14 agosto 2021 – Mi ha colpito una somiglianza di percezione tra la vergognosa fuga da Bagram e gli elicotteri sul tetto dell’ambasciata americana a Saigon nell’aprile 1975. Mi ha colpito, come scrittore professionista, che aveva seguito quasi dall’inizio alla fine i tre quarti del conflitto vietnamita fino alla fatidica fine della primavera di quasi mezzo secolo fa. Così mi è venuto in mente un articolo in cui si farebbe un parallelo tra Bagram-2021 e Saigon-1975, con un parallelo simbolico ma ben incastrato tra “Falsi fuggitivi e veri fuggitivi a Bagram“.

All’indomani della vergognosa vicenda di Bagram di un mese fa (inizio luglio), alla domanda di un giornalista sulla possibilità di una ripetizione di Saigon-1975, con i talebani che entrano nei giardini dell’ambasciata americana a Kabul-2021, Biden ha risposto nel suo solito modo sdolcinato ma ormai ben imparato:
“Nessuno. Niente di niente. C’erano intere brigate che entravano dai cancelli della nostra ambasciata, sei, se non mi sbaglio. I talebani non sono il Sud, – l’esercito nordvietnamita. Non lo sono, non sono lontanamente paragonabili in termini di capacità.
“Non c’è nessuna circostanza possibile in cui si vedrebbe la gente portata giù dal tetto di un’ambasciata americana in Afghanistan. Non è affatto paragonabile”.
L’altro ieri, in una conferenza stampa, Biden ha rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda sulla situazione in Afghanistan, dopo aver annunciato di aver ordinato il dispiegamento di 3.000 marines a Kabul per effettuare e proteggere l’evacuazione di tutti gli americani dalla capitale e dai dintorni. In un certo senso, si stava lanciando un’ennesima invasione della capitale afgana per facilitare la fuga da Kabul e l’esfiltrazione dall’Afghanistan dei resti sparsi del trionfo dell’invasione precedente. C’è una logica in questo, la logica dell’invasione perpetua come il foglio di carta dove si scrive davanti e dietro, – “Vedi il retro di questo foglio”, – e si ha il moto perpetuo.
Sto solo scherzando, su questa “invasione per facilitare la fuga e l’esfiltrazione”, dato che ci sono dei pagliacci incredibili, sopravvissuti alle invasioni del Grande Khan GW Bush, per credere di essere tornati alla loro tenera gioventù (“Siamo un impero ora e quando agiamo creiamo la nostra realtà“), – per dare seguito alla situazione attuale come un senzatetto su un McDonald’s, e proporre a Biden di cambiare di spalla il suo F-35 e iniziare effettivamente una nuova invasione seguendo (bis e continuazione) l’attuale debacle. .. Bella, assolutamente bella ed elegante strategia posata sullo sterco dorato delle nostre riflessioni strategiche che illustravano la grande bellezza civile del sistema-politica dell’ultimo quarto di secolo.
Qui, – leggete la sequenza (giustamente) dei nostri amici di WSWS.org che stanno trovando un po’ di verve in linea con il mio umore per canonizzare sulla Casa Bianca, il Pentagono, Capitol Hill e il System-Press, in particolare il Washington ‘Post’, di proprietà della CIA tramite Jeff Bezos. Potete vedere che la gente comincia a criticare seriamente la decisione del povero Biden di firmare un documento che gli è stato presentato.
“Il paragone con il Vietnam è sempre più citato all’interno dell’establishment governativo statunitense. Il leader repubblicano del Senato degli Stati Uniti, Mitch McConnell, ha detto giovedì: “Le decisioni di Biden ci stanno facendo precipitare verso un seguito ancora peggiore dell’umiliante caduta di Saigon nel 1975”.
“Anche i media si sono espressi, ma sono a favore di un nuovo intervento degli Stati Uniti. Il Washington Post ha scritto nel suo editoriale di venerdì che “il ritiro affrettato di Biden, insieme al suo rifiuto di offrire aiuti più significativi al governo afgano, rischia il disastro.
“Questo ha seguito un pezzo d’opinione sul Post di Max Boot, un fanatico della guerra imperialista degli Stati Uniti in ogni direzione e in ogni continente, insistendo che “l’unica cosa che può evitare una calamità ancora più grande è la volontà da parte di Biden di invertire la sua decisione imperfetta e inviare aerei e consiglieri statunitensi in Afghanistan per sostenere le forze governative prima che Kabul cada”.
“La rivista Foreign Policy, nel frattempo, ha pubblicato un articolo in cui si afferma che “il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan deve continuare”. Ma dovrebbe iniziare un nuovo impegno militare”. Secondo l’articolo, Washington potrebbe farlo “semplicemente cambiando la sua narrazione dello scopo dell’azione militare” da controinsurrezione a un intervento “umanitario” per proteggere i civili”.
Così, ce ne andiamo ma torniamo, e inoltre, non siamo mai andati via veramente, né siamo venuti del resto… È un buon segno che questo disastro afgano stia turbando più di una persona e confondendo la gente; sappiamo che, in questo caso, la comunicazione e le sue narrazioni sono l’arma preferita del nostro iperpotere in declino iper-accelerato.
Vedi, a proposito, proprio sul tema delle narrazioni e della brutta polvere che viene spazzata sotto il tappeto… Ecco quello suggerito con gentile autorità dall’eroica Jennifer Cafarella, come se fosse in prima linea a Kabul, in un tweet che serve da ‘road map’ per tutti i coraggiosi soldatini della comunità di sicurezza nazionale transatlantica. È una testimonianza della tecnica generale di condurre le truppe nel fuoco, nell’inferno del sistema di comunicazione come si riferisce alla messa in scena degli eventi in corso in Afghanistan, dove il blocco-BAO continua la sua infinita ricerca di stabilire un casino liberale e morigerato.
Nabojsa Malic ce lo fa notare, dicendoci che il sorridente e affascinante Cafarella è un National Security Fellow presso l’Institute for Study of War (ISR) a Washington D.C, un Fellow dell’ICRS (‘International Centre for the Study of Radicalisation’) nel dipartimento di guerra del King’s College di Londra, e un Fellow di un’altra cosa ancora in Virginia, una vera e propria macchina da guerra seduta nella sua lussuosa poltrona come si trovasse nei carri armati M1 ‘Abrams’. I suoi consigli hanno la dolcezza delle istruzioni illuminate dalla fiammata dei campi scout, così che all’unisono tutte le sue piume, addestrate nelle virtù del giudizio indipendente e dell’audacia del pensiero, cantano.
“Questo è un giorno molto buio per l’Afghanistan. Fate molta attenzione. Questo potrebbe richiedere lo scarto di alcune informazioni e documenti”, ha scritto Jennifer Cafarella ai suoi colleghi giovedì. “Certo che possiamo e dobbiamo testimoniare. Ma non c’è bisogno di farci del male. Rischiare il PTSD [o PTSD, per ‘Post-Traumatic Stress Disorder’] e altri traumi non aiuta gli afghani.
“Cafarella offre poi una lista di suggerimenti utili, come non condividere “immagini o link a immagini che potrebbero causare traumi”, come la caduta di Kabul, le esecuzioni talebane di funzionari afgani e, in generale, qualsiasi cosa che assomigli a [Saigon-1975]…”
Durante questo periodo, e più prosaicamente, i dettagli delle istruzioni per la distruzione di documenti riservati, computer, documenti vari, arrivarono da Washington D.C. all’ambasciata americana a Kabul: vecchia abitudine e ricordi dei vecchi tempi, Saigon-1975 certamente, Teheran-1979, li conosciamo…
“Il ritiro degli Stati Uniti sta diventando sempre più difficile a causa dell’avanzata dei talebani. I dipendenti dell’ambasciata a Kabul hanno ricevuto l’ordine di distruggere documenti e computer sensibili mentre si preparano ad evacuare.
“L’ordine era contenuto in un memo sui preparativi di emergenza per la partenza della maggior parte dei dipendenti dell’ambasciata, secondo un rapporto venerdì di NPR, che ha ottenuto una copia del messaggio. L’ordine arriva mentre il Pentagono invia 3.000 truppe a Kabul per fornire sicurezza per le evacuazioni e segue un avviso emesso giovedì dall’ambasciata che invita tutti i cittadini statunitensi a fuggire immediatamente dal paese”.
A corto di fiato per trovare i qualificatori che si elevano al livello di questa situazione straordinariamente bassa, e in attesa di trovarlo (il fiato) quando si può vedere che stiamo parlando solo del “momento Saigon” di Joe Biden, si può rileggere questa citazione, il cui secondo paragrafo è particolarmente interessante per me.
“…L’evento di Baghdad diventa un simbolo nello stesso modo in cui lo fu Saigon-1975, il 30 aprile 1975, con le immagini di quelle persone (i vietnamiti pro-USA) che salivano sugli elicotteri sul tetto dell’ambasciata USA; con gli elicotteri sbarcati sulle portaerei al largo di Saigon, e gettati in mare per fare spazio all’arrivo di altri.
“Il simbolo Saigon-1975 è stato un tremendo acceleratore della crisi interna degli Stati Uniti. Fino ad allora, questa crisi si era concentrata intorno allo scandalo Watergate e alla partenza di Nixon; dal 30 aprile 1975 in poi, quando questo sintomo dell’umiliazione degli Stati Uniti urlò improvvisamente, attraverso una comunicazione spietata, la crisi divenne generale, allargandosi alla messa in discussione della CIA, alla crisi dell’esercito (“l’esercito vuoto”, strutturalmente devastato dal conflitto vietnamita), alla crisi dell’intera comunità di sicurezza nazionale. La suddetta crisi divenne una crisi di fiducia che portò all’elezione dell’improbabile Jimmy Carter.
In effetti, quello che mi sembra nascere con l’avanzata dei talebani e il brusco risveglio della comunità di sicurezza nazionale è un fenomeno un po’ simile nella forma e nella dinamica. Non parlo delle situazioni e degli eventi storici in sé, ma dello shock psicologico che fu Saigon-1975 e che sembra arrivare a compimento allo stesso modo con Kabul-2021 (piuttosto che Bagram-2021, che poi sarebbe solo l’antipasto). In effetti, ci si chiede se siamo davvero a questo punto del “momento Saigon” di Joe Biden, cioè sul punto di portare la debacle di Kabul sulla scena interna americana.
Questa è ovviamente la domanda che bisogna porsi, senza sperare neanche per un secondo di poter dare una risposta, e soprattutto non una ragionevole, come una revisione critica dell’assurdamente sanguinaria e decostruttiva non-strategia del Sistema Politico… No, certamente no! Siamo nel regno della follia, quindi aspettatevi un sequel-insano…
Immaginare cosa farebbe una nuova dimensione di crisi, la dimensione afgana e sistemica, entrando nella Grande Crisi degli Stati Uniti è del tutto inconcepibile. Credo di averlo scritto più di una volta, e quindi mi ripeto, ma questa volta con l’osservazione che siamo forse, a leggere alcuni e altri e in particolare le critiche contro Biden-System provenienti dal Sistema stesso, sul punto di passare dall’ipotetico al reale, cioè alla verità-della-situazione del caso-demenziale, davvero di una “politica folle” come l’altro Macron parlando della “pasta”.
Perché ricordate ciò che la convinzione delle cose e degli esseri deve dirvi, e certamente mi fa dire, essendo la situazione di crisi negli Stati Uniti quella che è. L’entrata della dimensione della crisi afgana/sistema politico non ridurrebbe il resto, non distoglierebbe affatto l’attenzione facendo dimenticare il wokenismo, la crisi del Covid e tutto ciò che ne consegue, no, no, queste dimensioni sono troppo forti, fissate come tanti rapaci di una crisi sul grande corpo sfregiato dell’americanismo. La dimensione della crisi afghana/sistema politico si aggiungerebbe al resto, creando nuove cause che creano nuovi effetti di accelerazione della crisi che agiscono sull’insieme, accentuando il disordine, e così via, e con l’incognita di quale posizione gli attori della Grande Crisi prenderebbero in questo caso.
Non solo “The Show Must Go On”, ma deve andare fino all’esplosione finale, al bouquet della disintegrazione. Quindi aspettiamo seduti e vediamo, e benvenuti a Kabul-2021.
Philippe Grasset – https://www.dedefensa.org/article/enfin-nous-voici-a-saigon