DI Gerardo Gaita – https://gerardospace.wordpress.com/2021/03/20/la-mancanza-di-pensiero-e-il-presupposto-del-dilagare-del-male/
Lo Stato sa meglio; in nome di questa affermazione dinanzi all’affaire coronavirus-covid-19, politici e burocrati si sono impadroniti di nuovi vasti poteri sulla vita delle persone.
Politici e burocrati sostengono di aver fatto molto per aiutare la salute della popolazione, ordinando a questa di assoggettarsi a un sistema costruito sulla logica di un rigido e rigidissimo controllo sociale mediante la biopolitica – e se un difetto si riconoscono è stato solo quello di non essere stati abbastanza invasivi.
Chiedi loro in base a quelle evidenze si può affermare che ciò abbia aiutato la salute della popolazione e non l’abbia, invece, peggiorata e si scopre che le loro parole non sono altro che opinioni; basta non arrendersi alla prepotenza degli imperativi sistemici e ragionare da soli.
Dobbiamo allora uscire dal campo della tirannia delle opinioni, ed entrare in quello del diritto per valutare se si è agito nell’interesse di tutti e dei loro diritti di proprietà; se si è agito nell’interesse di tutti e dei loro diritti di proprietà, allora si è operato nell’interesse della salute della popolazione, diversamente si è operato contro la salute della popolazione.
In tal senso, l’unico scopo per il quale il potere può essere legittimamente esercitato su qualsiasi membro di una comunità contro la sua volontà è quello di prevenire o punire un’aggressione.
Per risolvere qualsiasi disputa su ciò che costituisce un’aggressione, occorre affidarsi al principio della presunzione di libertà: la presunzione di libertà deve essere intesa nel senso che qualsiasi atto che una persona desidera compiere è da considerarsi libero (da non essere interferito, regolamentato, ristretto o punito dal potere), a meno che non venga dimostrato un motivo sufficiente per cui non dovrebbe essere libero, cioè non venga dimostrato che comporti un’aggressione verso la persona o la proprietà di altri.
La minaccia di aggressione, per essere considerata tale, deve configurarsi come un atto palpabilmente e direttamente minaccioso.
Qualsiasi criterio remoto o indiretto utilizzato per codificare un atto come minaccia di aggressione, non è quindi legittimo per configurare un atto come una minaccia di aggressione; una volta, infatti, che viene consentito usare la forza contro qualcuno a causa di qualsiasi alea remota o indiretta che comporta un’azione, non c’è azione che non possa essere sottoposta al potere e quindi alla sua aggressione.
In breve, la presunzione di libertà sottrae alla sfera del potere tutte quelle decisioni che non sono tra loro incompatibili e in quanto tali non devono subire l’esercizio del potere, ma essere considerate fatti della vita da lasciare semplicemente a se stessi.
Solo rispettando il principio della presunzione di libertà è possibile distinguere la soggettività delle pretese individuali dall’oggettività del diritto.
Solo quindi rispettando il principio della presunzione di libertà il potere non diviene coercizione forzosa, cioè arbitrario, e il diritto viene scoperto e non creato, in quanto il diritto è nella sua natura qualcosa di preesistente.
Se il principio della presunzione di libertà fosse stato sempre pienamente rispettato, sin dall’inizio dell’affaire coronavirus-covid-19, non avremmo mai visto il potere comandare alcun lockdown né tantomeno coprifuochi, non avremmo mai visto il potere porre in essere norme per bloccare attività imprenditoriali o limitare l’attività imprenditoriale, non avremmo mai visto il potere arrivare a ordinare l’uso sociale di mascherine e il distanziamento fisico, non avremmo mai visto il potere stimolarci a guardare il prossimo istintivamente con paura e come pericolo e quindi ecco anche servita la psicosi dei test a profusione, non avremmo mai visto un’informazione funzionale non alla comprensione del fenomeno ma alla gestione politica del fenomeno, non avremmo mai visto la scienza, in ambito medico e biologico, diventare strumento asservito al potere.
In questo modo, si è risposto anche a coloro che pianificano per la comunità un regime di discriminazione sociale tra chi si vaccina e chi non si vaccina, in favore dei primi e in sfavore dei secondi – come, invece, a quanto pare, sta in qualche misura già avvenendo in Israele.
Tale regime comunitario non può considerarsi legittimo, ma solo arbitrario, dato che: l’obiettivo di un vaccino non può che essere conferire alla persona che si vaccina un’adeguata protezione nei confronti di una determinata malattia, indipendentemente da quante persone si vaccinano per la stessa malattia – così come non esistono cose come i diritti collettivi in quanto distinti dai diritti individuali, non esistono pertanto farmaci che hanno una dimensione collettiva distinta da quella individuale; la vaccinazione non permette di scambiare un’attesa certa per una sicurezza certa – ammesso poi che con la vaccinazione venga espressamente, cioè ufficialmente, garantita, nel senso di comunicata, una certa adeguata protezione, cosa logicamente inverosimile, cio’ non cambia il fatto che nessuno può logicamente escludere effetti avversi causati dalla vaccinazione stessa.
Di conseguenza, in quanto compatibili, sia la scelta di vaccinarsi che di non vaccinarsi sono legittime e quindi non sanzionabili dal potere.
Si tratta pertanto di far rientrare anche i vaccini nelle regole del mercato per far emergere il loro vero valore e far sì quindi che le analisi rischi-opportunità che ci sono dietro le singole scelte di vaccinarsi e di non vaccinarsi, di assumere o di non assumere questa preparazione farmaceutica, non siano inquinate dalla coercizione forzosa.
Infine, nel rispetto di questa stessa logica, il sistema sanitario erogato dallo Stato, centrale o altro suo ente, poiché tenuto in piedi dalla fiscalità generale, cioè dalla coercizione forzosa, non è legittimato a porre in essere alcuna discriminazione nelle cure verso chi lo alimenta o comunque lo ha alimentato, e non fa alcuna differenza di quanto – e se vuole essere coerente con il principio di assistenza universale, non può stabilire nemmeno verso chi non lo ha mai alimentato alcuna discriminazione nelle cure.
Il potere può essere arbitrario o non-arbitrario rispetto ai singoli atti, ma anche rispetto alla relazione complessiva che esso instaura con la società.
Stante allora l’ineliminabilità del potere, le organizzazioni della vita sociale possono quindi dividersi a seconda del modo in cui si realizza e viene esercitato il potere.
Il potere di tipo non-arbitrario fonda le relazioni delle Società senza Stato; laddove, infatti, l’istituzione statale è assente è riscontrabile una diffusione di potere tra tutti i membri della società.
Nelle Società senza Stato, in quanto non basate sull’autorità e sul monopolio legale del potere da parte di alcuni membri della comunità, si preserva la società dalla divisione tra decisori e pedissequi esecutori; esistono, in realtà, dei capi, ma questi capi, diversamente da quanto avviene nelle Società con Stato attraverso in primo luogo l’imposizione e la riscossione dei tributi, sono loro a essere costantemente in debito con la comunità e mai il contrario e il loro ruolo è solo quello di scoprire il diritto (e non di crearlo), attraverso un processo giurisprudenziale e non legislativo.
Grazie alla diffusione del potere tra tutti i suoi membri, le Società senza Stato rappresentano le organizzazioni della vita sociale più fondate sul principio della presunzione di libertà e quindi il modo migliore per perseguire l’affermazione per cui la libertà non è licenza, ma l’ordine non è oppressione.
Il potere di tipo arbitrario fonda, invece, le relazioni delle Società con Stato; laddove, infatti, l’istituzione statale è presente, il potere si restringe ai soli detentori del potere statale ed accresce sempre più in questi, mano a mano che ci si allontana da uno Stato minimo e si va verso uno Stato massimo.
Più quindi ci si allontana dallo Stato minimo e ci si avvicina allo Stato massimo, meno l’organizzazione della vita sociale trova le sue fondamenta sul principio della presunzione di libertà; d’altronde ciò non è che la conseguenza del fatto che lo Stato stesso rappresenta una violazione di tale principio, dato che non è altro che una serie di pretese individuali soggettive che non godono dell’oggettività del diritto, ma del diritto dei più forti.
Presupposto del dilagare del male non è la malvagità, ma la mancanza di pensiero, l’incapacità di sottoporre le cose a radicale dissezione.
Perseguendo ostinatamente e disperatamente l’obiettivo di far coincidere l’interesse dei singoli individui con quello della società attraverso un sempre più esteso potere arbitrario, ogni limite alla prevaricazione non può che dissolversi e così, allo stesso tempo, i conflitti e i problemi, quando non vengono provocati, vengono comunque esasperati.
Lo Stato è un’istituzione storicamente contingente e non una necessità logica, ma se non si riesce a liberarsi di questa istituzione, non si deve però permettere che la menzogna di un contratto sociale consenta allo Stato di dare per scontata l’obbedienza dei suoi cittadini, perché soltanto in questo modo può essere preservata la bontà di un terreno e un terreno in cattive o pessime condizioni può forse anche essere trasformato in un terreno in buone condizioni.