BY PAUL C. F. – E’ notizia di questi settimane che il governo cinese sta implementando di fatto un blocco delle importazioni di carbone da uno dei suoi principali fornitori: l’Australia. Il blocco di fatto, anche se non esplicitamente dichiarato è iniziato già ad agosto di quest’anno, ma in maniera impercettibile, lasciando le navi cariche di carbone australiano nella rada dei porti cinesi per tempi di attesa insolitamente lunghi, poi i cinesi hanno iniziato ad accampare scuse di “problemi di qualità” nel prodotto fornito, ma nelle ultime settimane la cosa è divenuta palese, con almeno 50 navi cariche bloccate nei porti impossibilitate a scaricare. La situazione risulta particolarmente tesa, soprattutto per le compagnie di trasporto che non riescono a scaricare e ripartire, con conseguente danno economico, e per decine di marinai che, in alcuni casi da mesi, non possono scendere dalle navi.

https://www.msn.com/en-au/news/australia/more-than-50-australian-coal-ships-remain-stranded-off-china-s-coast-despite-power-blackouts/ar-BB1cctsP

https://www.abc.net.au/news/2020-11-26/china-claims-quality-problem-with-australian-coal/12921354

In fine il Global Times, testata di lingua inglese controllata da Pechino, ammette indirettamente che esiste di fatto un blocco delle importazioni dal Paese australe, e fa capire tra le righe che questo blocco sia da ricondurre alla posizione sempre più ostile del governo di Canberra verso la Cina.

https://www.globaltimes.cn/content/1204834.shtml

https://www.smh.com.au/business/the-economy/mining-sector-pleads-for-canberra-to-restore-china-trade-stability-20201215-p56nmt.html

Il blocco di fatto da parte di Pechino ha avuto le sue ripercussioni sulla produzione delle miniere australiane, dopo che la la notizia è divenuta semi ufficiale, le azioni delle compagnie minerari australiane hanno ricevuto un sonoro schiaffo: Yancoal ha perso l’8,4%, Whitehaven ha perso il 5,8% e New Hope ha perso il 2,7%. Inoltre Il proprietario del porto di carbone Dalrymple Bay Infrastructure, ha perso un altro 5,4 per cento. Glencore, una delle più grandi società di estrazione del carbone in Australia, ha temporaneamente chiuso diverse delle sue miniere a settembre e ottobre.

Ovviamente la cosa sta preoccupando non poco i produttori australiani, il capo dell’ente minerario dell’Australia, che rappresenta i principali trasportatori sia di carbone termico che di carbone da Coke, che l’Australia e la Cina hanno un rapporto economico “forte, duraturo e reciprocamente vantaggioso”, in particolare per quanto riguarda i minerali di alta qualità, e ha esortato il governo Morrison a cercare di rinsaldare i legami con la Cina”. Una dichiarazione molto diplomatica, da parte di chi teme di perdere uno dei principali clienti, col il prezzo del carbone sulle montagne russe (da 100 USD del 2019, a 50 USD ad aprile per poi tornare ad 80 USD la tonnellata) e nel bel mezzo di una difficile fase di transizione in cui le miniere si trovano ad affrontare anche la minaccia dell’incertezza della domanda a lungo termine, dopo che i tre maggiori clienti dell’industria locale – Giappone, Cina e Corea del Sud – hanno sottoscritto gli obiettivi di raggiungere emissioni di carbonio nette zero tra il 2050 e il 2060, richiedendo un minor consumo di combustibili fossili nel loro mix energetico. (Che poi riescano davvero ad importare meno carbone è tutto da vedere N.d.R.). Sta di fatto che le esportazioni complessive di carbone termico dell’Australia, che quest’anno sono destinate a diminuire del 25%, passando da 20 a 15 miliardi di dollari.

Il Governo di Canberra ha in fine dovuto alla fine esprimersi ufficialmente sul blocco delle importazioni, il Primo Ministro Scott Morrison ha accusato la Cina di aver violato le regole del commercio internazionale e il suo accordo con l’Australia attraverso il divieto di importazione di carbone australiano e pretende un chiarimento da Pechino sulla situazione.

https://www.theguardian.com/world/2020/dec/15/scott-morrison-lashes-china-over-reported-ban-on-australian-coal-imports

Il blocco delle importazioni sta avendo anche ripercussioni non indifferenti sul gigante asiatico, infatti decine di città cinesi e almeno quattro province stanno soffrendo per l’inizio brutale dell’inverno con nuove regole imposte sull’uso dell’elettricità che riducono il consumo di energia elettrica sia per il settore residenziale che quello industriale. A Yiwu, una città di 1,2 milioni di abitanti dell’estremo oriente cinese, le fabbriche hanno ridotto l’orario di lavoro fino all’80 per cento. I grattacieli stanno spegnendo le luci, le strade sono buie e le fabbriche stanno riducendo drasticamente le ore di lavoro per far fronte a una crisi elettrica senza precedenti, causata dall’inverno particolarmente rigido che ghiaccia l’acqua nelle dighe idroelettriche e fa aumentare i consumi sia dalla decisione di Pechino di vietare il carbone australiano. “Molte centrali elettriche locali dipendono dal carbone australiano per la sua maggiore qualità ed efficienza, e ora hanno difficoltà a trovare un’alternativa”, ha detto il direttore della China Huadian Corporation.

https://www.ft.com/content/e83fffeb-3ef2-4b67-8989-6d17f153d8d4

Vedremo come la situazione si evolverà, nel medio-lungo termine entrambe le parti potranno trovare dei clienti/fornitori alternativi, la Cina ha infatti già affermato che intende aumentare le sua importazioni di carbone dalla Mongolia e dalla Russia, gli australiani dal canto loro pensano di espandere il loro mercato Indiano ed Indonesiano per la produzione elettrica.

Tuttavia all’interno dello stesso establishment cinese non tutti sembrano d’accordo su questa strategia, infatti Zhou Xin, redattore di economia politica del South China Morning Post (giornale strettamente legato ad ambienti governativi cinesi), si è permesso addirittura di scrivere un editoriale, avvertendo che il Partito Comunitario si stava sparando sui piedi.

“Le misure commerciali di Pechino che prendono di mira l’Australia … potrebbero essere viste come la Cina che usa il suo potere commerciale attraverso il suo enorme mercato interno come un’arma per servire scopi politici”, ha scritto.

“Questa percezione non aiuterà lo sforzo di Pechino ad essere vista come un credente e un sostenitore del libero scambio, né a far progredire il suo obiettivo di aderire all’accordo globale e progressivo per il partenariato trans-pacifico, un accordo commerciale regionale a 11 membri di cui l’Australia è membro”.

“Potrebbe anche compromettere gli sforzi della Cina nella ricerca di legami commerciali ed economici più stretti con i partner commerciali regionali. Dopo tutto, chi vorrebbe coltivare un rapporto più stretto quando potrebbe essere usato come strumento di punizione in futuro?”.

Ecco il problema della Cina. Nel tentativo di inviare un messaggio all’Australia a proposito degli insulti percepiti, sta dimostrando al mondo che il partenariato col Dragone comporta dei rischi.

https://www.scmp.com/economy/china-economy/article/3114802/punishing-australia-through-trade-also-comes-price-china

Il dottor Jeffrey Wilson, direttore della ricerca presso il Perth US/Asia Centre, ha affermato che il dumping cinese delle esportazioni australiane è stato “massiccio e ingiustificato”.

Si tratta di sanzioni mirate chirurgicamente”. C’è stato un obiettivo particolare, che ha cercato di massimizzare il dolore. Ora sono quasi a corto di bersagli. Quasi tutto è stato colpito.

“Solo tre prodotti sono stati risparmiati. Il minerale di ferro, il gas naturale e il latte per bambini che sono stati risparmiati in gran parte a causa della mancanza di fornitori alternativi, almeno nell’immediato.

La decisione di Pechino di tagliare le esportazioni di carbone australiano è l’ultimo capitolo di una disputa durata mesi che ha visto la Cina vietare le esportazioni di frutti di mare, vino e legname.

Il tutto nasce da un elenco di 14 reclami presentati dalla Cina all’Australia. In cima alla lista c’è l’appello del governo Morrison per un’indagine indipendente sulle origini del coronavirus che è emerso da Wuhan all’inizio del 2020 e si è diffuso in tutto il mondo.

La Cina ha visto la posizione dell’Australia come un insulto e ha preso provvedimenti. Il presidente Xi Jinping non ha più parlato con il primo ministro Scott Morrison da allora, nonostante i ripetuti tentativi dell’Australia di porre fine alla situazione di stallo.

Il New York Times ha riferito che il divieto del carbone australiano sta avendo un impatto inaspettato, poiché il rapporto tra i due Paesi va “in caduta libera”.

https://www.nytimes.com/2020/12/16/world/australia/china-coal-climate-change.html

Il problema principale dell’Australia è che essa è culturalmente, demograficamente e soprattutto politicamente un Paese occidentale, saldamente legato da alleanza politiche e militari con gli stai Uniti ed il Regno Unito. Dall’altro lato però la Cina rappresenta il principale paese di esportazione, con Cina + Hong Kong che rappresentano quasi il 40% dell’export (come potete vedere qui sotto), soprattutto per le materie prime come Carbone (per la produzione elettrica e Coke per quella siderurgica) e minerale di ferro che sono sono fondamentali per alimentare la mega produzione cinese.

I cinesi rappresentano non solo un grande partner commerciale, ma anche un investitore diretto che ha scalzato gli USA al primo posto in Australia, senza contare le numerose concessioni di porti, aeroporti e infrastrutture che la Cina possiede in Australia. I settori dove i cinesi hanno investito in Australia sono numerosissimi, e vanno dalle miniere, alla terra coltivabile, alle riserve d’acqua.

La lista è talmente lunga che per farvi un’idea vi consiglio di leggere l’articolo qui sotto che elenca nel dettaglio l’importanza dell’influenza del dragone in Australia.

https://www.dailymail.co.uk/news/article-7725675/How-China-owns-Australia-buying-infrastructure-land-water.html

Non da ultimo va considerata l’influenza cinese sulla cultura, con l’apertura di numerosi sedi di cultura cinese in Australia, i Confucius Institutes, sovvenzionati dal governo cinese, e una marea di studenti cinesi nelle università australiane, gli studenti dalla Cina rappresentano il 25% degli studenti stranieri nel Paese.

Come ciliegina sulla torta possiamo anche mettere il caso tutto da chiarire di un cittadino australiano di origine cinese, Nick Zhao, che sarebbe stato al centro di un tentativo di farsi eleggere al parlamento di Canberra, operando però come spia di Pechino.

https://www.bbc.com/news/world-australia-50541082

L’Australia è riuscita fin’ora a convivere con questa dicotomia oriente/occidente e prosperare grazie ad essa, L’Australia infatti gode da trent’anni di una crescita ininterrotta anche grazie alla strepitosa crescita cinese a cui fornisce materie prime, ora però che la Cina sta alzando l’asticella della sua influenza politica e strategica nel Pacifico, l’equilibrio su cui si è retta sembra essersi spezzato, e temo che dovranno passare diversi anni di turbolenza prima che un nuovo equilibrio nei rapporti sino/australiani venga a ricrearsi.

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Alessia C. F. (ALKA)
Esploro, indago, analizzo, cerco, sempre con passione. Sono autonoma, sono un ronin per libera vocazione perché non voglio avere padroni. Cosa dicono di me? Che sono filo-russa, che sono filo-cinese. Nulla di più sbagliato. Io non mi faccio influenzare. Profilo e riporto cosa accade nel mondo geopolitico. Ezechiele 25:17 - "Il cammino dell'uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre; perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te."Freiheit ist ein Krieg. Preferisco i piani ortogonali inclinati, mi piace nuotare e analizzare il mondo deep. Ascolto il rumore di fondo del mondo per capire quali nuove direzioni prende la geopolitica, la politica e l'economia. Mi appartengo, odio le etichette perché come mi è stato insegnato tempo fa “ogni etichetta è una gabbia, più etichette sono più gabbie. Ma queste gabbie non solo imprigionano chi le riceve, ma anche chi le mette, in particolare se non sa esattamente distinguere tra l'etichetta e il contenuto. L'etichetta può descrivere il contenuto o ingannare il lettore”. So ascoltare, seguo il mio fiuto e rifletto allo sfinimento finché non vedo tutti gli scenari che si aprono sui vari piani. Non medito in cima alla montagna, mi immergo nella follia degli abissi oscuri dell'umanità. SEMPRE COMUNQUE OVUNQUE ALESSIA C. F. (ALKA)