Il 23 marzo 2021 Israele tornerà a elezioni anticipate. Dopo un lungo periodo di instabilità politica iniziato alla fine del 2019. Il sistema parlamentare israeliano è in profonda crisi, ma come è anche in crisi il sistema politico nella maggior parte dei paesi occidentali. In Israele poi un numero significativo di persone concentra le sue speranze non sui partiti politici, ma su leader forti, come vediamo in Israele con la figura di Benjamin Netanyahu.
In Israele per molti anni il sistema si basava su un equilibrio tra il blocco di sinistra-liberale (il Labor Party) e il partito di centro-destra Likud (che gli si oppone). Ma nell’ultimo periodo questo sistema è andato in crisi. Nelle ultime elezioni del 2020, il blocco sionista di sinistra è praticamente scomparso dalla mappa politica israeliana. Il partito Avoda, in alleanza con un altro partito sionista di sinistra, Meretz, ha vinto solo sei mandati. Si può parlare della scomparsa di un fenomeno come il sionismo di sinistra, che stava alla base dello stato d’Israele. Oggi, la grande maggioranza dei partiti politici israeliani si associa o alla destra o al campo religioso. Israele sta diventando un paese dominato da vari filoni dell’ideologia di destra, e l’unica opposizione che esiste è la cosiddetta “Lista congiunta”, che riunisce da un lato i comunisti e dall’altro i partiti arabi. Questi sconvolgimenti politici hanno innescato la serie di crisi politiche che hanno avuto luogo in Israele negli ultimi tempi. Qua trovate tutta la panoramica storica https://www.geopolitica.ru/article/netanyahu-oderzhit-novuyu-pobedu-no-eta-pobeda-mozhet-okazatsya-pirrovoy
Ci sono poi i soliti problemi, le ambizioni dei leader politici: in Israele, la maggior parte dei politici sono interessati spesso ad assicurarsi un posto in parlamento e poi diventare ministri, entrare nel governo e continuare a competere per varie posizioni governative di alto livello. Dopo la carriera politica puntano a ottenere una posizione lucrativa in una società privata, alla quale avevano reso servizi mentre lavoravano nel Governo.
Poi c’è l’aspetto religioso. C’è la lista degli ebrei ultra-ortodossi, ma c’è anche il partito che riceve i voti degli ebrei provenienti dall’ex Unione Sovietica. Questi ultimi ad esempio hanno un atteggiamento estremamente negativo verso gli ebrei religiosi e chiedono più laicità in Israele. Attualmente la popolazione religiosa sta fortemente aumentando, ci sono statistiche secondo cui entro il 2060 supererà il 20% della popolazione. Inoltre, tale popolazione religiosa è diversificata: ci sono i coloni che vivono nei territori palestinesi occupati (che combinano la religiosità con il nazionalismo estremo) e ci sono gli ebrei ortodossi. In mezzo a questo ginepraio c’è una fetta di popolazione molto religiosa che vive di sussidi, non serve nell’esercito, e alcuni di loro non riconoscono nemmeno lo stato di Israele perché lo considerano un’eresia dal punto di vista giudaico. Inoltre la crescita della popolazione tra gli ebrei religiosi è molto alta e la popolazione laica (sia a destra che a sinistra) teme che a un certo punto la minoranza religiosa imponga la sua volontà alla popolazione laica, e questa è una spaccatura molto grave nella società israeliana.
Emerge che se per decenni il conflitto principale era quello israelo-palestinese, ora il fattore palestinese è letteralmente ridotto a zero: Israele ha praticamente annientato la resistenza palestinese, e nessuno se ne preoccupa più.
Durante la presidenza Trump le relazioni di Israele con un gran numero di stati arabi si sono stabilizzate. Ora, dopo anni di conflitti, devono fare i conti solo con loro stessi. Tutta l’aggressività – che prima era diretta verso l’esterno – ora ha cominciato a muoversi verso l’interno della stessa società israeliana.
Netanyahu, spesso accusato di corruzione, insieme ai suoi ex collaboratori, continuano a influenzare le élite. Non possono più contare su un gran numero di voti alle elezioni, ma possono ancora influenzare la vita politica attraverso i media e il sistema giuridico. L’opposizione accusa apertamente Netanyahu di ambizioni dittatoriali. Durante i suoi lunghi anni di potere ha potuto indebolire il sistema giuridico che gli si oppone.
L’ex presidente Trump ha fornito un enorme sostegno geopolitico e diplomatico a Israele ed è stato uno stretto “amico” di Netanyahu. Ora molte forze politiche israeliane sono pessimiste sul futuro delle relazioni sotto la presidenza di Biden, che potrebbe potenzialmente “raffreddare le cose”. Forse con Trump si è toccato l’apice della partnership USA-Israele. Biden ha avuto una relazione molto stretta con Israele fin dagli anni ’70, ha dichiarato “Sono un sionista, mi vedo come un sionista”, ma è stato critico verso tutte le politiche di Israele. Comunque al momento Biden ha riconfermato tutte le concessioni fatte a Israele da Donald Trump.
La comunità ebraica negli USA, che è anche la più influente perché influenza la politica estera americana, sta cambiando direzione. Sta calando il sostegno della comunità ebraica americana per Benjamin Netanyahu. Questo crea una certa tensione tra Israele e gli ebrei americani. Negli ultimi anni la maggior parte del sostegno a Israele è venuto dall’ala conservatrice del Partito Repubblicano, in molti pensano che la relazione tra gli ebrei americani e il governo israeliano potrebbe ora raffreddarsi.
Netanyahu, alle prossime elezioni, potrebbe ancora vincere, ma avrà dei grossi problemi a gestire la coalizione. Dovrà soddisfare le richieste esorbitanti dei partiti minori che vi aderiscono. E non c’è nessuna garanzia che il sistema politico rimanga stabile. Come in occidente la crisi legata al coronavirus ha il suo bel peso: Israele si trova ora in grossa crisi economica, la disoccupazione ha superato il 15%, il turismo è paralizzato, piccoli e medi imprenditori sono falliti (questi sono proprio il pilastro che sostiene Benjamin Netanyahu e il suo partito Likud).
Altra sfumatura interessante, le relazioni della Russia con Israele si basano principalmente su legami personali: Vladimir Putin è riuscito a costruire buone relazioni con Bibi Netanyahu, ma ci sono varie forze in Israele: alcune sono pronte a cooperare con la Russia, altre sono orientate verso altri paesi. Il problema è che le relazioni israeliane sono ancora prevalentemente personali.
Le forze/potenze che hanno creato Israele all’inizio del XX secolo non l’hanno fatto per amore del popolo ebraico. L’intenzione era semplicemente quella di spingere l’ondata di migranti dall’Europa dell’Est più lontano dall’Occidente. Del resto il politico inglese Ernest Bevin disse a Harry Truman: “Voi sostenete il progetto israeliano perché non volete vedere 100.000 ebrei per le strade di New York”.
Israele è un progetto globalista, e la sua attuale crisi del sistema politico avrà molte ricadute. Costruito come un “rifugio per gli ebrei” ora potrebbe diventare non una semplice trappola, ma un vortice che tutto fagocita e da cui non è possibile fuggire. E’ diventata un’area piena di contraddizioni, il collasso economico, l’antagonismo di vari gruppi nella società israeliana, e la crisi di potere potrebbe scatenare un qualcosa che nessuno riuscirebbe a controllare più in quella zona. Alessia C. F. (ALKA)