Serve prima di tutto empatia, ognuno di noi sa e conosce alcune cose ma non ne conosce certe altre, che altri invece conoscono: se io non so che esiste una nuova tecnologia non è detto che quella tecnologia non esista, ma qualcun’altro sa che esiste e che funziona.
Già solo questo richiede un atto di umiltà, l’umiltà di ammettere di non poter sapere tutto. Banale ma spesso ci si dimentica.
Serve anche umiltà nell’ammettere che, se noi siamo persone oneste e rispettose, ci sono anche persone prepotenti, disoneste, persino cattive.
A parità d’intelligenza nelle strutture di potere finiscono le persone disoneste e prepotenti e, più conoscono tecnologie importanti, più le blinderanno per usarle a loro vantaggio.
L’empatia serve ad immedesimarsi in modi di pensare e di sentire che NON ci appartengono, essere empatico significa riuscire a zittire momentaneamente i propri valori per riuscire a comprenderne altri.
Comprenderli ovviamente non significa affatto condividerli, possiamo benissimo comprenderli e condannarli.
È molto più facile essere empatici con chi consideriamo inferiore a noi piuttosto che con chi consideriamo superiore, le “anime belle” ne sono un esempio, si sentono superiori, difendono le loro posizioni di potere ma vogliono farti credere che sono vicine agli inferiori.
Ma ricordiamo sempre che l’empatia serve ad immedesimarci in modi di pensare e sentire che NON ci appartengono. Anche perché quando ci appartengono non dobbiamo immedesimarci con qualcuno, siamo già perfettamente sintonizzati.
Un Bill Gates qualunque lo posso considerare tranquillamente a me superiore, non quanto a moralità e onestà, ma come detentore di conoscenze e tecnologie a me sconosciute.
Nel momento in cui riesco ad essere empatico con Bill mi immagino di mettere a frutto quelle conoscenze, che tengo ben protette, esclusivamente per mio tornaconto e soddisfazione del mio ego o del gruppo cui faccio parte (lui è un collettivista…).
Quando parto da quell’assunto e quando ho abbastanza umiltà da riconoscere di non sapere tutto il potenziale delle conoscenze di Bill, allora sono finalmente e logicamente diffidente.
Quand’è che uno si fida?
Quando ti trovi di fronte qualcuno che consideri superiore che ti propone qualcosa, che te lo descrive, ma quando tu non comprendi esattamente cosa ha proposto e descritto, magari semplicemente perché ti mancano dei dati o ne ha aggiunti di falsi e non vuoi fare la figura dello scemo. Fingi di aver capito, sei orgoglioso ma non umile, ti fidi.
Ti fidi per ORGOGLIO, o ancor peggio, solo perché lo fanno gli altri, ma anche in quel caso prevale “l’orgoglio” di appartenere al gregge (anziché a se stessi).
Dove manca conoscenza, comprensione, elementi e logica, e dove manca l’umiltà di riconoscere queste mancanze, essere diffidenti è un traguardo di successo raggiunto grazie all’intelligenza.
Vale anche per lo stesso Bill, lui sa certe cose ma non può saperne certe altre.
Per esempio nel calcolo per raggiungere i suoi scopi non può sapere quanto nei destinatari funzionali ai suoi scopi prevalga l’orgoglio o quanto prevalga l’intelligenza e l’umiltà, ossia la diffidenza.
La partita è tutta da giocare.