Così Eugenio Caruso racconta, esperto di direzione di progetti di ricerca e sviluppo, di gestione d’impresa, di marketing e comunicazione :
Nel giugno 1981 il governo decide un provvedimento fondamentale per incidere sul debito pubblico: il divorzio tra tesoro e Banca d’Italia. Quest’ultima non avrebbe più finanziato il deficit dello stato stampando banconote, il deficit sarebbe stato compensato, invece, attingendo al risparmio privato attraverso l’emissione di titoli di debito pubblico (bot, cct, btc). Questa decisione viene tuttora difesa a spada tratta dagli estensori, ma quello che risulta dai fatti è che la Banca d’Italia, che aveva sempre fatto da freno, perde il controllo del debito pubblico, il debito diventa strumento di gestione politica del sottogoverno, gli interessi che il tesoro deve pagare sui titoli di debito pubblico vanno ad accrescere il debito stesso, tanto che si arriverà a ridurre la spesa corrente ma ad aumentare il debito per effetto degli interessi da pagare.
La gestione delle imprese pubbliche ha completamente perso di vista i criteri dell’efficienza, della competitività, della capacità di stare al passo con i cambiamenti. Ammetterà Gianni De Michelis, vent’anni dopo il suo ministero alle partecipazioni statali del 1980, che la degenerazione del rapporto tra imprese pubbliche e partiti «rese impossibile al management delle imprese di compiere in modo corretto il loro dovere. La pressione della politica era tale che finiva per deresponsabilizzare i dirigenti, e il fatto che le perdite di bilancio venissero giustificate con ragioni politiche o con ragioni sociali distoglieva i manager dall’obiettivo di rimettere a posto i bilanci. Si creava addirittura l’effetto opposto: visto che era perfettamente giustificabile perdere cento miliardi, veniva meno qualsiasi preoccupazione di perderne duecento o trecento».

Un altro elemento distorcente dell’economia è rappresentato dai trattamenti retributivi dei dipendenti delle aziende pubbliche: la difesa corporativa dei salari di queste aziende prevale sulla difesa dei milioni di italiani che pagano bollette (elettricità, gas, acqua, telefono) gonfiate a causa di trattamenti retributivi altamente superiori alla media e nessuno pensa di porre un limite allo scandalo di stipendi del 30 – 40% più alti degli stipendi delle imprese private. Comunque, tutta la politica salariale degli anni ’80 deve sottostare al principio del meccanismo dell’adeguamento automatico; le vicende di tutto il decennio mostrano che i limitati successi di politica monetaria (stabilità del cambio lira/marco, liberalizzazione dei movimenti di capitale, riduzione della banda di oscillazione della lira nello Sme) non sono in grado di portare la nostra economia alla stabilità, di fronte ai comportamenti incoerenti della politica di bilancio e di quella salariale.
Nell’arco di quarantacinque anni la struttura dell’economia italiana è cambiata profondamente, ma quello che avrebbe dovuto essere il punto di forza del capitalismo e cioè il rafforzamento della competitività ha subìto i cambiamenti meno significativi, quando non negativi.
La grande impresa è rimasta debole e il sistema finanziario cristallizzato in un immobilismo patologico, cosicché, i vecchi limiti del capitalismo, dell’essere senza capitale, della scarsa attitudine a rischiare, dell’abitudine ad adagiarsi sull’investimento dello stato sono rimasti una costante della politica industriale italiana.
Dalla crisi degli anni settanta alcune imprese hanno tratto la forza per un rilancio e una rigenerazione; le piccole e medie imprese, reinvestendo gli utili, sono state in grado di affrontare le sfide dell’innovazione tecnologica se non addirittura della diversificazione dell’area di business, la grande impresa, per lo più, ha visto, invece, aggravati tre aspetti: il rapporto industria-finanza, la cultura imprenditoriale, la struttura familiare.

L’estinzione dei dinosauri di Stato

Eugenio Caruso in foto:

i grandi dinosauri politici, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito Comunista e i partiti minori, nell’arco di pochi anni siano scomparsi, uccisi dalla mancanza del cibo che li manteneva in vita: il consociativismo e la contrapposizione ideologica tra comunismo e capitalismo. Contestualmente sono scomparsi o hanno modificato la loro natura i dinosauri economici, le cosiddette “partecipazioni statali”: l’Iri, l’Eni, l’Enel, l’Egam, l’Efim, la Gepi, la Sip, la cui privatizzazione è stata imposta dalle leggi di mercato. L’ultimo grande dinosauro italiano, quello più duro a estinguersi, è il sindacato, anche se è stato sgretolato, prima dalle lotte intestine, e, infine, dalle battaglie perse dalla Fiom contestata e inascoltata dalle stesse organizzazioni territoriali. Gli scheletri e i retaggi di quell’era incombono ancora sul paese con un carico di corporativismo, improduttività, inefficienze ed egoismi, ma il lascito più gravoso è lo stock del debito pubblico che peserà come un macigno sulle generazioni future.

Quello che gli italiani devono sapere affinché il Paese non ripercorra gli errori di un passato non molto lontano.
L’Italia, tigre economica degli anni cinquanta e sessanta, sta diventando un Paese sempre più povero.
Settantatre anni, cattedra di fisica all’università, alto dirigente nell’industria, consulente aziendale nell’imprenditoria il professor Caruso è autore di libri.