Oggi, giovedì 30 maggio, sulla piattaforma Rousseau gli iscritti al Movimento sono chiamati a votare per confermare o meno Luigi Di Maio come capo politico del Movimento 5 Stelle.
Chiaramente, dopo un risultato elettorale così negativo è normale rimettere in discussione l’operato del capo politico di un movimento o di un partito. Così come nel gioco del calcio quando il rendimento di una squadra è scadente il primo a saltare è l’allenatore, allo stesso modo colui che ha guidato una formazione politica verso una disfatta elettorale viene indicato come il principale responsabile.
Sottoporre Di Maio al giudizio degli iscritti serve certamente a ridare fiducia al capo politico, in caso di voto favorevole alla riconferma, a rimettere in discussione il percorso fatto dal movimento fino ad oggi, in caso di sfiducia, in tal caso un nuovo capo politico potrebbe ridare slancio al movimento stesso. Se non si operasse questo passaggio e non si consultasse la base, ci sarebbe un ulteriore “scollamento” tra base e movimento stesso, poichè gli iscritti potrebbero prendere la mancata consultazione come un tentativo di imporre Di Maio come capo politico anche in futuro, facendo finta che nulla sia successo.
Avendo letto diverse dichiarazioni sia di esponenti del M5S che di simpatizzanti su vari forum, mi sembra però che al “ragazzo di Pomigliano” si stiano dando più croci addosso di quante ne meriterebbe. E’ innegabile che in quanto capo politico sia il primo ad essere additato come responsabile e il più naturale da colpire. Ma siamo sicuri che Di Maio abbia poi tutto questo potere decisionale all’interno del movimento politico fondato da Grillo? In fondo non è ben chiaro quali siano i poteri decisionali del capo politico del movimento, visto che questa figura, ora ricoperta da Di Maio, è piuttosto recente nella storia dei 5s. La mia impressione è che consciamente da parte di alcuni, inconsciamente da parte di altri, si cerchi un capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe e, come quando si nasconde la spazzatura sotto al tappeto, fingere di aver risolto i problemi e tirare avanti alla meno peggio.
In realtà i problemi che hanno portato alla significativa sconfitta elettorale di domenica scorsa sono diversi, tra cui anche l’atteggiamento eccessivamente passivo di Di Maio nei confronti dell’alleato di governo Salvini, un vero animale politico nel bene e nel male (a seconda dei punti di vista), certi tentennamenti su diversi temi trattati, alcune giravolte rispetto a dichiarazioni rilasciate non troppo tempo fa prima che nascesse l’attuale governo. Ma le vere cause, a mio avviso sono quelle che sto per elencare.
Aver promesso troppo e aver creato troppe aspettative, senza sapere bene come poter realizzare quanto promesso:
Nessun partito, una volta al governo, ha mai mantenuto tutte le promesse fatte in campagna elettorale. Alcuni mantengono solo una piccolissima parte di quanto annunciato nel proprio programma, altri lo disattendono completamente. Il M5s forse è uno di quelli che ha mantenuto di più rispetto ad altri, ma molto meno di quanto promesso. E si sa, se prometti troppo e mantieni poco, anche se fai più degli altri, l’elettore non te lo perdonerà, perchè maggiori sono le aspettative, maggiore sarà il senso di delusione se le aspettative vengono disattese.
La mancanza di rappresentatività sul territorio:
Questa è una cosa più importante di quanto possa sembrare. Se non hai un radicamento sul territorio, una presenza a contatto con il cittadino reale, e ti limiti a comunicare solo sui social non avrai mai la possibilità di “fare gavetta” partendo dal piccolo, dal particolare per poi crescere politicamente fino a poter rappresentare la tua comunità a livello nazionale.
La mancanza di esperienza e l’inesistenza di un gruppo dirigente competente ed esperto:
Diventare immediatamente parlamentari, ministri, sindaci e capi politici con compiti di guida senza aver maturato una significativa esperienza facendo prima gavetta a livello locale e poi crescendo mano a mano, insieme a una selezione naturale che consenta di portare avanti i più meritevoli e lasciare per strada chi non ha le capacità per guidare un paese o comunque rappresentarlo, ha creato molto caos e confusione, errori strategici marchiani e un certo avventurismo politico (come dice sempre il mio amico Mario P.) che fa apparire i pentastellati come una specie di armata Brancaleone (Brancagrillone, sempre secondo Mario) mandata allo sbaraglio, senza un’idea politica solida che faccia loro da guida.
L’essere post ideologici paga fino ad un certo punto, poi i nodi vengono al pettine:
Si dice che destra e sinistra non esistano più e che superare questa dicotomia sia una cosa logica e naturale. Non ne sono troppo sicuro, è vero che oggi il significato di destra e di sinistra è molto più sfumato, più difficile da inquadrare, ma esiste tuttora e la tentazione di dividersi in due fazioni (quando va bene, spesso le fazioni sono molte di più) per il popolo italico è sempre forte, per cui pur se ideologicamente non è più tanto chiaro cosa sia destra e cosa sinistra, dal punto di vista pratico le divisioni ci sono, e pure forti. Finchè sei opposizione e tratti temi che travalicano l’aspetto ideologico, per cui se parli di reddito di cittadinanza ottieni consensi tanto a sinistra, da sempre schierati con le classi più deboli, che nella destra sociale che, in quanto sociale, guarda essenzialmente alle periferie, ai disoccupati e non alle elites. Se parli di onestà otterrai consensi trasversali, perchè non c’è nessuno che appoggi la disonestà. Se ti dichiari anti casta chiaramente ottieni consensi da chi, la maggioranza degli italiani, ha vissuto l’epoca di tangentopoli come una rivoluzione contro la dittatura della mala politica manifestatasi con ruberie, sprechi, privilegi e che ha visto “cambiare tutto per non cambiare nulla” dato che sono cambiate alcune facce, i nomi di tutti i partiti ma la musica è più o meno rimasta la stessa. E allora la lotta contro i privilegi di casta non ha colore politico, è trasversale.
I nodi però vengono al pettine quando tocca governare: non si può attuare la così detta politica dei due forni, un colpo a destra e uno a sinistra, così si accontenta un po’ tutti. In realtà così si scontenta un po’ tutti e alla fine ti voltano le spalle. Bisogna decidersi che tipo di politica perseguire e su una strada tracciata in maniera chiara, muoversi e agire.
Amici pentastellati, col voto di oggi si deciderà se continuare sulla stessa strada o cambiare percorso. La domanda è: chi potrebbe prendere il posto di Di Maio?
Un “papa straniero” cioè una figura politica di esperienza e di prestigio, in grado di dare una guida certa, ma esterna al movimento, che abbia maturato esperienza altrove, ma sembra l’ipotesi più remota, non è nel DNA del Movimento.
Fico: in questo caso aspettatevi uno spostamento deciso verso sinistra e una futura ma non troppo lontana alleanza con il PD.
Di Battista: l’anima più battagliera del Movimento, adatto a guidare un partito votato all’opposizione dura e pura ma non un partito di governo, per giunta in alleanza con altre forze.
In parole povere, se cade Di Maio cade il governo. Sapevatelo!