Lo storico Emmanuel Todd ha il dono di suscitare emozioni con le sue analisi che vanno contro l’opinione comune. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina e le sue conseguenze, ha scelto di esprimersi in Giappone, dove le sue opinioni sono molto più accettate, in un libro pubblicato nel 2022 con il titolo scioccante: La terza guerra mondiale è cominciata. Lo spiega in una lunga intervista a Le Figaro.
Fin dal suo primo saggio su La caduta finale, lui stesso si è sempre interessato alla Russia. È stato testimone della sua spettacolare ripresa dopo l’ascesa al potere di Putin. Non è quindi troppo sorpreso dalla tenuta dell’economia e della società russe di fronte alle sanzioni occidentali. Ma confessa di essere rimasto sorpreso dalla capacità di recupero dell’Ucraina, quando nel 2014 vedeva il Paese sull’orlo del collasso e pronto ad entrare in guerra. Dopo tutto, gli ucraini sono anche tra i sovietici che hanno più eroicamente resistito a Hitler. In termini di spirito combattivo, sono probabilmente molto più vicini ai russi che all’Occidente… E hanno il sostegno incondizionato della NATO.
La cosa più importante per Emmanuel Todd è il fatto che questa guerra, crudele ma tutto sommato molto meno letale delle due guerre mondiali, è, come quelle guerre, una spettacolare ritirata per l’Europa. Infatti, anche se non siamo umanamente coinvolti nei combattimenti, ne subiamo le conseguenze attraverso lo shock alle nostre economie da un lato, e la nostra dipendenza strategica, politica ed economica da Washington dall’altro. Il mondo è più che mai tagliato in due, ed è per questo che si può parlare di una terza guerra mondiale, con da una parte gli Stati Uniti e i suoi vassalli, l’Anglosfera, il Giappone e la Corea, il Vecchio Continente e in parte l’America Latina (uno o due miliardi di persone al massimo), e dall’altra il resto del mondo (almeno sei miliardi di persone), che aborre l’Occidente e i suoi “valori”…
Grande Intervista.
Al di là del confronto militare tra Russia e l’Ucraina, l’antropologo insiste sull’aspetto ideologico e culturale di questa guerra e sulla contrapposizione tra l’Occidente liberale e il resto del mondo che ha abbracciato una visione conservatrice e autocratica. I più isolati non sono, secondo lui, quelli che si ritiene siano tali.
Emmanuel Todd è antropologo, storico, saggista, futurista e autore di numerose pubblicazioni. Alcuni di essi, come La Chute finale, L’Illusion o Après l’empire, sono diventati dei classici delle scienze sociali. Il suo ultimo libro, La Terza Guerra Mondiale è iniziata, è stato pubblicato nel 2022 in Giappone ed ha venduto 100.000 copie. Un pensatore scandaloso per alcuni, un intellettuale visionario per altri, un “ribelle distruttivo” secondo le sue stesse parole, Emmanuel Todd non lascia indifferenti. L’autore de La caduta finale, che aveva previsto il crollo dell’Unione Sovietica già nel 1976, era rimasto in disparte in Francia sulla questione della guerra in Ucraina. L’antropologo ha riservato la maggior parte dei suoi interventi sull’argomento al pubblico giapponese. Ha persino pubblicato un saggio dal titolo provocatorio: La Troisième Guerre mondiale a déjà commencé, La terza guerra mondiale è già iniziata. Per Le Figaro ha illustrato nei dettagli la sua tesi iconoclasta. In essa ci ricorda che mentre l’Ucraina resiste militarmente, la Russia non è stata schiacciata economicamente. Una doppia sorpresa che, secondo lui, rende incerto l’esito del conflitto.
LE FIGARO: perché pubblicare un libro sulla guerra in Ucraina in Giappone e non in Francia?
Emmanuel TODD: I giapponesi sono anti-russi quanto gli europei. Ma sono geograficamente lontani dal conflitto, quindi non c’è un vero senso di urgenza. Non hanno il nostro rapporto emotivo con l’Ucraina. E laggiù, non ho lo stesso status. Qui ho l’assurda reputazione di essere un “ribelle distruttivo”, mentre in Giappone sono un antropologo, uno storico ed un esperto di geopolitica rispettato, che si esprime in tutti i principali quotidiani e riviste, ed i cui libri vengono pubblicati. Lì posso esprimermi in un’atmosfera serena, cosa che ho fatto prima su delle riviste e poi pubblicando questo libro, che è una raccolta di interviste. Quest’opera si chiama La terza guerra mondiale è già iniziata, ed ha già venduto 100.000 copie fino ad oggi.
Perché questo titolo?
Perché questa è la realtà: la Terza Guerra Mondiale è già iniziata. È vero che è iniziata “in piccolo” e con due sorprese. Siamo entrati in questa guerra con il convincimento che l’esercito della Russia fosse molto potente e che la sua economia fosse invece molto debole. Si pensava che l’Ucraina sarebbe stata schiacciata militarmente e che la Russia sarebbe stata schiacciata economicamente dall’Occidente. Ma è successo il contrario. L’Ucraina non è stata schiacciata militarmente, anche se in questo momento ha perso il 16% del suo territorio. La Russia non è stata schiacciata economicamente. Mentre parlo, il rublo è salito dell’8% rispetto al dollaro e del 18% rispetto all’euro dal giorno prima dell’entrata in guerra.
C’è stato quindi una sorta di malinteso. Ma è ovvio che il conflitto, nel momento in cui è passato da una guerra territoriale circoscritta ad un confronto economico globale, tra l’intero occidente da una parte e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altra, è diventato una guerra globale. Quantunque la violenza militare sia bassa rispetto alle precedenti guerre mondiali.
Non sta esagerando? L’occidente non è coinvolto militarmente in maniera diretta…
Stiamo comunque fornendo armi. Stiamo uccidendo i russi, anche senza esporci direttamente. Ma resta vero che noi europei siamo coinvolti economicamente. Sentiamo che la nostra vera entrata in guerra sta arrivando attraverso l’inflazione e la penuria. Putin ha commesso un grosso errore all’inizio, che presenta un immenso interesse sociale e storico. Coloro che si occupavano dell’Ucraina alla vigilia della guerra vedevano il paese non come una democrazia nascente, ma come una società in decomposizione e come uno “stato fallito” in divenire. Ci si chiedeva se l’Ucraina avesse perduto 10 o 15 milioni di persone dalla sua indipendenza. Non è possibile saperlo con esattezza perché l’Ucraina non fa un censimento dal 2001, un classico segno di una società che ha paura della realtà. Penso che il Cremlino abbia calcolato che questa società in decadenza sarebbe crollata al primo shock, o addirittura avrebbe detto “bentornata madre” alla Santa Russia. Ma si è scoperto, al contrario, che una società in decadenza, se alimentata da risorse finanziarie e militari esterne, può trovare nella guerra un nuovo tipo di equilibrio, e persino un orizzonte, una speranza. I russi non potevano prevedere tutto questo. Nessuno ci è riuscito.
Ma i russi non hanno forse sottovalutato, nonostante lo stato di decomposizione della società, la forza del sentimento nazionale ucraino, o anche la forza del sentimento europeo a sostegno dell’Ucraina? E lei stesso non lo sta sottostimando?
Non lo so. Ci sto lavorando, ma in qualità di ricercatore, ovvero ammettendo che ci sono cose che non si conoscono. E per me, stranamente, uno dei campi in cui non ho abbastanza informazioni per prendere una decisione in merito, è l’Ucraina. Potrei dirvi, basandomi su vecchi dati, che il sistema familiare della piccola Russia1 era nucleare, più individualista rispetto al sistema della Grande Russia2, che era più comunitario, collettivista. Questo ve lo posso dire; ma cosa sia diventata l’Ucraina dopo massicci movimenti di popolazione, auto-selezione di certi tipi sociali attraverso la permanenza sul posto o l’emigrazione prima e durante la guerra, beh, di questo non posso parlarvene; per il momento non lo sappiamo.
Uno dei paradossi che devo affrontare è che la Russia non mi pone problemi di comprensione. Questo è il punto in cui sono più in disaccordo con il mio essere occidentale. Capisco le emozioni di tutti, ma è difficile per me parlare freddamente da storico. Ma quando si pensa a Giulio Cesare che cattura Vercingetorige ad Alesia, per poi portarlo a Roma per celebrare il suo trionfo, non ci si chiede se i Romani fossero cattivi o carenti di valori. Oggi, nell’emozione generale, in sintonia con il mio Paese, vedo l’ingresso dell’esercito russo in territorio ucraino, i bombardamenti e le morti, la distruzione delle infrastrutture energetiche, gli ucraini che muoiono di freddo per tutto l’inverno. Ma per me il comportamento di Putin e dei russi può essere letto in modo diverso, e vi dirò come. Per cominciare, devo ammettere che sono stato colto di sorpresa dall’inizio della guerra, non ci credevo. Condivido ora l’analisi del geopolitico “realista” americano John Mearsheimer. Quest’ultimo ha fatto la seguente osservazione: ci ha detto che l’Ucraina, il cui esercito è stato preso in consegna da soldati della NATO (americani, britannici e polacchi) almeno a partire dal 2014, era quindi un membro de facto della NATO e che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato un’Ucraina membro della Nato. Questi russi stanno quindi (come ci ha detto Putin alla vigilia dell’attacco) conducendo una guerra che dal loro punto di vista è difensiva e preventiva. Mearsheimer ha anche aggiunto che non dovremmo avere motivo di rallegrarci di eventuali difficoltà dei russi perché, trattandosi di una questione esistenziale per loro, quanto più diventa difficile la situazione per loro tanto più forte colpiranno. L’analisi sembra essere veritiera. Aggiungerei un complemento ed una critica all’analisi di Mearsheimer.
Quali?
Per la cronaca: quando dice che l’Ucraina era un membro de facto della Nato, non si spinge abbastanza in là. La Germania e la Francia sono diventate partner minori della NATO e non erano a conoscenza di ciò che si stava tramando in Ucraina sul piano militare. L’ingenuità francese e tedesca è stata criticata perché i nostri governi non hanno creduto alla possibilità di un’invasione da parte della Russia. Certo, ma perché non sapevano che gli americani, i britannici e i polacchi avrebbero permesso all’Ucraina di essere in grado di condurre una guerra allargata. L’asse portante della Nato è ora Washington-Londra-Varsavia-Kiev. Ora la critica: Mearsheimer, da buon americano, sopravvaluta il suo Paese. Lui ritiene che, se per i russi la guerra in Ucraina è esistenziale, per gli americani è fondamentalmente solo un altro “gioco” di potere. Dopo Vietnam, Iraq e Afghanistan, un’altra disfatta in più od in meno… Che importanza ha? L’assioma fondamentale della geopolitica americana è: “Possiamo fare quello che vogliamo perché siamo al sicuro, lontani, tra due oceani, non ci succederà mai nulla”. Niente sarebbe esistenziale per l’America. Insufficienza nell’analisi che oggi porta Biden a una corsa a perdifiato! L’America è fragile. La resistenza dell’economia russa sta spingendo il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno poteva prevedere che l’economia russa avrebbe retto contro la “potenza economica” della NATO. Credo che i russi stessi non se lo aspettassero.
Se l’economia russa dovesse resistere alle sanzioni per un tempo indefinito e riuscisse ad esaurire l’economia europea, mentre essa stessa sopravvive con l’appoggio della Cina, il controllo esercitato dagli Stati Uniti sul sistema monetario e finanziario mondiali crollerebbe, e assieme a tutto ciò anche la possibilità degli USA di finanziare a costo zero il proprio enorme deficit commerciale. Quindi questa guerra è diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Né gli Stati Uniti né la Russia possono ritirarsi dal conflitto o lasciare la presa. Ecco perché siamo ormai in una guerra senza fine, in un confronto il cui esito dovrà essere il crollo o dell’uno o dell’altro. I cinesi, gli indiani e i sauditi, tra gli altri, gongolano.
Ma l’esercito russo sembra ancora in una pessima posizione. Alcuni si spingono a prevedere il crollo del regime, lei non ci crede?
No, all’inizio sembra che in Russia ci sia stata un’esitazione, un sentimento di essere stati abusati, di non essere stati avvertiti. Ma ora i russi si sono assestati nella guerra, e Putin sta traendo vantaggio da qualcosa di cui non abbiamo idea, ovvero il fatto che gli anni 2000, gli anni di Putin, sono stati per i russi gli anni del ritorno all’equilibrio, di un ritorno alla vita normale. Penso che Macron rappresenterà per i francesi, al contrario, la scoperta di un mondo imprevedibile e pericoloso, un ricongiungimento con la paura. Gli anni ’90 sono stati un periodo di sofferenza senza precedenti per la Russia. Gli anni 2000 sono stati un ritorno alla normalità, e non solo in termini di tenore di vita: abbiamo assistito a un crollo dei tassi di suicidio e di omicidio e, soprattutto, del mio indicatore feticcio, il tasso di mortalità infantile, che è crollato ed è addirittura sceso al di sotto di quello degli Stati Uniti. Nella mente dei russi, Putin incarna (in senso forte e cristologico) questa stabilità. E, fondamentalmente, i russi comuni credono, come il loro presidente, che stiano combattendo una guerra difensiva. Sono consapevoli di aver commesso degli errori all’inizio, ma la loro buona preparazione economica ha aumentato la loro fiducia, non tanto nei confronti dell’Ucraina (la resistenza ucraina è interpretabile per loro, sono coraggiosi come russi, mai gli occidentali avrebbero combattuto così bene!) ma contro quello che chiamano “l’Occidente collettivo”, o “gli Stati Uniti e i suoi vassalli”. La vera priorità del regime russo non è la vittoria militare sul campo ma il non perdere la stabilità sociale acquisita negli ultimi 20 anni.
Quindi stanno conducendo questa guerra “all’economia”, soprattutto all’economia degli uomini. Perché la Russia ha ancora un problema demografico, con un tasso di fertilità pari a 1,5 figli per donna. Tra cinque anni ci saranno gruppi di età vuoti. A mio parere, essi devono vincere la guerra in cinque anni, o perderla. Un periodo normale per una guerra mondiale. Così stanno combattendo questa guerra sull’economia, ricostruendo un’economia di guerra parziale, ma volendo preservare gli uomini. Questo è il significato del ritiro da Kherson, dopo quelli dalle regioni di Kharkiv e Kiev. Noi contiamo i chilometri quadrati riconquistati dagli ucraini, ma i russi stanno aspettando la caduta delle economie europee. Siamo il loro fronte principale. Potrei sbagliarmi, naturalmente, ma io vivo con l’idea che il comportamento russo sia leggibile, in quanto razionale e tenace. Le incognite sono altrove.
Lei spiega che i russi percepiscono questo conflitto come “una guerra difensiva”, ma nessuno ha tentato di invadere la Russia, e oggi, a causa della guerra, la Nato non ha mai avuto così tanta influenza a est con i paesi baltici che vi vogliono aderire.
Per rispondere alla sua domanda, propongo un esercizio psico-geografico, che può essere fatto attraverso un procedimento di zumata verso l’indietro. Se guardiamo la mappa dell’Ucraina, notiamo l’ingresso delle truppe russe da nord, da est, da sud… E là, in effetti, abbiamo la visione di un’invasione russa, non c’è altra parola. Ma se ingrandiamo molto, verso una percezione del mondo verso una percezione del mondo, diciamo a Washington, vediamo che cannoni e missili della Nato stanno convergendo sul campo di battaglia da molto lontano; un movimento d’armi questo iniziato ben prima della guerra. Bakhmut è a 8400 chilometri da Washington ma a 130 chilometri dal confine con la Russia. Una semplice visione del mappamondo permette, credo, di prendere in considerazione l’ipotesi che “Sì, dal dal punto di vista russo, questa deve essere una guerra difensiva”.
A suo avviso, l’entrata in guerra della Russia si spiega anche con il relativo declino degli Stati Uniti…
In Dopo l’Impero, pubblicato nel 2002, ho parlato del declino a lungo termine degli Stati Uniti e del ritorno del potere della Russia. Dal 2002, l’America è incappata in una serie di fallimenti e ritiri. Gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq ma se ne sono andati lasciando l’Iran in qualità di attore importante in Medio Oriente. Sono fuggiti dall’Afghanistan. Il vassallaggio dell’Ucraina nei confronti dell’Europa e degli Stati Uniti non ha rappresentato un aumento del dinamismo occidentale ma l’esaurimento di un’ondata iniziata nel 1990 e portata avanti dal risentimento anti-russo che alberga tra i polacchi e i baltici. È in questo contesto di reflusso americano che i russi hanno deciso di mettere alle strette l’Ucraina, perché sentivano di avere finalmente i mezzi tecnici per farlo. Ho appena finito di leggere un libro di S. Jaishankar, ministro degli Esteri indiano, The Indian Way, pubblicato poco prima dell’inizio della guerra, che vede la debolezza americana e che è cosciente che il confronto tra Cina e Stati Uniti non produrrà alcun vincitore ma darà spazio a un Paese come l’India e a molti altri. Aggiungerei: ma non agli europei. Ovunque si assiste all’indebolimento degli Stati Uniti, ma non in Europa e Giappone, per il semplice fatto che uno degli effetti del ridimensionamento del sistema imperiale è che gli Stati Uniti stanno rafforzando la loro presa sui loro protettorati originari.
Se si legge Brzeziński (La Grande Scacchiera), si vede che l’impero americano si è costituito alla fine della seconda guerra mondiale con la conquista della Germania e del Giappone, che sono ancora al giorno d’oggi suoi protettorati. Tanto più il sistema americano si contrae, tanto più esso pesa sulle élite locali dei paesi vassalli (e qui includo l’intera Europa). I primi a perdere ogni autonomia nazionale saranno (o sono già) gli inglesi e gli australiani. Internet ha prodotto nell’Anglosfera un’interazione umana con gli Stati Uniti di tale intensità che le loro élite accademiche, mediatiche e artistiche sono, per così dire, annesse a quelle americane. Nel continente europeo siamo in un certo senso protetti dalle nostre lingue nazionali, ma la caduta della nostra autonomia è notevole e rapida. Ricordiamoci della guerra in Iraq, allorché Chirac, Schröder e Putin facevano conferenze stampa congiunte contro la guerra.
Molti osservatori sottolineano che la Russia ha il PIL della Spagna. Non sopravvaluta il suo potere economico e la sua capacità di resistenza?
La guerra diventa un test di economia politica, è il grande rivelatore. Il PIL di Russia e Bielorussia è pari al 3,3% del PIL occidentale (USA, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud), praticamente nulla. Ci si chiede come questo insignificante PIL possa far fronte alla guerra e continuare a produrre missili. Il motivo è che il PIL è una misura fittizia della produzione. Se si togliesse dal calcolo del PIL dell’America la metà della sua spesa sanitaria eccessivamente sovra-fatturata, e poi la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più piene al mondo, e quindi quanto determinato da un’intera economia di servizi non ben definiti, tra cui la “produzione” assicurata dai suoi 15-20.000 economisti dallo stipendio medio di 120.000 dollari, ci renderemmo conto che una parte significativa di questo PIL è costituita di aria fritta. La guerra ci riporta all’economia reale, ci permette di capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, ossia la capacità di produzione, e quindi la capacità di far fronte ad una guerra. Se torniamo alle variabili materiali, vediamo cosa sia realmente l’economia russa. Nel 2014, abbiamo messo in atto le prime sanzioni importanti contro la Russia, ma poi questa ha aumentato la sua produzione di grano da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020. Mentre, grazie al neoliberismo, la produzione di grano degli USA tra il 1980 e il 2020 è scesa da 80 a 40 milioni di tonnellate. La Russia è diventata anche il più grande esportatore di tecnologia nucleare. Nel 2007, gli americani si vantavano del fatto che il loro avversario strategico si trovava in uno stato di decadenza nucleare tale che da lì a poco gli Stati Uniti avrebbero avuto la possibilità di colpire per primi una Russia incapace di reagire. Oggi sono i russi ad avere una netta superiorità nucleare grazie ai loro missili ipersonici.
Quindi la Russia ha una reale capacità di adattamento. Quando si vuole prendere in giro un’economia centralizzata, ne sottolineiamo la rigidità, e quando lodiamo il capitalismo, ne elogiamo la flessibilità. Questo è vero. Affinché un’economia sia flessibile, è necessario avere sul mercato appositi strumenti finanziari e monetari. Ma prima di tutto è necessaria una popolazione attiva che sappia fare le cose. Gli Stati Uniti hanno ora una popolazione più che doppia rispetto alla Russia (2,2 volte nelle fasce di età degli studenti). Tuttavia, con proporzioni di coorti comparabili di giovani che frequentano l’istruzione superiore, negli Stati Uniti il 7% studia ingegneria, mentre in Russia questa percentuale è pari al 25%. Questo significa che con un numero di persone che studiano 2,2 volte inferiore rispetto agli americani, i russi formano il 30% in più di ingegneri. Gli Stati Uniti colmano questo vuoto con studenti stranieri, ma si tratta prevalentemente di studenti indiani e ancora più cinesi. Questa risorsa sostitutiva non è sicura e sta già diminuendo. Questo è il dilemma fondamentale dell’economia statunitense: può far fronte alla concorrenza cinese solo importando manodopera qualificata essa stessa cinese. Propongo qui il concetto di equilibrismo economico. L’economia russa, che ha d’altra parte accettato le regole del mercato (è persino un’ossessione di Putin il preservarle) ma con un ruolo molto ampio da parte dello Stato, trae la sua flessibilità dalla continua formazione di questi ingegneri che consentono adattamenti industriali e militari.
Molti osservatori pensano, al contrario, che Vladimir Putin abbia tratto profitto dalla rendita delle materie prime senza aver saputo sviluppare la propria economia…
Se così fosse, questa guerra non ci sarebbe stata. Una delle cose più importanti di questo conflitto, che è anche ciò che lo rende così incerto, è che pone (come ogni guerra moderna), la questione dell’equilibrio tra tecnologia avanzata e produzione di massa. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti dispongano di alcune delle tecnologie militari più avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini. Ma quando si entra nel lungo periodo, in una guerra di logoramento, non solo in termini di risorse umane, ma anche in termini di risorse materiali, la capacità di continuare dipende dall’industria di produzione di armi di fascia più bassa. E noi ritroviamo che rientra dalla finestra la questione della globalizzazione e il problema di fondo di noi occidentali: abbiamo de-localizzato una parte così grande delle nostre attività industriali che non sappiamo più se la nostra produzione bellica possa tenere il passo. Il problema non viene negato. La CNN, il New York Times e il Pentagono si chiedono se l’America sarà capace di riavviare le linee di produzione di questo o quel tipo di missile. Ma non è nemmeno chiaro se i russi siano in grado di reggere il ritmo di un simile conflitto. L’esito e la soluzione della guerra dipenderanno dalla capacità di entrambi i sistemi di produrre armi.
Secondo lei, questa guerra non è solo militare ed economica, ma anche ideologica e culturale…
Parlo qui soprattutto come antropologo. In Russia, ci sono state strutture familiari più dense e comunitarie, dove alcuni valori sono sopravvissuti. C’è un sentimento patriottico russo che qui non conosciamo, alimentato dal subconscio di una famiglia-nazione. La Russia aveva un sistema familiare patrilineare, cioè quella in cui gli uomini sono centrali, e non può pertanto aderire a tutte le innovazioni occidentali neo-femministe, LGBT, transgender… Quando vediamo la Duma russa approvare una legislazione ancora più repressiva contro la “proganda LGBT”, ci sentiamo superiori. Lo posso io stesso sentire, in quanto normale cittadino occidentale. Ma da un punto di vista geopolitico, se pensiamo in termini di soft power, è un errore. Sul 75% del pianeta, l’organizzazione famigliare tende ad essere patrilineare e si percepisce una forte comprensione verso gli atteggiamenti russi. Per il non-occidente collettivo, la Russia afferma un conservatorismo morale rassicurante. L’America Latina, tuttavia, è in questo caso dalla parte dell’occidente. Quando ci si occupa di geopolitica, si è interessati a molteplici ambiti: le reciproche relazioni di forza in campo energetico e militare, la produzione di armi (che si riferisce ai rapporti di forza industriali). Ma ci sono anche i rapporti di forza di stampo ideologico e culturale, cioè quello che gli americani chiamano “soft power”. L’URSS aveva una certa forma di soft power, ovvero il comunismo, che ha influenzato una certa parte dell’Italia, i cinesi, i vietnamiti, i serbi, gli operai francesi… Ma il comunismo era fondamentalmente aborrito da tutto il mondo musulmano a causa del suo ateismo e non ispirava nulla di speciale in India, al di fuori del Bengala occidentale e del Kerala. Oggi, tuttavia, la Russia, nel momento in cui si è riposizionata come archetipo di grande potenza non solo anti-coloniale ma anche patrilineare e conservatrice dei costumi tradizionali, può sedurre molto di più. Gli americani si sentono ora traditi dall’Arabia Saudita, che si rifiuta di aumentare la sua produzione di petrolio nonostante la crisi energetica causata dalla guerra e che si schiera di fatto con i russi: in parte, ovviamente, per interessi petroliferi. Ma è evidente che la Russia di Putin, divenuta moralmente conservatrice, appare simpatetica con l’animo dei sauditi. I sauditi che sono sicuro stiano avendo non pochi fastidi con i dibattiti americani circa l’accesso alla toilette per le donne da parte di individui transgender (definiti come maschi al momento del concepimento).
I giornali occidentali sono tragicamente divertenti, continuano a dire: “La Russia è isolata, la Russia è isolata, la Russia è isolata”. Ma se si guarda alle votazioni delle Nazioni Unite, si vede che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che quindi appare molto piccolo. Se si è antropologi, si può spiegare questa distribuzione su una mappa come da un lato i Paesi aventi un buon livello di democrazia così come classificati dal The Economist (cioè l’Anglosfera, l’Europa…), dall’altro lato i paesi autoritari, che si estendono dall’Africa alla Cina, attraverso il mondo arabo e la Russia. Per un antropologo, questa è una mappa banale. Alla periferia “occidentale” si trovano i paesi con una struttura familiare nucleare con sistemi di parentela bilaterali, ossia dove i genitori maschi e femmine sono equivalenti nel definire lo status sociale del bambino. E al centro, con il grosso della massa afro-eurasiatica, troviamo comunità e organizzazioni familiari patrilineari. Possiamo quindi vedere che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici. Sono questa inconsapevolezza e profondità a rendere il confronto pericoloso.
1 https://fr.wikipedia.org/wiki/Petite_Russie
2 https://fr.wikipedia.org/wiki/Grande_Russie