Le statistiche sono appena state pubblicate https://www.istat.it/it/archivio/230897 (20 06 2019), ecco a Voi alcune immagini che fanno riflettere:

https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2019/capitolo1.pdf – PAG 36 – “Tutti gli scenari di previsione ipotizzano incrementi di sopravvivenza della popolazione (con aumenti tra i 2 e i 6 anni della vita media alla nascita entro il 2050) che, favorendo in modo significativo le età anziane, amplierebbero la spesa per il welfare, con implicazioni negative sulla sostenibilità dei saldi di finanza pubblica che già soffrono di una situazione di squilibrio rispetto alla media europea.”
“Nello scenario mediano, il progressivo invecchiamento della popolazione determinerebbe un continuo aumento dei decessi (690 mila entro il 2030 e 808 mila entro il 2050), che verrebbe solo in parte bilanciato da un parziale recupero della fecondità. Conseguentemente i saldi naturali risulterebbero sempre più negativi: -229 mila unità nel 2030, -379 mila nel 2050″
PAG 37: ” I meccanismi demografici sottostanti (progressiva riduzione numerica delle coorti di donne in età feconda e invecchiamento della popolazione) sono già impliciti nell’attuale struttura per età della popolazione, che comprende le generazioni del baby boom nate negli anni ’60. La trasformazione di queste ultime, da adulti di oggi ad anziani di domani, è la principale determinante del futuro invecchiamento della popolazione. La quota di ultrasessantacinquenni sul totale della popolazione, ad esempio, potrebbe essere nel 2050 tra i 9 e i 14 punti percentuali superiore rispetto al 2018. Nello stesso periodo, la popolazione di età 0-14 anni potrebbe mantenere, nella migliore delle ipotesi, circa lo stesso peso di oggi (13,5 per cento), mentre nello scenario meno favorevole scenderebbe al 10,2 per cento. Va da sé che la trasformazione della struttura per età della popolazione implica la necessità di efficaci politiche in grado di gestire i cambiamenti nei rapporti intergenerazionali di questa portata
RAGAZZI ISTAT CONSIGLIA PIU’ IMMIGRAZIONE, VIA CHE QUA NESSUNO CI PAGA LE PENSIONI
https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2019/capitolo3.pdf – PAG 7 – ” Esaurita la spinta propulsiva delle immigrazioni, siamo in una nuova fase di crisi demografica il cui tratto distintivo è una fecondità sempre più bassa e tardiva. Il fenomeno della posticipazione della fecondità è in atto dalla metà degli anni Settanta. Le trasformazioni sociali ed economiche che si sono verificate fino agli anni Ottanta hanno, infatti, innescato profondi cambiamenti sul piano del costume e dei modi di vivere, dell’investimento in capitale umano e della partecipazione al mercato del lavoro delle generazioni che via via sono entrate nella vita adulta, in particolar modo per le donne
Si accentua ulteriormente la posticipazione delle prime nozze e della nascita dei figli verso età sempre più avanzate. Dal 2010, con l’estendersi delle conseguenze della crisi economica, tanto la nuzialità quanto la fecondità tornano a diminuire più rapidamente, anche per effetto dell’accentuarsi della posticipazione. Ci si sposa sempre meno e sempre più tardi.”
https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2019/capitolo3.pdf – PAG 14 – “Il saldo migratorio con l’estero degli italiani è sempre negativo dal 2008 e ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti in dieci anni. Circa la metà di questa perdita (208 mila) è costituita da giovani dai 20 ai 34 anni e di questi, due su tre sono in possesso di un livello di istruzione medio-alto
L’indicatore relativo ai Low-pay jobs viene calcolato a partire dalla retribuzione oraria lorda. I Low-pay jobs o posizioni lavorative a bassa retribuzione oraria sono definite come quelle con retribuzioni orarie inferiori ai due terzi del valore mediano per l’anno di riferimento.
La fonte dei dati utilizzata è il Registro Annuale sul Costo del Lavoro Individuale (RACLI). È un registro statistico tematico sul mercato del lavoro all’interno del Sistema dei Registri dell’Istat. Sviluppato in Istat a partire dal 2011. La base dati è disponibile con un dettaglio territoriale provinciale per gli anni 2014, 2015 e 2016.
non regolare e le unità di lavoro totali, moltiplicato per cento. Le unità di lavoro sono pari al numero di posizioni lavorative equivalenti a tempo pieno e consentono un più immediato confronto tra misure occupazionali relative a diversi periodi o tra diverse aree territoriali.
Le stime provengono dai Conti regionali e provinciali, sono prodotte in conformità alle raccomandazioni del Regolamento SEC 2010 e rappresentano una misura esaustiva di tutte le prestazioni di lavoro che concorrono alla produzione di beni e servizi sottostanti alla formazione del PIL. Includono sia le prestazioni “regolari”, cioè registrate dalle autorità fiscali-contributive e quindi direttamente osservabili a fini statistici, sia le prestazioni lavorative “non regolari”, ovvero le attività lavorative non direttamente osservabili poiché svolte violando la normativa in materia fiscale-contributiva. Coerentemente con quanto concordato in ambito europeo, alla componente dell’occupazione non regolare è stata aggiunta la stima di alcune attività produttive illegali.
https://www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2019/capitolo1.pdf – PAG 28 – “Ha continuato invece a crescere il numero di disoccupati ultracinquantenni. A beneficiare del calo della disoccupazione sono state soprattutto le persone con titolo di studio non superiore alla licenza media, fenomeno in gran parte imputabile al naturale ritiro dal mercato del lavoro della popolazione di riferimento. Per il quinto anno consecutivo è diminuito il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni (-125 mila; -0,9 per cento). A ridursi è stata, quasi esclusivamente, la componente delle forze di lavoro potenziali.”
Misuratore del Benessere