Mi è capitato spesso di imbattermi in conversazioni (anche qui su OraZero) dove si accenna alla possibilità di lasciare l’Italia per cercare fortuna all’estero.
E’ un desiderio che accomuna molte persone e, considerando la situazione dei paesi UE, ha pure una sua logica.
E’ importante però mettere in chiaro alcuni aspetti chiave e da non sottovalutare.
Partendo dal presupposto che “tutto è possibile” e che se uno vuole davvero può andarsene con 100 euro in tasca e ritrovarsi titolare di una azienda con 50 persone in Nicaragua 5 anni dopo, ci sono però delle situazione che prima o poi, chiunque decida di abbandonare il suolo italico, dovrà affrontare o quantomeno tenere a mente.
Questa non vuole essere una delle tante liste che si trovano su youtube o sui social media (ne’ tantomeno siti e forum di expat). Non vuole nemmeno scoraggiare chi è realmente intenzionato a muoversi in questo senso. Chiunque sia emigrato all’estero (anche solo per un breve periodo e anche qui su OraZero ci sono diversi afecionados che sono espatriati) si è trovato più o meno a dover affrontare queste problematiche.
Il mio pensiero va soprattutto a chi ha famiglia e che aspira ad un futuro migliore per i propri figli e per se’ stessi di conseguenza. Chi è single o pensionato ha diverse options e più facilità di scelta.
NON CREDERE AI TITOLONI AD EFFETTO
Quante volte si leggono post o articoli di persone che vivono in Messico o in Botswana e che ci raccontano le meraviglie del posto, di come è meglio dell’Italia (e magari su quello possono anche avere ragione) e soprattutto ci raccontano di essersi innamorati di quel paese durante un viaggio e romanticamente deciso di rimanere per sempre, magari invitando altri compatrioti a fare lo stesso.
In poche parole quello che descrivono E’ IMPOSSIBILE. O quantomeno non in quei termini.
Qualsiasi paese al mondo (TUTTI, dal più esotico a quello del terzo mondo) non ti permette di restare se non hai un visto. Tralasciando l’area Schengen (esiste ancora?), se vieni pescato ad estendere il tuo tourist visa ad cazzum vieni deportato di corsa o nei migliori casi fai la vita da illegale.
Se per avere un tourist visa bastano praticamente due click di mouse, ottenere un visto di lunga durata è decisamente più complesso.
La stragrande maggioranza dei paesi ti permette di avere un visto (la durata dipende dal tipo di visto, dal paese in cui ti trovi ecc) se hai un lavoro e se il datore di lavoro si applica per farti ottenere il visto lavorativo.
Gli ostacoli aumentano se ci si trova in uno stato meno “forte” economicamente (con alta disoccupazione) e comunque quasi tutti prima di accettartelo vogliono capire perché si è dovuti ricorrere all’assunzione di un immigrato piuttosto che di un locale. Ci sono logicamente lavori e professioni che tendenzialmente hanno meno difficoltà ad ottenere questi visti (insegnanti, medici, infermieri, ricercatori ecc) ma il processo burocratico è ricco di insidie comunque (esami di lingua, titoli accademici…).
Il visto lavorativo, se ottenuto, ti permette quasi sempre qualche anno di poter vivere “alla pari” dei locals.
Nei paesi più “gettonati” (Usa, Canada e Australia) e più ambiti di solito la gente prova ad entrare con un visto studentesco. Uno dei coniugi va a fare un corso di studio e l’altro mantiene la famiglia andando a lavorare.
In tutti e tre i Paesi però c’è da tenere a mente che chi studia (e pure il partner) hanno diritto di lavorare solo part-time. In USA il visto M1 visa ti concede il “lusso” di poter lavorare e fare training solo nel campo di studi che stai frequentando.
RESIDENZA E CITTADINANZA
Non sempre la differenza è chiara. Se si vuole emigrare definitivamente in un altro paese il visto lavorativo da solo NON è sufficiente perché molto spesso ha una durata predefinita. L’obiettivo da raggiungere è la residenza permanente che ti permette di vivere definitivamente senza vincoli lavorativi o di studio. La cittadinanza è tutto quello che offre la residenza permanente con l’aggiunta del passaporto e del diritto di voto.
MI APRO IL BAR SU UNA SPIAGGIA TROPICALE
Beh… non proprio…
Anche questo mito è da sfatare clamorosamente.
Se da un lato è vero che molti paesi offrono la possibilità di ottenere la residenza permanente attraverso un business visa aprendo un’attività, dall’altro c’è la “fregatura” dell’investimento minimo. Alcuni paesi sono più flessibili di altri, ma gli ostacoli sono parecchi e non solo di carattere economico.
Se da una parte i caraibi offrono magari normative più abbordabili, dall’altra c’è da tenere presente la concorrenza spietata di americani ed europei (molti probabilmente con più soldi di quello che la persona media possiede) già presente in loco. Partire da zero con un business (soprattutto buttandosi in un settore saturo come quello turistico) all’estero è quasi sicuramente un azzardo.
Il sud-est asiatico offre tantissime opportunità essendo ancora in via di sviluppo. I paesi sono davvero poco costosi e con un minimo investimento si potrebbe fare qualcosa di discreto.
Il condizionale usato non è casuale. Thailand, Vietnam e Cambodia ti permettono di aprire un business e diventare residente permanente, ma il tuo business deve essere condiviso come minimo al 50% con un local.
Gli US chiedono almeno un investimento iniziale di 800k USD in aree rurali o con alta disoccupazione. La cifra si alza ad un milione secco se si vuole aprire il business in tutte le altre aree del paese. L’Australia chiede almeno 1 milione di euro.
I pensionati hanno diverse options: quasi tutti paesi offrono programmi vantaggiosi. Anche qui però ci sono non poche insidie quindi bisogna valutare bene i requisiti iniziali minimi. E non solo riguardo all’età (che va di solito dai 55 anni in su).
Ad esempio, in Argentina e Brasile il minimo di pensione (o comunque reddito certo) è di 1000 USD al mese, in Cile tra il 1000 e 1500 USD. La Tailandia si spinge addirittura a 1800 USD al mese.
COME RISOLVERE LA QUESTIONE VISTI
Sempre tralasciando l’area Schengen, purtroppo non ci sono molte alternative se non quella di affidarsi ad avvocati e migration agents.
Consiglio di fare una lista di Paesi che possano interessare e da lì cominciare a spulciare le varie opportunità offerte dai siti UFFICIALI, giusto per rendersi conto di come quel paese lavora o ragiona. Molti paesi hanno una lista di professioni che sono “sponsorizzabili”. Il camionista o l’operaio generico difficilmente rientrano in queste liste. Più facile trovare in lavori specializzati come il saldatore o operatore di macchine particolari.
Posso garantire che sui siti non vengono menzionate tutte le options ne’ tantomeno le “zone grigie” ed è qui che tornano utili le figure dei migration agents.
In Australia la figura del cameriere non è nella lista governativa, però ho visto molte persone farsi “sponsorizzare” come restaurant manager (figura invece presente nella lista) e ottenere un visto di 4 anni con la possibilità di diventare residente permanente, per poi comunque lavorare come cameriere. Una di quelle famose “zone grigie” che non vengono mai descritte nei video su youtube o sui social media.
Gli unici che dunque possono aiutarti a trovare una via e rimanere nella legalità sono gli agenti di migrazione.
Sperare inoltre di avere un aiuto in tal senso dal vicino di casa o dal cassiere del supermercato è inutile.
Tu le conosci le leggi immigratorie italiane? La stessa cosa vale per loro. Non ne hanno la benché minima idea.
Non metto in discussione il fatto che sicuramente c’è il modo di “ungere” qualche funzionario in Bolivia piuttosto che in Tanzania, ma provare a corrompere l’ufficio immigrazione di uno stato dall’estero è pura follia. Se si ha qualche possibilità forse è conoscendo persone in loco. Soprattutto all’inizio non considerare questa opzione come fattibile.
DIFFICOLTA’ GENERALI (anche nei paesi UE)
Al primo posto la lingua. Semplice.
Che piaccia o meno, prima si impara la lingua locale meglio è. Fermo restando che conoscendo un po’ l’inglese ci si può arrangiare un po’ ovunque, c’è da considerare che la burocrazia (carte bollate, moduli…) ti verranno presentati in lingua locale. Anche sul posto di lavoro nessuno tradurrà ogni cosa per accomodare la tua incapacità di comunicare. Molto probabilmente anche Windows sarà in finlandese piuttosto che spagnolo o peggio ancora asiatico.
Vero è che noi italiani in fatto di lingue siamo più duri delle pigne, ma quante volte vi siete trovati a comunicare con immigrati in inglese? Sul posto di lavoro?
Anche se molti in Nord Europa parlano fluentemente la lingua della perfida Albione, saranno sicuramente più a loro agio nell’usare la propria, quella con cui parlano con gli altri colleghi mentre tu ti limiterai a fare qualche cenno con la testa e abbozzare un sorriso.
Secondo posto: quante possibilità hai di trovare lavoro?
Paesi altamente specializzati e con poca disoccupazione saranno molto più inclini ad assumere un local, piuttosto che un immigrato che non conosce la lingua.
Le cose cambiano se si possiedono esperienze o conoscenze altamente richieste.
Terzo posto: assistenza sanitaria.
Fuori dalla UE non tutti i Paesi includono l’assistenza sanitaria. Soprattutto stando ancora dentro il regime dei visti. Altri del terzo mondo offrono la sanità pubblica ma viene consigliato, per ovvi motivi, quella privata.
Quarto posto: le scuole.
Non sempre le scuole pubbliche sono buone e/o incluse nel visto. Alcuni Paesi ti obbligano a mandare i figli nelle scuole internazionali con costi astronomici.
Da questa lista ho volutamente lasciato fuori il denaro.
Ovviamente con più soldi si parte meglio è, sono convinto che se uno vuole i soldi lavorando li trova. Più complicato se si parte aprendo un business, tante incognite dovute a fornitori, clienti ecc.
Il costo della vita è quasi sempre proporzionato ai salari. Comparare il costo della spesa tra Russia, Canada e Italia è assolutamente inutile se non si hanno gli altri dati da poter valutare (bollette, auto, assicurazioni ecc).
GLI ITALIANI
Questo è puramente un parere personale (anche se molti expat la pensano come me).
Noi italiani siamo i peggiori di tutti.
Non sperate di emigrare in qualche paese e “appoggiarvi” sugli italiani.
Ammesso che sia una vostra conoscenza (e anche lì ci sarebbe da fare profondi ragionamenti…), o un familiare, consiglierei di starne alla larga. Il più possibile. Non ti aiutano mai per “carità cristiana”, hanno sempre un secondo fine, si tengono il segreto del loro successo per sé, se possono trarre vantaggio da te o dalla tua situazione saranno ben lieti di farlo.
NETWORK
La chiave per riuscire ad emigrare con successo sta, secondo me, nel creare un network di conoscenze tra la gente del luogo.
-Impara la lingua il più possibile e prima possibile.
-Fatti nuovi amici tra la popolazione locale.
-Chiedi informazioni e consigli su tutto (da come rinnovare la patente a come pagare meno tasse).
-Comincia a comportarti come loro il più possibile (segui gli sport più seguiti o la squadra di cui tutti parlano al lavoro). Non sono loro a doversi adattare a te, bensì il contrario. Ti aiuteranno a migliorare la comprensione e l’apprendimento della lingua stessa e saranno i primi a consigliarti e aiutarti quando sarai in difficoltà. Ti indicheranno dove trovare lavoro o quale supermercato è meno costoso.
-Evita di ghettizzarti con gli altri italiani e piagnucolare su quanto ti manca il “cappuccio e brioche”. Quante volte ci si è lamentati dei “nostri” immigrati che non si integrano, non imparano la lingua ecc?
-Se ti apri un ristorante o un’attività tieni presenti i gusti e gli interessi della gente. Non i tuoi.
Ho visto italiani (e pure bravi) duri e puri fallire coi loro ristoranti perché si rifiutavano di mettere la pizza con l’ananas nel menu (che qui in Australia è il top).
Logicamente ogni esperienza è, per definizione, una cosa personale.
Fortuna e sfiga rientrano pure nelle variabili e quelle sono al di là di ogni possibile previsione.
Qui ho cercato di porre l’accento non tanto sul dove andare (anche qui puramente soggettivo), ma portare alla luce quelle cose che spesso vengono omesse e tralasciate.
Se qualche expat (divertente che quando gli africani, messicani e asiatici emigrano vengono definiti immigrati, gli occidentali hanno un più chic termine come “expat”) avesse da aggiungere qualcosa, per poter aiutare chi è intenzionato a vedere cosa c’è al di là dei confini italici, è ovviamente benvenuto!
BY ZOODANY