È passato da qualche giorno l’anniversario dell’impresa dei MAS nella baia di Buccari in Croazia: nel lontano 1918, più precisamente nella notte tra il 10 e l’11 Febbraio, la Marina mise a segno una di quelle imprese estreme che la resero celebre.

A seguito di informazioni ritenute valide e decisive, il comando della Regia Marina organizzò l’incursione di tre mezzi d’assalto nella baia di Buccari per colpire le navi imperiali all’ancora. Il piano consisteva in un’azione corale a cui dovevano partecipare diverse formazioni navali, ognuna con compiti diversi. In particolare si voleva,

  • ottenere un sufficiente controllo sulle acque a ponente dell’Istria durante lo svolgimento dell’incursione, per garantire una ragionevole cortina di sicurezza agli incursori nel caso di una reazione nemica.
  • ovviare all’insufficiente autonomia dei MAS, rimorchiandoli fino all’imbocco del canale di Faresina tra l’Istria e l’isola di Cherso, punto in cui le siluranti avrebbero dovuto mollare il rimorchio verso le 22,00 circa.

Da lì in avanti una navigazione notturna di 26 miglia nel cuore delle acque nemiche, di cui almeno le ultime 3 usando i motori elettrici per scivolare silenziosi senza farsi individuare. Una rotta da tenere ad andatura sostenuta per non sforare i tempi pur con il rischio di essere individuati, per poter arrivare all’imbocco della baia con un sufficiente margine di tempo per entrare senza fretta.

La piccola flotta di incursori al comando del capitano Costanzo Ciano poteva contare sull’esperienza e la motivazione fuori dal comune di ufficiali e equipaggi; primo fra tutti il capitano di fregata Rizzo, ufficiale con un talento particolare nel condurre i MAS in azioni micidiali; passeggero speciale il poeta Gabriele D’Annunzio che, oltre ad essere uno scrittore fuori da comune aveva anche coraggio da vendere a carrettate.

Una volta arrivati in fondo al fiordo senza essere individuati, i tre MAS non trovarono le navi militari a cui puntavano ma dei piroscafi da carico contro cui decisero ugualmente di lanciare i loro siluri, di cui però solo uno esplose.

Prima di dare tutta manetta per guadagnare il largo, gli equipaggi lasciarono nella baia di Buccari tre bottiglie sigillate adorne di nastri tricolori che contenevano al loro interno un messaggio tagliente scritto proprio da D’Annunzio, le cui precedenti azioni militari sopra le righe avevano mandato fuori di testa i comandi austriaci al punto di mettere una ricca taglia per la cattura del Poeta.

Alle 7.45 tutti i MAS rientravano nella base di Ancona.

Un’azione impegnativa, ben pianificata e eseguita che evidenziava le potenzialità della strategia imperniata sul naviglio sottile rispetto agli insuccessi della flotta da battaglia registrati nel basso Adriatico; nonostante l’esito nullo dal punto di vista militare, l’incursione ebbe un peso mediatico non indifferente nel puntellare il morale delle forze armate dopo la catastrofe di Caporetto: questo punto viene riportato da tutte le fonti che ho trovato.

Marinai d’altri tempi che non avevano GPS, radar, comunicazioni satellitari, tablet di pianificazione missione e tutti i device elettronici con infiniti display, ma una tecnologia semplice anche se avanzata, abbinata a competenza, iniziativa e una certa libertà di azione.

Altri tempi anche se dovessimo osservare la classe dirigente italiana del periodo: gente che aveva ben chiaro in testa quello che, secondo il loro giudizio, era l’interesse nazionale e come muoversi per concretizzarlo; convinzione fermissima anche a fronte di scelte estreme come l’entrata in guerra del 1915.

Una classe dirigente dotata di una consapevolezza della situazione geopolitica del momento quasi feroce, al cui confronto la dirigenza attuale appare semitrasparente e distratta mentre galleggia qua e là in una direzione che sembra casuale, forse sospinta dal turbinare degli avvenimenti come una barchetta alla deriva.

Volendo spingersi in una spinosa riflessione sulla disastrosa politica italiana in merito alla crisi libica, se ne ricaverebbero amare considerazioni.

Una sorta di vuoto pneumatico più o meno spinto che, dopo il disastroso consenso al rovesciamento di Gheddafi, ha lasciato spazi talmente ampi che altri attori si sono inseriti nel teatro libico ormai destabilizzato e fuori controllo, cercando a loro volta di costruire posizioni da cui ottenere consistenti vantaggi: la Turchia e gli stati del Golfo Persico ad esempio, ma anche la Francia il cui attivismo sembra voler far dimenticare le proprie responsabilità nell’origine della crisi, oltre al peloso interesse per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio.

Una mancanza politica enorme che si trascina da anni, la cui responsabilità non può essere addossata solo all’ultimo Governo, le cui stelle pur non sembrano brillare di smaglianti competenze.

Quale può essere il motivo di politiche così fuori fase e inconsistenti che si sono susseguite per anni? Una risposta, come già accennato, potrebbe essere cercata nell’incompetenza diffusa della classe dirigente italiana dal 2011 ad oggi. Questa potrebbe essere la spiegazione più semplice ma forse rischia di essere anche quella più di comodo.

Tornando agli avvenimenti del 1915 e osservando la classe dirigente di allora, si può provare ad azzardare un’idea in più che può aiutare a comprendere lo scenario attuale: per concepire l’interesse nazionale è necessario che l’élite sia italiana, si senta italiana, creda nell’esistenza dello stato italiano; condizioni all’apparenza banali ma anche necessarie, altrimenti come può qualcuno concepire appieno l’interesse per qualcosa di cui non si sente partecipe e che addirittura nemmeno pensa che esista?

Questo tipo di risposta la suggerisce Giulio Sapelli in una recente intervista proprio in merito alla crisi libica:

… La politica estera aspira a perseguire quello che le élites politiche elaborano e pensano sia utile per il proprio Stato. Da noi le èlites che sono rimaste non credono più nemmeno agli Stati..”

Quindi non sarebbe solo una scarsa competenza in materia a penalizzare i nostri politici attuali, almeno quelli di primo piano dal 2011, ma la mancanza di un elemento fondamentale: l’incapacità di concepire l’interesse della nazione-Italia, improbabile per una classe dirigente che si sente non-italiana, da cui le premesse per una sequela di inefficaci decisioni.

Concludo. Osare l’inosabile nel 2020? Definire l’interesse nazionale dell’Italia.

Una roba da niente.

Chissà se qualcuno ci proverà, proprio come in quella notte del 1918.