garantendo alla classe dirigente britannica (ma non necessariamente a tutti i suoi sudditi) una ricchezza ineguagliabile.
Ma la talassocrazia britannica ha condotto ad una evoluzione fondamentale nel modo di fare la guerra. Schmitt ricorda: «Per la guerra di terra gli Stati del continente europeo svilupparono a partire dal XVI secolo determinate forme, alla base delle quali c’era l’idea che la guerra è una relazione tra Stati [ciò che il Von Clausewitz avrebbe potuto chiamare “la continuazione della politica con altri mezzi”]. Sui due fronti c’è la potenza militare statualmente organizzata e gli eserciti si scontrano in aperto campo di battaglia. Quali nemici si fronteggiano solo gli eserciti combattenti mentre la popolazione civile che non partecipa alla guerra, resta al di fuori delle ostilità. Essa non è un nemico e non viene trattata da nemico fintantoché non partecipa alla lotta. Alla base della guerra di mare sta invece l’idea che debbono essere colpiti il commercio e l’economia del nemico. Nemico è, in una guerra di questo tipo, non solo l’avversario combattente ma ogni cittadino dello Stato nemico e perfino anche quello neutrale che commercia col nemico e ha con lui relazioni economiche. La guerra di terra tende ad un aperto, decisivo, scontro campale. Nella guerra di mare si può naturalmente arrivare anche alla battaglia navale ma i suoi metodi e mezzi tipici sono il bombardamento e il blocco navale delle coste nemiche e la confisca, secondo il diritto di preda, del naviglio commerciale nemico e neutrale»1.
Si tratta di uno sconvolgente ed epocale cambio di prospettiva. Di fatto, con l’affermazione dell’impero britannico come potenza marittima egemone su scala planetaria, nasce il concetto moderno di guerra: una guerra dove per la prima volta anche i civili, donne, vecchi, bambini che siano, e non solo i soldati combattenti, possono diventare un obiettivo militare più o meno legittimo. Per usare sempre le parole di Schmitt, tratte però da un suo altro lavoro: «La lingua tedesca, come altre, non distingue fra “nemico” privato e politico, cosicché sono possibili, in tal campo, molti fraintendimenti e aberrazioni. Il citatissimo passo che dice: “amate i vostri nemici” (Matteo 5, 44; Luca 6, 27) recita “diligite inimicos vestros” e non “diligite hostes vestros“: non si parla qui del nemico politico. Nella lotta millenaria fra Cristianità e Islam, mai un cristiano ha pensato che si dovesse cedere l’Europa invece che difenderla, per amore verso i Saraceni o i Turchi [ahimè, Schmitt ancora non poteva sapere di Bergoglio!]. Non è necessario odiare personalmente il nemico in senso politico, e solo nella sfera privata ha senso amare il proprio “nemico”, cioè il proprio avversario. Quel passo della Bibbia riguarda la contrapposizione politica ancor meno di quanto non voglia eliminare le distinzioni di buono e cattivo di bello e brutto. Esso soprattutto non comanda che si debbano amare i nemici del proprio popolo e che li si debba sostenere contro di esso [capito, picoretti?]»2.
Ecco dunque che, con la definitiva affermazione degli imperi marittimi e del nuovo concetto di guerra insito nella loro Weltanschauung, i due termini di inimicos e di hostes si sovrappongono. Oggi in guerra il nemico non è più solo l’inimicus, fondamentalmente un esercito avversario contro cui combattere al fine di imporgli la nostra volontà attraverso un’azione bellica che rimane pur sempre un fatto essenzialmente politico; egli invece diventa un hostis, un nemico mortale da abbattere a qualsiasi costo, anche se ciò può causare immani sciagure all’ innocente popolazione civile, perché ne va della propria stessa sopravvivenza come potenza economica egemone. È come se il grande Leviatano, la balena marittima appunto, avesse preso il sopravvento sulle nostre stesse coscienze. In un simile contesto, la mentalità predominante è prettamente mercantilista ed utilitaristica: tutto ha il suo prezzo ed ogni cosa vale solo se quantificabile materialmente, mentre il denaro diventa la vera misura delle nostre vite.
La suddetta descrizione calza a pennello soprattutto relativamente a quell’impero marittimo che, sviluppatosi gradualmente a partire dalla seconda metà del XIX secolo, dopo le due guerre mondiali del XX ha saputo prendere definitivamente il posto di quello britannico. Ovviamente, il riferimento è agli Stati Uniti d’America. Pur trattandosi di uno stato continente che si estende su un’enorme superficie di terra nel cuore dell’America del Nord, gli Stati Uniti presentano una natura precipuamente insulare, giacché si trovano circondati da due oceani e sono comunque ben distanti dall’Heartland mondiale. Essi sono oggi la potenza marittima per eccellenza. Anzi, mai nella storia dell’umanità una talassocrazia era stata in grado di sviluppare un controllo dei mari e dei commerci tanto capillare. Va da sé che tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’enorme progresso tecnologico degli ultimi secoli. A mo’ di esempio, si pensi solo alla diffusione delle moderne portaerei, le quali consentono una proiezione di potere anche molto lontano dai propri confini, cosa impensabile solo fino a pochi decenni fa.
Ad onor del vero, andrebbe anche aggiunto che lo sviluppo tecnologico moderno è tale da portare a continue rivoluzioni nel modo di condurre strategicamente una guerra. Le stesse portaerei, al giorno d’oggi, in un ipotetico scontro diretto tra superpotenze, dovrebbero essere considerate persino come obsolete perché non sarebbero in grado di resistere a lungo agli attacchi di sottomarini e missili antinave. Persino l’ammiraglio americano Rickover,3 padre della marina nucleare americana, già negli anni ‘70 del secolo scorso dovette ammettere che in caso di conflitto con l’Unione Sovietica le più moderne portaerei americane sarebbero state affondate nel giro di 2/3 giorni, forse 7 ma solo nel caso fossero rimaste ancorate in porto4. Ciò non toglie però che le portaerei siano uno strumento imprescindibile per ambire oggi al controllo dei mari. Non è un caso che l’approccio della Russia, il vero orso terrestre che si contrappone alla balena americana, nei confronti delle portaerei sia completamente opposto a quello statunitense. Si dia un’occhiata alla seguente tabella di Wikipedia:

Al momento, gli USA dispongono di ben 11 portaerei in servizio, ed altre due sono in costruzione mentre, al contrario, la Russia ne ha una sola, la Admiral Kuznetsov, per altro frutto di un progetto vetusto, anche se chiaramente i sistemi d’arma che monta sono stati aggiornati a più riprese dalla data del varo. Persino l’Italia, che ha smesso da tempo di voler essere una potenza regionale di un qualche livello nel cuore del Mediterraneo, possiede più portaerei della Russia (anche se non vi è dubbio che le nostre due portaerei non saranno mai utilizzate nell’interesse esclusivo del nostro paese, ma di quello del padrone di turno). Ciò testimonia che la Russia non vuole essere una potenza marittima. Non ne è ha bisogno. È evidente: controlla l’Heartland siberiano, con le sue enormi ricchezze.
Estesa su 11 fusi orari e con una dimensione di oltre 17 milioni di chilometri quadrati, più di ogni altra nazione, la Federazione Russa dispone di alcune tra le più grandi riserve mondiali di petrolio, gas, carbone, uranio e altre materie essenziali. Le riserve di petrolio sono stimate in poco più di 100 miliardi di barili5, quelle di gas naturale, le maggiori al mondo, in 50.000 miliardi di metri cubi6; quelle di uranio ammontano all’8% del totale mondiale7; le riserve di carbone a oltre 170.000 milioni di tonnellate8; quelle d’acqua dolce al 10% del totale mondiale9. In più, si stima che le riserve di ferro siano pari ad un valore di circa 11 miliardi di euro, le riserve di diamanti a 375 milioni di carati (un quarto del totale complessivo) e le riserve d’oro a 1.407 tonnellate10. E c’è ancora l’Artico da conquistare come nuova frontiera!
Non è passata poi così tanta acqua sotto i ponti da quando il mai compianto senatore americano McCain definì nel 2014 la Russia “una pompa di benzina che si illude di essere stato”11. Ebbene, si trattava di un’affermazione decisamente infelice già quando venne effettivamente pronunciata, ma lo è ancor di più al giorno d’oggi. Con oltre 13 miliardi di dollari di export, il comparto militare russo è il secondo al mondo dopo quello americano (ma chiaramente si tratta di un mercato dove a prevalere sono i reciproci rapporti di forza e le alleanze in vigore12, piuttosto che un effettivo rapporto qualità/prezzo della “merce” venduta). Ma soprattutto occorre aggiungere che la Russia ha conseguito la piena autosufficienza alimentare e sta ritornando ad essere il vero granaio del mondo assieme alla cugina Ucraina. Per nostra fortuna, sono lontani i tempi dell’holodomor13 e della persecuzione dei kulaki. Oggi, diversamente dall’Italia dove il blocco deciso dal governo Conte per l’emergenza coronavirus mette a repentaglio la stessa produzione agricola, in Russia gli agricoltori, grandi o piccoli che siano, possono prosperare. Grazie a ingenti investimenti da parte dello stato, nell’ambito della sua politica di sicurezza alimentare, l’agricoltura è diventata uno dei settori in maggior crescita dell’economia russa:

Spinta dalle sanzioni occidentali ad una vera e propria battaglia del grano simile a quella combattuta dal regime fascista italiano14, la Russia ha intrapreso negli ultimi decenni una politica agricola improntata all’autarchia che sta dando risultati più che incoraggianti: da quando è entrata in vigore nell’agosto del 2014 la proibizione di importare alimenti dalla UE, la produzione di carne di manzo e di patate è aumentata di un 25%, quella di carne di maiale di un 18%, di formaggio e di ricotta di un 15%, di carne di pollo e di carne di animali da cortile di un 11% e di burro di un 6%15. Se oggi l’agricoltura russa ha un problema è semmai quello della mancanza di manodopera qualificata, che non può essere certo quella costituita dagli africani raccoglitori di pomodori. Infatti in Russia sono di ben altro genere gli “africani” che si vogliono accogliere: si tratta di quei farmers boeri che, vittime nel Sudafrica riconquistato alla democrazia di una vera e propria persecuzione su base razziale da parte della maggioranza nera, vengono corteggiati dai russi affinché si trasferiscano armi e bagagli in terre incolte che la Federazione mette a loro disposizione perché le rendano produttive come solo loro in Africa sanno fare16.
La Russia dunque non ha bisogno di portaerei o di basi all’estero che le diano una superiorità sui mari sì da detenere il controllo dei traffici marittimi. Non di guerra ma di pace necessita per vivere in prosperità. Le basta semplicemente vendere al mondo intero ciò che già possiede in abbondanza. E anche quando interviene all’estero, come è successo recentemente in Siria, lo fa non per assecondare una politica imperialista ma soprattutto per difendere i propri interessi strategici quando minacciati da un nemico esterno che preme ai suoi stessi confini. La seguente mappa, rappresenta i paesi in cui sorgono basi sotto il controllo degli USA e della Russia. Ovviamente, la parte colorata in blu è quella relativa alle basi statunitensi.

Ben diverso è il caso americano. Già più volte si sono ripetute le parole del corsaro Railegh. Orbene, se queste calzavano a pennello per descrivere l’impero britannico, sono assolutamente perfette per descrivere quello americano. Mai nessuna altra potenza marittima si era ritrovata nella necessità di condurre una politica imperiale tanto aggressiva come nel caso degli Stati Uniti d’America. Le innumerevoli basi di cui hanno disseminato l’intero globo terracqueo ce lo ricordano continuamente. Certamente essi, in quanto stato continente, dispongono di immense ricchezze materiali. Per non fare che un esempio, la politica di sviluppo dello shale oil americano, patrocinata soprattutto dall’attuale amministrazione Trump, ha portato l’America ad essere il principale produttore al mondo di petrolio17. Ma gli USA rimangono pur sempre una balena marittima che in quanto tale, malgrado l’abbondanza di risorse materiali, necessita di detenere ad ogni costo il controllo dei mari e dei commerci per poter prosperare.
Il cardine stesso dell’imperialismo americano è costituito dal dollaro. In realtà, la moneta è sempre stata il fulcro di ogni dominio imperiale a carattere marittimo. Non ci può essere un vero dominio nel mondo dei commerci senza possedere una moneta che sia punto di riferimento per questi stessi commerci. È questo è vero sin dai tempi più antichi, per lo meno da quando – così vuole la tradizione – apparve la prima forma di monetazione aurea per opera del mitico Creso18, re dalle proverbiali ricchezze. Le potenze marittime sono divenute imperi quando hanno saputo imporre la propria moneta a fondamento del proprio potere. La moneta (anche quella metallica) esiste in quanto poggia su un potere, e ogni regime monetario creato nella storia ha servito gli interessi di un gruppo dominante, nazionale o internazionale, che quel potere ha esercitato. Questo concetto vale da sempre, a maggior ragione a partire dalla rivoluzione industriale e agraria della fine del XVIII secolo, ma ancor di più a partire da quell’autentica rivoluzione finanziaria incominciata durante il XIX secolo.
Per secoli la sterlina inglese è stata la valuta di riferimento nei commerci internazionali, all’apice dell’impero britannico. Non è un caso che ancora oggi ogni banca centrale sia strutturata sull’esempio della Banca di Inghilterra. Questa venne fondata nel 1694 allo scopo di concedere al re Guglielo d’Orange i prestiti necessari per continuare le varie guerre che a quei tempi opponevano l’Inghilterra alla Francia di Luigi XIV, il celebre Roi Soleil. Guglielmo era un principe olandese che a seguito della cosiddetta Rivoluzione Gloriosa19 del 1688 si ritrovò ad essere insediato sul trono di Inghilterra, dopo aver detronizzato il sovrano Giacomo II, l’ultimo monarca di fede cattolica del regno. Va aggiunto, ad onor del vero, che la rivoluzione probabilmente non sarebbe mai andata a buon fine senza il tradimento di John Churchill, primo duca di Marlborough20, nonché antenato del più famoso Winston, che era a capo dell’esercito di Giacomo II. In cambio di un lauto vitalizio, con cui costruì la reggia di Blenheim21, egli tradì il suo re. Comunque, sta di fatto che nella giornata di giovedì 21 giugno 1694 vennero aperte le liste di sottoscrizione dell’appena costituita Banca di Inghilterra, che disponeva di un capitale 1.200.000 sterline. La legge con la quale la Banca di Inghilterra venne istituita fu votata in parlamento nel luglio successivo. “In quel fatidico 27 luglio 1694, quando venne concessa la patente costitutiva, erano presenti solo 42 membri, tutti del partito dei Whig22, ed hanno votato tutti a favore (i Tory23 erano contrari) […]. Il titolo della proposta di legge non faceva menzione della Banca d’Inghilterra, descritta, o si dovrebbe piuttosto dire, celata solo all’altezza dei due terzi dell’indecifrabile verbosità – almeno per i profani -del testo”24.
Insomma, con una legge votata tra il lusco ed il brusco si diede origine a quella che con buona approssimazione potremmo chiamare la prima forma moderna di moneta fiat, giacché la Banca d’Inghilterra fu subito autorizzata ad emettere 1.200.000 sterline come banconote senza copertura aurea. Tale situazione perdurò sino al 1844, quando col Bank act Charter25 venne istituito nel Regno Unito il regime monetario del gold standard, con cui si stabilì la convertibilità della moneta con un quantitativo di oro predefinito per legge. L’uso generalizzato del sistema aureo rimase in vigore praticamente sino alla prima guerra mondiale, allorquando per far fronte allo sforzo bellico gli stati dovettero iniziare a stampare moneta, causando così una tremenda inflazione, dal momento che in un rigido regime di gold standard l’ammontare della moneta emessa deve essere proporzionale alle riserve auree possedute. Gran Bretagna e USA abbandonarono quindi il gold standard. Fu una decisione inevitabile anche perché l’offerta limitata di moneta aveva sicuramente contribuito ad accentuare le conseguenze della crisi economica del ‘29. Fu però proprio nel periodo tra le due guerre mondiali che la sterlina perse a tutto vantaggio del dollaro il tradizionale ruolo di valuta di riserva internazionale che aveva avuto nei secoli precedenti.
Già nel 1944, quando si iniziava a intravvedere la disfatta della Germania nazista, i grandi della Terra si incontrarono a Bretton Woods26, nel New Ampshire, per progettare il sistema monetario internazionale che sarebbe sorto una volta terminato il conflitto. Anche il celebre economista John Maynard Keynes prese parte alla conferenza di Bretton Woods. Keynes si disse subito contrario a ristabilire il precedente sistema aureo, dal momento che questo alla lunga avrebbe causato tra le varie nazioni degli scompensi nella bilancia dei pagamenti che avrebbero potuto essere forieri di vere e proprie guerre valutarie. Infatti, si sarebbero avuti dei paesi con una bilancia commerciale fortemente in passivo ed altri con un avanzo largamente ingiustificato. Egli propose quindi l’adozione di una moneta parallela da usarsi solo negli scambi commerciali internazionali, chiamato bancor27, che nessun stato avrebbe potuto controllare o stampare, allo scopo di evitare il nascere di una valuta di riserva capace di generare i suddetti scompensi. Il fine era quello di fare in modo che quei paesi che, manipolando la propria valuta, fossero stati in grado di garantirsi un eccessivo surplus, fossero penalizzati al punto tale da considerare come conveniente la possibilità di una rivalutazione della propria moneta o di un aumento delle importazioni. La proposta di Keynes non venne però accettata e cadde presto nel dimenticatoio. Le decisioni della conferenza vennero indirizzate, come era del tutto prevedibile, secondo i dettami degli Stati Uniti, i quali non solo si stavano avviando a essere i veri vincitori della seconda guerra mondiale, ma erano anche il principale creditore a livello mondiale Temendo di perdere parte dei crediti che vantava con le nazioni in guerra, l’America impose il ritorno al gold standard e la nascita di un sistema monetario imperniato sul FMI e sulla supremazia del dollaro come valuta di riserva su scala internazionale (con il rapporto dollaro/oro fissato a 35 dollari l’oncia). In questo modo, però, furono gettate le basi per il mondo economico-finanziario che in misura ancora maggiore caratterizza questo inizio di XXI secolo: un sistema in cui i paesi indebitati col FMI devono porre il controllo dell’inflazione davanti ad altri obiettivi economici, come il conseguimento della piena occupazione, in cui devono rimuovere immediatamente le barriere che potrebbero essere di ostacolo per i commerci ed il libero flusso di capitali, devono liberalizzare i loro sistemi bancari, ridurre la spesa pubblica per tutto tranne che per i rimborsi del debito ed infine privatizzare i beni che possono essere venduti a investitori stranieri28.
Tuttavia, il nuovo sistema aureo uscito dagli accordi di Bretton Woods non durò a lungo. Sopraggiunse un problema: quello che gli economisti chiamano Dilemma o paradosso di Triffin29. Si tratta di una teoria economica che asserisce che il paese che emette la moneta riserva di valore mondiale prima o poi si troverà ad affrontare una situazione paradossale nella quale dovrà scegliere se continuare a difendere la propria moneta come valuta di riserva globale oppure intraprendere al proprio interno politiche economiche in contrasto con gli obiettivi socio-economici che si vorrebbe raggiungere. Succede infatti che tutti gli altri paesi diventano desiderosi di fare incetta della moneta riserva per poter commerciare liberamente in tutto il mondo, vendere ciò che producono e pagare le materie prime di cui hanno bisogno. Così, a partire dal secondo dopoguerra, ogni economia cercò di accaparrarsi quanti più dollari possibile. Per farlo, l’unica maniera era di avere una bilancia delle partite correnti fortemente in attivo nei confronti degli USA: ossia esportare verso gli USA più di quanto non si importasse da essi. Allo stesso tempo gli USA, per non vedere crollare il ruolo del dollaro come moneta di riserva globale, dovettero garantire un supplementare apporto di dollari alle nazioni che ne facevano richiesta. Gli Stati Uniti si sono quindi trovati nella condizione di dover gestire grossi deficit commerciali al fine di mantenere la liquidità del mondo (altrimenti vi era il rischio che con carenza di dollari il commercio mondiale si arrestasse). Il dilemma di Triffin dunque ci dice che il paese che emette moneta internazionale deve quindi accettare crescenti disavanzi delle partite correnti al fine di soddisfare la domanda mondiale di valuta di riserva; ma nello stesso tempo i crescenti deficit indeboliscono la fiducia nella solidità della moneta nazionale usata come riserva standard internazionale. Da qui il paradosso.

Il primo presidente americano che cercò di mettere una pezza a questa situazione “paradossale” fu John Fitzgerald Kennedy il quale, per evitare che il paese sprofondasse in una spirale recessiva, approvò l’ordine esecutivo 1111030, con cui si permise al Tesoro americano “di emettere certificati sull’argento contro qualsiasi riserva d’argento, argento o dollari d’argento normali in possesso del Tesoro”. In pratica, questo voleva dire che per ogni oncia di argento nella cassaforte del Tesoro, il governo poteva mettere in circolazione nuova moneta alternativa alle banconote (Federal Reserve Notes è il loro vero nome31) emesse dalla Federal Reserve che – è bene ricordarlo – non è una banca di diritto pubblico “ma una struttura privata e indipendente dal governo statunitense con finalità pubblicistiche e con alcuni aspetti di natura privatistica. La FED viene considerata una banca centrale indipendente perché le sue decisioni non sono ratificate da alcun organo del potere esecutivo o legislativo”32.

- FONTI:
- 1 Schmitt Carl, Terra e Mare, Adelphi, Milano, pp. 79-80
- 2 Schmitt Carl, Il concetto di politico, in Le categorie del “politico”, tr. it. di P. Schiera, Il Mulino, Bologna, pp. 108-109, 111, 118-120.
- 3 https://it.wikipedia.org/wiki/Hyman_Rickover
- 4 https://forum.termometropolitico.it/667255-per-quanto-tempo-l-us-navy-puo-sopravvivere-una-guerra.html
- 5 https://www.forextradingitalia.it/riserve-petrolio-mondo#7_Russia_8211_1032_miliardi_di_barili
- 6 http://www.eniscuola.net/mediateca/riserve-di-gas-naturale-al-2017/?_p=2293
- 7 http://www.eniscuola.net/argomento/nucleare/conoscere-il-nucleare/dove-si-trova1/
- 8 https://it.actualitix.com/paese/wld/carbone-riserve.php
- 9 https://www.termometropolitico.it/1249167_mappe-risorse-naturali.html?cn-reloaded=1
- 10 https://it.rbth.com/economia/82460-qual-%C3%A8-il-reale-valore
- 11 https://www.politico.com/story/2014/03/john-mccain-russia-gas-station-105061
- 12 http://www.xinhuanet.com/english/2019-12/16/c_138635989.htm
- 13 https://it.wikipedia.org/wiki/Holodomor
- 14 https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_del_grano
- 15 https://www.bibliotecapleyades.net/sociopolitica/sociopol_russia76.htm
- 16 https://it.insideover.com/politica/fuga-dalle-persecuzioni-dei-neri-la-russia-accoglie-15mila-boeri.html
- 17 https://www.eia.gov/tools/faqs/faq.php?id=709&t=6
- 18 https://it.wikipedia.org/wiki/Creso
- 19 https://it.wikipedia.org/wiki/Gloriosa_rivoluzione
- 20 https://it.wikipedia.org/wiki/John_Churchill,_I_duca_di_Marlborough
- 21 https://en.wikipedia.org/wiki/Blenheim_Palace
- 22 https://it.wikipedia.org/wiki/Whig
- 23 https://it.wikipedia.org/wiki/Tory
- 24 Goodson Stephen Mitford, Storia delle banche centrali e dell’asservimento del genere umano, Ginko Edizioni, Verona, p.54.
- 25 https://it.wikipedia.org/wiki/Bank_Charter_Act
- 26 https://it.wikipedia.org/wiki/Accordi_di_Bretton_Woods
- 27 https://it.wikipedia.org/wiki/Bancor
- 28 https://www.theguardian.com/commentisfree/2008/nov/18/lord-keynes-international-monetary-fund
- 29 https://it.wikipedia.org/wiki/Dilemma_di_Triffin
- 30 https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_esecutivo_11110
- 31 https://www.investopedia.com/terms/f/federal-reserve-note.asp
- 32 https://it.wikipedia.org/wiki/Federal_Reserve_System
- PARTI PRECENDENTI:
- https://www.orazero.org/dalla-antica-alla-moderna-talassocrazia-piccole-note-di-storia-e-geopolitica-parte-1/