Articolo di Lorenzo Marchetti link originale articolo http://exiteconomics.blogspot.com/2019/03/internet-e-la-fine-delle-rendite-di.html

Sviluppatasi durante la fine degli anni Sessanta negli USA con il nome di Arpanet (la proof of concept risale al 1967), l’odierna Internet, basata sull’onnipresente protocollo TCP/IP (proof of concept nel 1975) ha cambiato il mondo in modalitá che nessuno si aspettava. Il premio Nobel per l’economia Krugman, nel 1998, in piena bolla dot-com, ebbe a scrivere: “La crescita di internet diminuirá drasticamente, come stabilito dalla legge di Metcalfe: il numero delle potenziali connessioni in una rete é proporzionale al quadrato dei partecipanti. La maggior parte della gente non ha nulla da dirsi! Entro il 2005, sará chiaro che l’impatto di internet sull’economia non sará stato maggiore di quello del fax.”

Notare due cose: 1) Krugman non aveva capito l’applicabilitá della legge di Metcafe, peró la usa per dare fondamento scientifico alla sua cazzata (tipico dei premi nobel in economia)
2) Il fax é stato soppiantato dalle email e dalle email certificate, dai protocolli PGP e altri.
Qua in Olanda non ho mai visto un fax, per esempio.

Sebbene i concetti fondanti di Internet siano datati, é stato solo negli anni Novanta del secolo scorso che, per mezzo dei progressi nella miniaturizzazione della microelettronica e il conseguente crollo verticale dei costi di produzione dell’hardware e della fibra ottica, Internet é diventata ubiqua.

Internet ha spazzato via intere industrie, dalla piccola alla grande, ad esempio.
1. Agenzie di viaggio
2. Enciclopedie
3. Librerie
4. Produttori di mappe geografiche, tuttocittá, mappe turistiche
5. Videonoleggi
6. Riviste porno
7. Negozi di dischi e CD
8) Pagine gialle e pagine bianche
9) produttori di telefoni fissi (io non ne uso uno da anni)

E sta seriamente “amazonando” i piccoli e medi retailer, grazie alle vendite online; le sale cinematografiche; anche IKEA comincia a soffrire…

Mi voglio soffermare sulla carta stampata.
In particolare sui giornali cosiddetti di “informazione”.

In Europa, dove si cerca di normare tutta l’informazione (i blogger fanno fake news mentre Repubblica é seria…sí sí come no), sopravvivono dinosauri come i giornali (e i film) sovvenzionati dai contribuenti.

Vediamo un esempio, e cioé i contributi dati ai giornali (trattasi di tasse che noi paghiamo e che servono a finanziare giornali privati che rispondono ad azionisti privati).
Nel 2017 i contributi DIRETTI all’editoria (lasciamo stare pure l’iva agevolata, tariffe telefoniche agevolate, spedizioni tramite corriere agevolate, etc) italiana sono stati di CINQUANTA milioni di euro.
Ecco i top four:

Avvenire (dei preti): 2,5 milioni (sono quelli che facevano la guerra a Salvini)
Italia Oggi (4,8 milioni) – economia
Libero (3.7 milioni) – destra
Manifesto (3 milioni) – siistra

E’giusto finanziare i giornali? In tempi lontani, credo fosse giusto. Dare la possibilitá a piccoli editori di fare contro-informazione era sacrosanto. Ma, al solito, il sistema é stato distorto producendo una larga ragnatela di abusi (e spesso truffe).
Oggi come oggi, ti apri un blog gratis.
Con pochi euro al mese, ti garantisci una connessione internet che ti offre accesso non al resoconto del giornalista sul discorso del premier: no, vai su Youtube, ti cerchi il discorso del Premier, e te lo ascolti per i fatti tuoi. Twitter consente, come ha insegnato Trump, di bypassare agenzie di stampa e normali filtri governativi.

Ai giornalisti scotta la sedia sotto il culo. Perché i veri giornalisti, quelli che fanno inchieste, che vanno sul posto (esemplare la rubrica del Giornale “gli Occhi della Guerra”, pluripremiata) sono sempre di meno e tutti gli altri fanno “opinione”sugli stessi dati approssimativi che circolano ovunque. C’é un GRANDE bisogno di giornalismo di inchiesta. Ma é costoso, politically incorrect e fa paura ai politici.

Il livello dell’informazione é bassissimo, spesso inferiore a quello che si trova on line spulciando fra le news in inglese su Russia Today o Zero Hedge, che sono ottimi aggregatori di contro-informazione.

Ho visto Bagnai mentre correvo in palestra, sul cellulare, l’altro giorno. Era intervistato dalla Gruber e da altri due giornalisti il cui QI non assommava a 100. Hanno il capo della commissione finanze in Senato al tavolo ma facevano domande da gossip politico (Salvini stacca la spina? la famo o no sta TAVVE? Ancora volemo uscí da sto euro? Visegrad non ci supporta) tranne che su questioni finanziarie e sul contesto su cui si basa il DEF.

Penoso.

E sono gli stessi giornalisti che godono di enormi privilegi anche in ambito pensionistico. Sono ovviamente a favore della globalizzazione (se tocca i posti di lavoro degli altri, mica i loro).

Internet, non un governo gialloverde, decreterá la fine di questo tipo di giornalismo. Perché l’utente pagherá per informazione di qualitá, attendibile, in grado di fornirgli elementi per decidere del proprio futuro, non questo brodo di informazione rimescolata e annacquata e spacciata per “opinioni”.

Spielberg ce l’ha con Netflix perché dall’alto della sua boria non puó accettare che io mi veda il suo splendidissimissimo Jurassik Park seduto sulla tazza del cesso, e lo metto in pausa per pulirmi. No, é arte, devo andare al cinema. Pagare il parcheggio, pagare 8 euro per i pop corn. Quella é arte, mica the Punisher, vuoi mettere? Se é arte lo decido io, la collettivitá  e la Storia, non chi la produce.
Parimenti non é che se vuoi gareggiare per lo Strega non puoi far leggere il libro in metro perché non ci si concentra come si dovrebbe.

Spielberg, come la Gruber, sono per la globalizzazione, sí, ma degli altri.

Posted by Lorenzo Marchetti