Brutta disavventura
per un giovane africano che per lavoro si trovava in Libia come
tecnico addetto ai pozzi petroliferi da diversi anni.
E’ lui
stesso a raccontare la sua allucinante storia direttamente al nostro
giornalista.
Ero in spiaggia vicino a Zuwārah come facevo da diversi anni con la mia compagna a goderci il sole e il mare durante il periodo di ferie che l’impresa italiana per cui lavoro ci riconosce.
Il mare era calmo e la mia compagna incinta voleva fare un giro su di un pedalò. Ne affittai uno a buon mercato per tutto il giorno, si vedeva che era vecchio e maltenuto, però sembrava solido e sicuro. Ma così non era.
Incominciammo a pedalare divertiti, feci anche il bagno al largo.
Ma al momento di tornare a riva la corrente ci spingeva al largo, allora impauriti ci mettemmo a pedalare come dei forsennati in direzione della riva ma ad un certo punto i pedali si ruppero! Il legno era marcio e i pedali si staccarono di schianto!
A quel punto il terrore si impadronì di noi, io iniziai a bestemmiare ed ad inveire contro il tizio che ci aveva affittato quel pedalò marcio.
Ma nulla da fare, mi tuffai, cercavo di nuotare trainando il pedalò con me verso riva ma la corrente era troppo forte, ci spingeva sempre più al largo sino a quando ad un certo punto non scorgemmo più la costa.
La mia compagna per lo spavento stava iniziando ad avere le doglie.
Ero esausto, senza più forze e con un principio di disidratazione per le troppe ore in acqua. La situazione era drammatica.
Io e la mia compagna ci guardammo negli occhi, il sole stava calando, sapevamo che sarebbe stata l’ultima volta che avremmo visto il sole tramontare. Iniziammo a pregare abbracciati..
Ma colpo di scena!
All’orizzonte intravedemmo un puntino, poi apparve sempre più chiaro che i puntini erano due con uno si stava dirigendo velocemente verso di noi sino a stagliarsi sullo sfondo come grosso canotto motorizzato colorato.
Iniziammo a urlare a più non posso, a sbracciare in piedi sul pedalò per segnalare la nostra presenza.
Ci avevano visti, non so come, ma sapevano della nostra presenza probabilmente perché perlustravano la zona con droni e con i cannocchiali.
Fino a quando ci raggiunsero in poche decine di minuti. Erano persone strane, indossavano caschi, guanti e gilet arancioni con su scritte che io non conoscevo e avevo mai visto, ma intuii essere identificative dell’organizzazione a cui appartenevano.
Ci presero di peso traslandoci sul loro canotto d’altura, mentre altri cominciarono a fare a pezzi il pedalò affondandolo, al contempo quelli sul canotto dissero di spogliarci, di consegnare i vestiti che sparsero tutt’attorno ai resti del pedalò affondato consegnandoci giubbotti salvagente e coprendoci con coperte termiche.
Li ringraziai, non smisi di ringraziarli per averci salvato la vita, la mia compagna si tranquillizzò dicendomi che le doglie erano scomparse.
Mi chiesero da dove venivo e perché gli scafisti libici mi avessero messo su di un pedalò marcio anziché su di un canotto cinese con motore tunisino assieme ad altri miei corregionali come fanno solitamente.
Sulle prime non afferrai bene a cosa si riferissero, comunque risposi che ero in vacanza a Zuwārah con la mia compagna e che un tizio libico ci aveva fatto un bidone noleggiandoci un cazzo di pedalò marcio, talmente tanto che si staccarono di schianto i pedali.
Ora però – dissi a quello che sembrava il capo con un anello al naso, i capelli colorati di rosso e giallo e tagliati lasciando solo in bella vista una cresta da gallo che mi ricordava un Sioux – che dovevo tornare a Zuwārah, il mio periodo di ferie stava scadendo e dovevo rientrare al lavoro.
Niet!… mi rispose in tedesco, poi in inglese mi spiegò che le loro regole d’ingaggio non gli consentono di riportarci in Libia perché i porti libici non sono considerati porti sicuri e che ora ci avrebbero trasbordati sulla nave madre che si sarebbe diretta a Lampedusa.
La mia compagna sentite queste parole che gli tradussi, iniziò ad avere di nuovo le doglie.
A quel punto mi incazzai e risposi: Ma che cazzo dite! Io in Libia ci lavoro da anni, sono anni che vado in spiaggia a Zuwārah, lo posso dimostrare! Fatemi telefonare con il vostro satellitare all’azienda per cui lavoro, un dirigente vi confermerà tutto quanto e certamente mi verranno a prendere a Zuwārah.
Niet!… mi rispose ancora quel colorato pupazzo tedesco travestito da Sioux. Non sono attendibili imprese che lavorano per il governo non riconosciuto dalla comunità internazionale come quello di Haftar, hanno tutto l’interesse a mentire per farvi lavorare come schiavi rinchiusi dentro dei lager.
Ma cosa dice? Quelli che lei chiama lager sono i villaggi adiacenti ai centri petroliferi destinatati ai lavoratori, ci sono tutti i confort, compresi supermercati, bar e centri ricreativi e sportivi. Sono le aziende stesse che li hanno costruiti. Lei deve sapere che lavoriamo nel deserto senza di quei villaggi ogni giorno dovremmo percorrere centinaia e centinaia di km di deserto per andare al lavoro. Gli stessi ingeneri e dirigenti soggiornano li.
Faccia la cortesia, la smetta di parlare di quello che neppur lontanamente sa e che ha mai visto, Mi faccia telefonare e vedrà che in pochi minuti chiariremo l’equivoco.
Niet!… a quel punto la mia compagna iniziò a sentirsi male…
Nel frattempo giungemmo alla nave madre. Ci fecero salire a bordo, ed a quel punto si presentò a noi una donna con dei peli sotto le ascelle e sulle gambe lunghi una spanna e dall’abbigliamento e dai modi di fare maschili, presentandosi come la Capitana della nave corsara.
Ripetei la mia storia pregandola di accompagnarmi di nuovo in Libia a Zuwārah, oppure di farmi telefonare all’azienda presso cui lavoro che sicuramente una volta contattate le autorità libiche, queste avrebbero inviato una motovedetta pronte a riprendermi.
Impossibile mi rispose anch’essa. Le regole di ingaggio non consentono di consegnare i naufraghi alle motovedette libiche per qualsiasi motivo perché la Libia non dispone di porti sicuri. Ora ci dirigeremo a tutta velocità verso Lampedusa in Italia, l’unico porto sicuro riconosciuto dall’ONU, dall’UNCHR, dalla U€, dal PD, dalle ONG, da Soros, dalla palamara rossa, da Francesco, da Conte, da Toninelli, dalla Trenta e da Di MIauu.
A quel punto la mia compagna svenne…
Li pregai di prendermi a schiaffi. Ero certo che il sole e le troppe ore in acqua, mi avevano provato a tal punto da esser vittima di uno stress emotivo che mi causava allucinazioni visive e uditive.
No!… non possiamo perché potremmo essere accusati di violenza.
Mi misi ad urlare come una bestia assatanata. Ma porca puttana, la violenza la state facendo voi a me: Mi avete sequestrato ed ora mi state portando in uno Stato straniero, in più perderò il lavoro e forse pure il bambino che la mia compagna porta in grembo!
Dissero di calmarmi, mi portarono merendine, mi diedero delle pasticche contro il mal di mare e i colpi di sole, mentre attorno a me l’equipaggio intonava canti invitandomi a danzare con loro per scaricare lo stress.
A quel punto svenni anch’io… non ricordo nulla di quanto accadde dopo.
Ripresi conoscenza quando ormai eravamo a Lampedusa in Italia, vedevo la costa e il porto ma stranamente la nave era ferma.
Era tutto un andirivieni tra il ponte e la cabina, capivo che stavano comunicando con qualcuno in attesa di disposizioni.
Da quel poco che capivo, intuivo che le autorità italiane si rifiutavano di farci sbarcare sino a quando non fossero state sicure di un nostro ricollocamento in altri paesi europei.
Terrorizzato, sfiga nella sfiga, pensai che ci mancava solo che mi avessero spedito nel nord europa al freddo, nella nebbia e nel giaccio a mangiar patate!
Mi misi a correre e irruppi nella cabina di comando della nave mentre la Capitana era intenta a lanciare sos di emergenza sanitaria. Cercando di essere il più calmo possibile, anche se in cuor mio e dal tremore delle mani l’avrei scaraventata a mare assieme al suo gorilla Sioux, le dissi che non avrei potuto scendere in Italia, sicuramente mi avrebbero respinto perché ero privo di documenti e di soldi in quanto era tutto in Libia dove vivevo.
Lei si girò verso di me, e con un sorriso amorevole e al contempo stupito, mi rispose: Perfetto! E’ proprio ciò che serve per vedersi riconoscere il permesso umanitario di soggiorno. Non avere documenti con se!
A quel punto esplosi, cominciai a spaccare tutto ciò che mi capitava tra le mani, ma venni immediatamente placcato dai gorilla tedeschi Sioux. Mentre la Capitana si precipitava ad inviare un sos nel quale diceva che la situazione a bordo era ormai esplosiva e di li a poco sarebbe andata fuori controllo.
Rimanemmo in mare al largo di Lampedusa per 15gg, mi venne risposto che un ministro italiano razzista, xenofobo, omofobo, populista, sovranista, che odia tutti e tutto ciò che non è italiano si opponeva ferocemente al nostro sbarco, nonostante altri paesi europei si fossero fatti avanti con autobus già pronti a partire per venirci a prendere per portarci nel paradiso nordeuropeo.
Mi rassicurano, dicendo che da li a poco ci avrebbero fatto sbarcare perché i loro avvocati specializzati in violazioni dei diritti umani, avevano già depositato denunce ed esposti in tutte le procure italiane, quindi stando al calcolo delle probabilità, su centinaia e centinaia sicuramente qualche procura avrebbe ordinato lo sbarco ponendo fine alla nostra odissea, ed al contempo indagato quel ministro cattivo e spacciatore di odio andato al potere con un colpo di stato per via elettorale.
Infatti dopo qualche giorno fummo fatti sbarcare. Finalmente pensai io! Ora con le autorità italiane posso chiarire l’equivoco in cui sono incappato, anche perché lavorando per un’impresa italiana in Libia, con l’italiano me la cavo benissimo!
Già mentre scendevamo la cosa – ahimè – non prometteva nulla di buono. Da una parte c’era gente che ci portava arancini con cartelli di benvenuto, dall’altra un gruppo di gente che ci invitava a tornare a casa e che non ci voleva, in mezzo c’era la Polizia in tenuta antisommossa. Io cercai subito di spiegare al gruppo che non ci voleva, che neppure io volevo rimanere, che ero vittima di un grosso equivoco, ma i poliziotti con guanti, mascherine che indossavano una tuta protettiva bianca, mi invitarono a seguirli ammonendomi sull’avvicinarmi a quel gruppo di civili per questioni igienico sanitarie. Almeno sino a quando non fossi stato visitato da un medico e dichiarato non contagioso.
Mi ritrovai in una specie di caserma, prima venni visitato e poco ci mancò che mi facessero una rettoscopia quando dalle foto segnaletiche in possesso della polizia, a detto loro, emerse che assomigliavo moltissimo ad un noto trafficante di stupefacenti ingoiatone di ovuli.
Poi mi presero le impronte digitali a cui allegarono una mia foto, e finalmente mi accompagnarono dal funzionario preposto per le formalità di rito.
Spiegai la mia situazione, cosa mi era accaduto, l’equivoco in cui ero incappato e di voler denunciare quei folli della bave che mi avevano salvato per sequestro di persona.
Il funzionario di Polizia ascoltò il mio racconto impassibile, al termine alzò la testa e con un sorriso mi disse a mezza voce: Li conosciamo bene quei facinorosi internazionali de sinistra delle Ong, sono un problema anche per noi. Mi creda. Ma sono intoccabili, potenti, con molti soldi nelle loro casse e con finanziatori ancor più potenti, per non parlare dei citrulli che li sovvenzionano seppur con pochi spiccioli però sono tanti! Pensi che gli avvocati si offrono a gratis nel sostenere le loro cause, le toghe rosse e politicizzate non si contano, e sono disposti a cedere ai trattati internazionali piuttosto che far prevalere le nostre leggi e la nostra sovranità. Quindi le sconsiglio di non denunciarli, perderebbe sicuramente la causa rimettendoci anche soldi.
Piuttosto ha qualche documento con se? No. Sono in Libia.
La sua nazionalità? Sono nato in Burkina Faso, pure la mia compagna.
Allora noi adesso la mettiamo in un Centro di Prima Accoglienza in attesa di definire la sua posizione assieme alla sua compagna.
Lei ha dichiarato di voler ritornare in Libia, ma ciò non è possibile perché non possiamo effettuare respingimenti in Libia. Il Paese non è sicuro. Ce lo impediscono i Trattati e la U€.
Quello che possa fare e vedere se è possibile farla tornare in Burkina Faso paese con il quale abbiamo stilato accordi per i rimpatri, a quel punto una volta giunto nel suo paese di origine potrà ritornare in Libia.
Questo è tutto quello che posso fare, inoltriamo subito la richiesta dati al suo paese e il riconoscimento da parte delle autorità.
I tempi sono quelli con i quali il suo paese di origine celermente risponderà alla nostra ufficiale richiesta. Ma premetto subito, per esperienza si parla di mesi.
Ma mi scusi replico io: Ma come può essere la Libia un paese insicuro, se voi come italiani avete in loco ingegneri, tecnici e operai che lavorano presso i loro pozzi petroliferi e dove io stesso lavoravo per loro?
Lei non capisce: La Libia è un paese pericoloso e insicuro per lei, per voi migranti, non per noi che possiamo anche andarci per turismo!! La comunità internazionale e tutte le organizzazioni internazionali comprese le normative italiane, sono volte a regolamentare tutto ciò che è pericoloso per voi, e come tale non può esserlo per noi!
Non è contento di sentirsi così tutelato? Potessimo noi come italiani avere tutti i riguardi, le attenzioni, le premure e i soldi che spendono per voi…
Suvvia ci rivedremo tra qualche mese appena il suo paese ci risponderà.
Passano i mesi, io e la mia compagna soggiornammo in centro gestito da altri folli rossi parenti stretti di quelli che la sfiga ha voluto incontrassimo in mare aperto.
Un bel giorno ci convocarono dicendoci che era arrivata la risposta dal Burkina Faso.
Entusiasta ma al contempo con qualche dubbio per aver dimenticato di raccontare la mia storia personale famigliare ci accompagnarono dallo stesso funzionario.
Capii subito che qualcosa non andava, il suo sguardo era eloquente.
Guardi – mi disse – il suo paese non la riconosce, il suo nome e cognome è sconosciuto nei loro archivi anagrafici, la data di nascita non corrisponde ai dati che ci ha fornito. Quindi, mi spiace, ma per il suo paese lei è un perfetto sconosciuto, Non dico impostore che vuole acquisire una cittadinanza non avendone i titoli non essendo nato in quel paese come accade di frequente, ma la situazione è questa.
A quel punto replico: Certo che non mi riconosce, perché avevo dimenticato di dirle che io sono orfano, di padre e madre ignoti, anche la mia compagna lo è, siamo stati adottati da un villaggio remoto, dove nessuno si preoccupa di registrare i nati non sentendone l’esigenza ed ancor meno quelli che adotta l’intera comunità.
E’ stata colpa mia non averglielo detto fin da subito, ma mi creda io ancora oggi assieme alla compagna siamo scossi per quel che ci è accaduto.
Capisco – dice il funzionario – ma a questo punto visto che il Burkina Faso non la riconosce, visto che in Libia non possiamo rimandarla, visto che non ha documenti e soldi per ritornarci di sua spontanea volontà e con mezzi propri, lei rientra tra quelli individuati per i ricollocamenti di migranti salvati in mare da destinare ad altri paesi europei che si sono resi disponibili ad accettarli: Lei è stato assegnato alla Germania.
Alla Germniaaa?? Ma voi siete tutti pazzi! Qui l’Europa e l’occidente sono impazziti! Ma sembra di parlare con dei pazzi dentro un manicomio!! Maledetto quel libico marcio come marcio era quel cazzo di pedalò che mi affittò!
Ma ditemi voi se non sono cose da manicomio!! Maledetti i sinistri di quella nave e ancor più pazzi siete voi che i seguite!!
Mi caricarono a forza su di un treno per Amburgo in Germania.
Quando arrivammo a destinazione alla stazione assistemmo alla stessa scena di accoglienza di Lampedusa, solo che questa volta quelli che ci contestavano erano tutti rasati e tenuti ad un chilometro di distanza da noi, mentre quelli che si mostravano contenti di accoglierci, diversi maschi tra loro erano vestiti in modo alquanto bizzarro, i più per l’occasione indossavano una gonna sopra il ginocchio e i collant, portavano borsette e calzavano scarpette con tacchi a spillo entrambi rosa, impugnando cartelli con su scritto Welcome Refuge.
Ma quello che mi ha colpito di più era il loro sguardo oserei dire un pochino malizioso ed ammiccante.
Di certo l’organizzazione tedesca non è quella maccheronica italiana.
Li ci hanno prelevati e scortati subito in case accoglienti, il giorno dopo andavano a scuola di tedesco, il pomeriggio io ero assegnato alla scuola di artigianato come falegname. Sic…
Non ci mancava nulla, ma si viveva come dentro una caserma!
Veramente toccante la sua storia, anzi, allucinante- chiede il nostro giornalista.
Ma dopo questa sua vicenda che ha dell’incredibile, è riuscito a tornare a casa sua?
Guardi, ora vivo in Germania, guadagno due soldi facendo il falegname che non mi consentono di vivere.
Nel frattempo è nato nostro figlio che per legge è diventato tedesco, mentre noi viviamo con il permesso di soggiorno e i sussidi integrativi che concede lo Stato.
Non possiamo tornare in Libia perché i miei documenti e quelli della mia compagna sono in Libia, non ci accetterebbero all’aeroporto, e forse neppure ci farebbero partire per la Libia dalla Germania con nostro figlio così piccolo verso un paese che considerano insicuro senza correre il rischio di far la fine di quelli di Bibbiano.
Ho provato ha contattare l’azienda in Libia per cui lavoravo. Mi hanno buttato già il telefono insultandomi e dandomi del lavativo per non essermi più fatto vedere. Ho perso tutti i soldi, anche quelli che l’azienda mi doveva ancora, perché non posso aprire un conto qui intestato a mio nome non avendo i documenti che attestino la mia vera identità, e senza i quali l’azienda non mi accredita nulla.
Imploro Dio e gli chiedo cosa ho fatto di tanto male per meritarmi questa maledizione: D’aver incontrato i sinistri sulla mia strada e di meritarmi di finire i miei giorni in questo manicomio europeo!
Grazie, veramente scioccante quello che ci ha raccontato – conclude l’intervista il giornalista.
Grazie a lei, spero che ciò possa contribuire a salvare tanti giovani africani che lavorano da anni in Libia, invitandoli a stare alla larga dai pedalò libici limitandosi a bagnarsi i piedi sulla spiaggia.
Fare anche solo una nuotata può essere pericoloso, il sinistro potrebbe sequestrarti perché oggi lo trovi anche sotto riva come gli squali!
State in guardia ragazzi, non voglio che facciate la mia assurda fine con la vita rovinata per sempre!
Il folle sinistro è sempre in agguato! E ti aiuta quando meno te lo aspetti!