[Articolo aggiornato il 25/02/2021] Per una corretta comprensione della natura del processo economico, bisogna capire come funziona il processo di creazione, ricostituzione, aumento e circolazione della ricchezza. 

In un’economia di baratto i prodotti (merci e servizi) si comprano con altri prodotti.

Tuttavia, l’affermazione che i prodotti si comprano con altri prodotti, subito evidente in un’economia di baratto, non viene né meno né viene attenuata in un’economia monetaria, dove cioè esiste un mezzo che funge da intermediario dello scambio.

In un’economia monetaria, il denaro viene a fare da tramite nella compravendita, ma anche il denaro lo si ottiene cedendo beni e questi si ottengono cedendo denaro.

La ricchezza complessiva è quindi, allo stesso tempo, domanda e offerta; domanda e offerta sono due lati della stessa medaglia e quest’ultima va a disegnare il reddito.

Perché l’offerta va a disegnare il reddito?

Chi vende mele e desidera acquistare arance, deve per forza vendere quelle mele con cui acquistare le arance desiderate; le mele pertanto vanno a costruire il reddito, così come d’altronde, dall’altra parte, le arance, dato che chi vende arance ha desiderato con queste acquistare mele e per tal motivo ha dovuto per forza vendere le sue arance.

Stando così le cose, è chiaro il perché è l’offerta a materializzare la domanda e non viceversa; ciò che limita la domanda, virtualmente illimitata, è pertanto l’offerta, cioè il reddito.

Ma da cosa nasce e come si sviluppa l’offerta?

Senza accumulazione di beni di capitale (ossia degli stadi intermedi, soggettivamente considerati come tali, nei quali si plasma o si materializza ogni processo produttivo intrapreso dall’attore) il tenore di vita sarebbe assolutamente primitivo, perché gli esseri umani produrrebbero con le sole nude mani, cioè senza l’aiuto di alcun (vero) strumento, i beni di consumo necessari.

Le nazioni più ricche sono tali perché detengono una maggior rete di beni di capitale imprenditorialmente ben investiti, che si è resa possibile solo grazie al risparmio, inteso come rinuncia al consumo immediato diretta all’investimento, precedente dei suoi cittadini.

Un incremento del risparmio, risultante da un abbassamento del tasso interesse puro (il prezzo della preferenza temporale), rende possibile un indebitamento a più lungo termine e quindi costituire una struttura produttiva più lunga (più fasi) e pertanto un aumento degli investimenti. 

Questo aumento degli investimenti, a sua volta, accresce la produttività dei fattori e quindi l’offerta di prodotti, come pure la loro qualità; la conseguente riduzione dei prezzi permette l’assorbimento di questi prodotti in più; l’esito finale del processo è un aumento della produzione e del reddito reale. 

Al crescere del reddito reale, l’utilità marginale del denaro presente scende rispetto a quella del denaro futuro, e quindi, a parità di condizioni, il tasso di interesse puro scende; come conseguenza, aumentano i risparmi e gli investimenti e il reddito reale futuro sarà più elevato.

La prosperità economica è determinata allora dalle differenze fra i prezzi dei prodotti e i prezzi dei fattori necessari per produrli nelle diverse fasi del ciclo di produzione, cioè i ritorni sugli investimenti, non dal livello dei consumi. 

Quando la persona, in qualità di consumatore, paga e acquista una merce o un servizio, non fa altro che reintegrare e ricostituire al venditore tutto quello che ha speso in anticipo nella produzione del bene venduto più il profitto necessario per perpetuarne l’attività.

Il profitto altro non è allora che Il surplus, cioè quella parte della produzione che eccede il rinnovo dei fattori di produzione.

In base a quanto, possiamo definire produttivo soltanto quello che è in grado di procurare alle attività economiche un surplus rispetto alla ricchezza consumata, consentendo in tal modo la possibilità di perpetuarle; senza surplus un’attività non può sopravvivere a meno che non ottenga il surplus di altre attività.

Di conseguenza, lo sviluppo economico avviene attraverso l’accumulazione, cioè l’utilizzo del surplus per il rinnovo dei beni di capitale impiegati e la formazione di nuovi beni di capitale; la domanda aggregata è funzione dei beni di capitale e può aumentare sostenibilmente solo se aumentano sostenibilmente anche questi, dato che uno spostamento di risorse verso il consumo immediato si rifletterà in una minore proporzione degli investimenti rispetto ai consumi e quindi in un maggior tasso puro di interesse. 

Ricapitolando, possiamo così riassumere: senza accumulazione di beni di capitale il tenore di vita sarebbe assolutamente primitivo; il risparmio è la condicio sine qua non per accumulare beni di capitale; attraverso i beni di capitale si sviluppa la produzione, cioè l’offerta; il potere del consumatore, cioè della domanda, si manifesta nel determinare la direzione dei beni di capitale verso quelle produzioni che appagano le sue preferenze; il surplusconsente alla produzione di perpetuarsi; un incremento del risparmio, risultante da una riduzione della preferenza temporale, conduce a una riduzione del tasso di interesse puro e a un nuovo equilibrio con una struttura produttiva più lunga, accrescendo quantità e qualità dei beni e del reddito reale.

Per mantenere un tenore di vita più elevato, la struttura produttiva (la struttura dei beni di capitale) deve essere allungata permanentemente; mano a mano che i beni di capitale aumentano e vengono reintegrati, c’è una crescente necessità di fondi per supportare una struttura produttiva più lunga.

E il denaro in tutto questo che ruolo gioca?

Un’economia di baratto frappone ostacoli insormontabili al progresso degli scambi dei beni, della divisione professionale del lavoro e della produzione; il denaro rappresenta quel rimedio naturale oggettivo per eliminare tali ostacoli.

L’espansione dei beni di capitale e conseguentemente del surplus sociale hanno quindi bisogno di denaro per superare ostacoli alla loro espansione che altrimenti sarebbero insormontabili.

Tuttavia, espansione monetaria non è sinonimo di espansione dei beni di capitale e anche qui ci viene in soccorso la legge dell’utilità marginale decrescente, per cui l’utilità di un’unità addizionale del bene diminuisce se l’offerta del bene aumenta, parità di condizioni; gli incrementi di utilità, a parità di condizioni, sono mano a mano più piccoli e da un certo punto in poi, l’utilità marginale diventa negativa, cioè genera un decremento (che in questo caso chiameremo inflazione) una variazione negativa della sua utilità. 

L’inflazione allora dà luogo a distorsioni dirette tra le opportunità di guadagno, facendo diminuire il rendimento di attività direttamente produttive rispetto a quelle rivolte all’adattamento dell’inflazione stessa e fintanto che riesce mantenersi imprevista alimenta la formazione di strutture della produzione insostenibili (facendo credere, ingannando, che ci sia stata una caduta delle preferenze temporali e quindi un aumento del risparmio) che si traducono in un’estesa distruzione di beni di capitale, nel momento in cui inevitabilmente si disgregheranno – il giorno della resa dei conti può essere posposto attraverso un’inflazione crescente, ricorrendo anche a controlli generali e pianificazioni a livello centrale sempre più estesi sul sistema economico per contenere o reprimere l’incremento dei prezzi dei beni di consumo e con esso un diffuso malcontento di quelle persone che (per un motivo o per un altro) non possono tenere il passo di tale incremento, ma non può essere posposto per sempre, perché la scoordinazione tra la prevista tendenza della domanda dei consumatori e la prevista tendenza della produzione non può essere sostenuta all’infinito.

Ora, più ognuno è libero di agire secondo i propri piani, cioè più ognuno non viene costretto se non a rispettare la proprietà altrui e i contratti volontariamente stipulati, più la quantità complessiva di conoscenze e di esperienze differenti all’interno di una determinata società aumenta.

Un’economia di mercato è quindi necessariamente più efficiente di un’economia pianificata ed è tanto più prospera quanto più tutti al suo interno sono liberi di scegliere i propri piani, le proprie preferenze e le proprie azioni.

In base a quanto, il mercato non premia il produttore per quello che produce, ma solo per quello che soddisfa il consumatore; la produzione nel mercato non è pertanto direttamente indirizzata a servire i produttori, bensì i consumatori, i quali a loro volta remunerano i produttori.

Il profitto, cioè il surplus, che ricava il produttore dai suoi sforzi non è tanto la ricompensa per i suoi sforzi passati, quanto un’indicazione di quello che dovrebbe fare in futuro.

In assenza di prezzi di mercato, non si dispone di alcuna base per calcolare razionalmente il valore; ciò equivale ad affermare che non esistono prezzi di mercato in assenza di uno scambio volontario di diritti di proprietà.

Di conseguenza, gli arbitraggi che esprimono i prezzi hanno un significato tanto più razionale (sono tanto più di mercato) quanto più l’ambiente è permeato dal sistema di mercato.

Contemplando al suo interno la categoria del profitto, come risultato di costituirsi su scambi volontari di diritti di proprietà, il sistema di mercato orienta razionalmente l’allocazione delle risorse, favorendo le opzioni superiori rispetto a quelle inferiori, rispetto alle preferenze dei consumatori e alle capacità dei produttori. 

Il sistema statale non contempla invece al suo interno la categoria del profitto, in quanto non risultante da scambi volontari di diritti di proprietà, ma da interventi coercitivi binari (tassazione e manipolazione della moneta e del credito), il che significa che la produzione statale non è indirizzata a servire direttamente i consumatori, bensì le preferenze dei suoi pseudo-produttori, cioè i funzionari statali (politici e burocrati).

In base a quanto, la cosiddetta spesa pubblica non può che essere più dissipatrice che produttiva e ciò non può che essere rafforzato dalle prove logiche e storiche che dimostrano a distesa che nessun gruppo dotato di monopolio legale della forza su un territorio, cioè Stato, sia mai stato sostanzialmente interessato ad autolimitare il suo potere e raggio di azione all’interno dei propri confini.

Infine, molte persone ritengono che certe cose siano più importanti del profitto e meritano pertanto di essere realizzate anche se non rendono un soldo; secondo questa visione, abbiamo quindi bisogno di uno Stato per compensare le lacune del sistema di mercato, in altri termini, dell’economia, intesa come libero processo economico aggregato.

Tuttavia, il suddetto argomento è logicamente infondato, dato che si basa su una definizione ristretta di profittevole; le decisioni finali, infatti, dipendono anche da valutazioni personali e guadagni psichici che non possono essere oggettivamente definiti attraverso benefici diretti.

In un ambiente completamente permeato dal sistema di mercato, la produzione di beni privi di un valore commerciale diretto ha quindi sempre la possibilità di vivere e non c’è ragione per pensare che tale possibilità non si realizzi sempre, dato che la libera produzione di beni privi di valore commerciale diretto riesce costantemente a vivere anche in concomitanza con la produzione statale di questi stessi beni; in tal senso, poi, l’avanzare della prosperità economica, entrando in campo, può solo giocare a favore.

La disputa sul finanziamento pubblico dei programmi non ha niente a che fare con la contrapposizione tra materialismo e idealismo, ma, al contrario, riguarda sempre il conflitto tra chi vuole che le persone siano libere di investire il loro denaro in qualsiasi impresa essi desiderino e chi vuole che esistano funzionari statali che si impadroniscano del denaro degli altri per spenderli al posto loro.

GERARDO GAITA – https://gerardospace.wordpress.com/2021/02/22/il-processo-della-ricchezza/