Iwo Jima: isola dell’Oceano Pacifico appartenente al Giappone, situata a oltre mille km a sud di Tokyo.

L’isola è anche nota per la battaglia, che durò circa 40 giorni, tra le truppe americane e quelle giapponesi durante la seconda guerra mondiale. La conquista di Iwo Jima, vera e propria isola fortezza, era considerata così importante per la successiva invasione e quindi capitolazione del Giappone, che fu ottenuta pagando un altissimo prezzo in termini di vite umane, da parte dell’esercito americano.

Iwo Jima è rimasto un episodio storico immortalato nell’immaginario collettivo anche a causa di questa celeberrima foto

La vera storia dietro questa foto venne raccontata in un libro scritto dal figlio di uno dei militari coinvolti nello scatto e, soprattutto dall’ottimo film, The flag of our fathers, del grande Clint Eastwood tratto dal libro omonimo:

Il quinto giorno dopo lo sbarco sull’isola, gli americani si attestarono sul monte Suribachi. Dopo la presa di possesso dell’importante punto strategico, la squadra inviata per compiere l’operazione issò la bandiera americana per segnalare il “missione compiuta”. Cinque marines e un infermiere di marina piantarono materialmente l’asta con la bandiera, il tutto immortalato da un reporter di guerra nella celebre foto. Il potere fortemente simbolico e propagandistico dell’immagine costituita da militari americani che piantano la bandiera a stelle e strisce su suolo giapponese, trasformarono una semplice operazione di routine in un celebre falso storico: le autorità militari e il governo americano “vendettero” all’opinione pubblica la foto come la testimonianza di una vittoria già acquisita. In realtà la conquista dell’isola avvenne 35 giorni e migliaia di militari uccisi dopo, tra i quali anche tre dei sei nella celebre foto. Uno dei più celebri “fake” mediatici di tutti i tempi: foto autentica, episodio realmente accaduto ma significato di quanto ripreso dall’obiettivo stravolto e modificato a tavolino per motivi di propaganda di guerra.

Veniamo ai giorni nostri. Molti pensano che sia in atto una guerra, non contro un altra nazione, un altro popolo, ma contro un virus, contro una pandemia o presunta tale. E come ogni guerra che si rispetti, c’è bisogno di eroi, martiri, immagini simboliche e tutto ciò che la “propaganda di guerra” prevede. Ed ecco che gli eroi sono medici e infermieri in prima linea nel curare i malati di covid. Eroina è l’infermiera fotografata mentre, stravolta dalla fatica, si accascia addormentata in un momento di pausa. O l’infermiera che per prima viene sottoposta al vaccino anti covid. I virologi tutti i giorni presenti su ogni emittente televisiva nazionale hanno sostituito i 3 militari sopravvissuti della foto di Iwo Jima nell’apparire di fronte al pubblico come delle star di Hollywood. Le immagini del furgone che trasporta il vaccino da Bruxelles a Roma hanno lo stesso valore di quella rappresentata dalla bandiera USA issata sul monte Suribachi. Tutto vero, per carità. Immagini reali, episodi autentici ma significato “venduto” al pubblico totalmente costruito a tavolino per motivi propagandistici dal governo e dalle autorità, in questo caso sanitarie in luogo di quelle militari.

Le immagini del furgone che trasporta il vaccino, hanno lo stesso potere simbolico della foto di Iwo Jima. Presumo che sia stato lo stesso potere simbolico ad aver suggerito l’uso di un furgone in luogo del più logico volo militare. Così come è puramente simbolico allungare il tragitto scegliendo la via del Brennero per aggirare la Svizzera, non facente parte quest’ultima della cosiddetta Europa Unita – Europa Unita alla quale le nazioni aderenti hanno delegato l’acquisto e la distribuzione del vaccino per tutti ma che viene bellamente scavalcata dal classico “Marchese del Grillo” impersonato dalla solita Germania, che ha deciso di acquistare 30 milioni di dosi in più autonomamente, con il plauso dei soliti europeisti acritici e acefali, ma questa è un’altra storia – per dare un’immagine di speranza secondo la quale la guerra si può considerare vinta, basta usare massicciamente, a costo di imporla con la forza, la nuova arma definitiva contro il nemico virus.

Quella stronza della realtà purtroppo dice ben altro, cioè che sì, ci sono buone possibilità che il vaccino sia efficace nel proteggere dalla malattia, ma non si sa se per 12 mesi o addirittura solo sei, non si sa se sarà efficace contro possibili mutazioni, non assicura che i vaccinati non rimangano comunque dei portatori sani del contagio, e soprattutto non si sa esattamente in quanto tempo si riuscirà a vaccinare un numero tale di soggetti da garantire l’immunità di gregge: si parla di un lasso di tempo compreso tra i 9 e i 18 mesi, ad essere ottimisti ed efficienti. E visto il governo e il commissario straordinario che ci ritroviamo in Italia, direi che la stima sia di gran lunga ottimistica e irrealizzabile. Alla luce di tutto questo non si capisce come sia possibile che qualcuno solamente pensi di rendere il vaccino obbligatorio!

Sono consapevole che in tempi di guerra bisogna adottare misure straordinarie, sia necessario utilizzare l’arma della propaganda per unire la popolazione a combattere il nemico pericoloso, sia necessario neutralizzare i “disfattisti” – tipo il governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini che auspica misure repressive contro il medico che ha “osato” dichiarare che “il covid non è la peste”, ma anche questa è un’altra storia – sia necessario aggirare alcuni diritti costituzionali che possono ostacolare una lotta efficace contro il nemico. Resta da stabilire quando una situazione difficile sia da considerare paragonabile a una guerra e che quindi si renda necessario adottare le misure illustrate sopra.

Il precedente è stato stabilito, da ora in poi basterà una minima situazione di oggettiva difficoltà per dire di essere in guerra e adottare tutte le misure liberticide ma “necessarie” che lo stato di guerra comporta. Necessarie soprattutto a blindare il potere precostituito, con l’imposizione di una stato di emergenza, anche e soprattutto quando l’emergenza è la possibile caduta del governo stesso e la messa in discussione del potere che esso rappresenta.

Mala tempora currunt.