Nel 1103 una frana danneggiò ‒ come poi succederà anche nel 1574, 1827, 1843, 1929 ‒ parte del paese di Grottammare (oggi in provincia di Ascoli Piceno). Nel 1130 un’altra frana colpì la rocca di Gombola (Val Rossenna, Modena). Nel 1140 la stessa dinamica provocò l’evento che travolse la Chiesa di S. Giusto al Botro (Volterra) e, nello stesso anno, i reperti venuti alla luce molto tempo dopo in Piazza della Signoria hanno rivelato che si verificò la prima piena alluvionale dell’Arno della quale non esistevano riferimenti nelle fonti scritte. A differenza delle successive che furono documentate. Una di queste, tra l’altro, ci porta ad una delle prime divisioni frontali di italica memoria che pare utile ricordare.

L’11 giugno 1289 a Campaldino ‒ tra Pioppi e Pratovecchio ‒ i Guelfi e i Ghibellini (fiorentini quasi del tutto i primi, aretini nella maggior parte i secondi ‒ si fronteggiarono in una battaglia alla quale presero parte, tra gli altri, Dante Alighieri e Cecco Angiolieri.

La sorte fu favorevole ai primi e le ostilità cessarono nel tardo pomeriggio quando iniziò ‒ inaspettatamente ‒ a piovere. Una pioggia che si fece alluvione1 (come riporta il Sommo nei versi 109-129 del Purgatorio) tanto che il corpo di uno dei caduti ‒ Bonconte, figlio di Guido da Montefeltro ‒ non venne mai ritrovato, portato via come fu ‒ e seppellito dai detriti ‒ dalla piena dell’Arno.

Stessa sorte toccò, qualche anno dopo, alla statua di Marte collocata come «oggetto talismanico e segno scaramantico»2 da tempo immemorabile all’imbocco di Ponte Vecchio a difesa dell’abitato proprio dalle calamità naturali: nel 1333 un’altra alluvione fece «centinaia di morti e provocò distruzioni ingentissime»3, tanto che i ponti alla Carraia e di Santa Trinità furono spazzati via dalla piena e a Palazzo Vecchio il livello dell’acqua raggiunse quello di 6 braccia fiorentine (pari a circa più di tre metri).

Da allora, per dirla con Pier Paolo Pasolini, «molta storia passò»4 e ancor più fece l’acqua sul territorio ‒ come dimostra la lunga serie storica5 dei principali dissesti idrogeologici ‒ della sciagurata Penisola, composta per il 77% di alture sabbiose e argillose che «scivolano facilmente a valle, e con un clima che oscilla fra siccità e nubifragi per cui, chi l’ha abitata, ha sempre dovuto fare i conti con alluvioni e frane»6.

Entro questa percentuale il dato interessante ‒ reso tale da l’ondata di analisi e fantasiose ricostruzioni causali di quanto avvenuto tra il 2 ed il 17 maggio ‒ il 4% è costituito da zone «ad altissimo rischio idraulico (pericolo di allagamento) concentrate in Emilia-Romagna»7.

Ovviamente in un Paese normale ‒ non come il nostro dove ormai il ceto politico autoctono comunale, provinciale e regionale è talmente inadeguato da far rimpiangere le autoreferenziali élite locali postunitarie composte dal patriziato e dalla possidenza cittadina com’era nel caso di Forlì8 ‒ si sarebbero programmati ed effettuati interventi atti a mitigare la pericolosità di una tal situazione.

La risposta italiana, invece ‒ e nello specifico emiliano-romagnola con la chiacchierata Legge Regionale n. 24 del 21 dicembre 2017 che avrebbe dovuto disciplinare proprio la tutela e l’uso del territorio ‒ è stata, potremmo dire, piuttosto “creativa”.

A tre anni dalla sua approvazione, infatti, si è impiegato il tempo libero “regalato” dei vari lockdown sanitari per cementificare 658 ettari: come riportato dai dati ufficiali ISPRA9, inoltre, «l’80% di questa superficie riguarda aree a pericolosità idraulica, ovvero dove sappiamo che è alto il rischio di esondazioni. In questa regione si consuma suolo nelle aree protette (+2,1 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità di frana (+11,8 ettari nel 2020-2021) e nelle aree alluvionali, dove l’Emilia-Romagna vanta un record nazionale. La città di Ravenna è stato il capoluogo più cementificato dell’intera Regione nel 2021 (+69 ettari).  Questi sono i dati sul consumo di suolo dell’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale»10. Evviva l’alluminio, direbbe Petrolini11.

In Italia, solo nel corso del “Secolo breve” ‒ secondo una stima al ribasso, visto che in molti casi le notizie, soprattutto nei primi del Novecento, non sempre arrivavano puntuali come accade oggi ‒ si contano «5.000 grandi alluvioni e 12.000 frane […] in media, un episodio ogni giorno e mezzo. In soli cinquant’anni i fenomeni naturali hanno provocato circa 3.500 morti, mediamente 7 morti al mese»12.

Terra di alluvioni e disastri naturali, insomma, la nostra Penisola. Tanto che, su di essi, qualcuno ci ha scritto anche un libro intero13 che aiuta a prendere coscienza di come ‒ per lo Stivale ‒ si possa ormai calzare quanto scritto da Giustino Fortunato per il suo pollicione calabro (che è de facto una penisola della Penisola): «uno sfasciume pendulo sul mare»14.

Si tratta di un’eccezione al “mal comune mezzo gaudio” visto che, non solo ci si ritrova ormai sempre più spesso a fare la conta dei danni provocati da decenni di dissesto idrogeologico, ma ci si deve sorbire puntualmente e contestualmente il rincaro della filippica green in base alla quale tutto ciò viene stigmatizzato come risultante del “climate change”.

Eppure la differenza tra questi due aspetti l’avevano già ben colta Alessia & Paul C.F. all’indomani dei fatti di Colonia dove la zona alluvionata ‒ assunta come icona dagli ambientalisti dell’ultima ora ‒ non era certo la prima volta che veniva colpita «da importanti precipitazioni che portano grossi danni […] nel secolo scorso, il Reno a Colonia ha superato 21 volte la soglia dei nove metri. Ogni volta c’è stato un considerevole danno da inondazione. Tre volte si è parlato di un’inondazione del secolo: nel 1926, nel 1993 e nel 1995»15. Osservazione inconfutabile che valeva nel 2021 per i fatti di Colonia e vale oggi per quelli emiliano-romagnoli.

Il sensazionalismo dei media, quindi, colpisce a prescindere e rilancia ad ogni evento climatico avverso ‒ che provoca danni e purtroppo vittime come i precedenti ‒ il solito leitmotiv che incoraggia la nuova ansia venduta tanto al chilo dopo quella sanitaria (2020-2021) e del conflitto russo-ucraino (2022).

L’obiettivo è quello di mettere definitivamente a tacere, anche in questo caso come negli altri, chi ha messo in guardia sulle politiche promosse dai gruppi di pressione ambientalista che sfruttano e strumentalizzano gli eventi atmosferici: lo scriveva nel 1998 già Gregory Gardner16 il quale ricordava che più di 50 membri qualificati dell’American Meteorological Society avevano firmato ben cinque anni prima una lettera aperta nella quale si sosteneva che le iniziative “green” dell’epoca derivavano «da teorie scientifiche molto incerte. Si basano sul presupposto non supportato che il riscaldamento globale catastrofico derivi dalla combustione di combustibili fossili e richieda un’azione immediata. Non siamo d’accordo»17. In pratica, prima di essere assunti come vulgata internazionale, erano fake news da complottisti.

Quella di Gardner non era una posizione strumentale o antitetica a prescindere o, ancor peggio, motivata da invidie accademiche. Si trattava di quanto rivelavano le misurazioni effettuate tramite satelliti le quali non evidenziavano «alcun riscaldamento globale, ma un raffreddamento di 0,13°C tra il 1979 e il 1994»18. Inoltre, poiché la teoria del global warming presupponeva il massimo riscaldamento ai poli, un’altra domanda scomoda era quella lecitamente avanzata da Robert C. Balling: «Perché le temperature medie nell’Artico sono scese di 0,8?»19.

La perdita dell’innocenza, insomma, da parte di parte della comunità scientifica ‒ a sua volta incoraggiata dal mainstream mediatico e dai “padroni universali”20 ‒ risale al 1995 quando è stato modificato il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) inserendo nella sua versione ufficiale che il cambiamento climatico causato dall’uomo potesse essere considerato un fatto certo e verificato.

Nella bozza originale, però, questa conclusione non era stata per nulla contemplata il che fa comprendere meglio oggi molte cose. Tra cui le sibilline parole di Frederick Seitz ‒ già capo della statunitense National Academy of Sciences ‒ quando nel 1996 sul Wall Street Journal scrisse apertamente di “grande inganno sul global warming” denunciando che «in più di sessant’anni come membro della comunità scientifica americana … non ho mai assistito a una corruzione più inquietante della peer-review processo rispetto agli eventi che hanno portato a questo rapporto IPCC»21.

A questo punto non ci rimane che dare tempo al tempo e attendere che anche questa del “global warming” quanto l’altra del “climate change” possano essere rubricate tra le 18 previsioni straordinariamente sbagliate22 che sono state fatte dalla Prima Giornata della Terra istituita nel 1970…

  • FONTI:
  • 1 C. Scarpati, Studi sul Cinquecento italiano, Milano, Vita e Pensiero, 1982, p. 25.
  • 2 F. Salvestrini, Libera città su fiume regale. Firenze e l’Arno dall’Antichità al Quattrocento, Firenze, Nardini, 2005, p. 51 e ss.
  • 3 A. Zorzi, L’angoscia delle repubbliche. Il “timor” nell’Italia comunale degli anni trenta del Trecento, in AA.VV., The Languages of Political Society. Western Europe, 14th-17th Centuries, a cura di A. Gamberini, J.P. Genet, A. Zorzi, Roma, Viella, 2011, p. 291.
  • 4 Cfr., il CD di P.P. Pasolini, Meditazione Orale, traccia n. 5 (registrata nel 1970), BMG Ricordi RCA 74321-27043-2, 1995.
  • 5 Per la quale si rimanda all’ottima appendice in G. Gisotti, Il dissesto idrogeologico. Previsione, prevenzione e mitigazione del rischio, Palermo, Dario Flaccovio Editore, 2012, pp. 519-591.
  • 6 G. Corona, Breve storia dell’ambiente in Italia, Bologna, Il Mulino, 2015.
  • 7 I. Batavo, L’Italia di sempre. Che cosa si dice dell’Italia, Vol. I, Lulu, 2019, p. 38.
  • 8 D.L. Caglioti, G. Montroni, L’ascesa dei ceti dirigenti forlivesi (1860-1914), in AA.VV., Una borghesia di provincia. Possidenti, imprenditori e amministratori a Forlì fra ottocento e Novecento, a cura di R. Balzani e P. Hertner, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 481 e ss.
  • 9 ISPRA, Schede Regionali. Consumo di Suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Report di Sistema SNPA, n. 32, del 2022, Roma, ISPRA, 2022, pp. 35-40.
  • 10 Cfr., L’intervista a Paolo Pileri in D. Falcioni, Emilia Romagna prima regione per cementificazione di aree alluvionali: così il maltempo fa più danni, in «Fanpage», del 4 maggio 2023.
  • 11 E. Petrolini, Macchiette, Roma, Newton Compton, 1993, p. 7.
  • 12 L. Janni, “Bombe d’acqua” nel messinese. Avvisi di garanzia e nubifragi. Ponte, torrenti e viabilità, un quadro problematico, in «Italia Nostra», n. 466 dell’ottobre 2011, p. 29.
  • 13 R. Rosso, Bombe d’acqua. Alluvioni d’Italia dall’Unità al Terzo millennio, Venezia, Marsilio, 2017.
  • 14 G. Fortunato, La questione meridionale e la riforma tributaria (1904), in Id., Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, Firenze, Vallecchi, 1973, p. 539 e ss.
  • 15 A&P. C.F., Climate change? Chiamatelo col suo nome: dissesto idrogeologico! Ecco il territorio tedesco, in «Ora Zero», del 17 luglio 2021, in https://www.orazero.org/climate-change-chiamatelo-col-suo-nome-dissesto-idrogeologico-ecco-il-territorio-tedesco/.
  • 16 G. Gardner, Many climate change scientists do not agree that global warming is happening, in «British Medical Journal», dell’11 aprile 1998.
  • 17 P. Michaels, Conspiracy, consensus or correlation? What scientists think about the ‘popular vision’ of global warming, in World Climate Review, vol. 1, n. 2, del 1993, pp. 6-11.
  • 18 R.C. Balling, Global warming: messy models, decent data and pointless policy, in Id., The true state of the planet, New York, Free Press, 1995, pp. 83-107.
  • 19 Ibidem.
  • 20 F. Lamendola, «Great Reset: Chi c’è dietro?», in «Inchiostro Nero», del 18 gennaio 2021.
  • 21 F. Seitz, Major deception on global warning, in «Wall Street Journal», del 12 giugno 1996.
  • 22 M.J. Perry, 18 Spectacularly Wrong Predictions Were Made Around the Time of the First Earth Day in 1970, Expect More This Year, in «AEI», del 21 aprile 2022.
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Roberto Bonuglia
BIOGRAPHY: Roberto Bonuglia (Roma, 1978) ha conseguito il dottorato di ricerca in “Storia e formazione dei processi socio-culturali e politici dell'età contemporanea” presso il Dipartimento di Studi politici della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma “La Sapienza”.Assegnista di ricerca presso Laziodisu è stato consulente dell’Istituto Luce, caporedattore della rivista «Elite&Storia», tra gli organizzatori della “Settimana della Storia”, consulente dell’Istituto Luce e in occasione delle celebrazioni del 150esimo Anniversario dell’Unità d’Italia, ha ricevuto la Medaglia di rappresentanza del Presidente della Repubblica Italiana per il progetto “Storia dell’Unità italiana” svolto nelle Scuole Primarie del Lazio.Collabora con diverse riviste e testate come “Il Primato Nazionale”, "Il Corriere delle Regioni", "Nova Historica", “Il Pensiero Forte”, “Barbadillo”, "ORAZERO http://www.orazero.org/" e i “Quaderni Culturali dell’Accademia Adriatica di Filosofia Nuova Italia”.Tra le sue pubblicazioni: L’imprenditorialità femminile italiana tra ricerca e innovazione, Elite e storia nella narrativa napoletana, Da Khayyam alla globalizzazione, Tra economia e politica: Pasquale Saraceno. Ha curato, tra gli altri, i seguenti volumi collettanei: Gioacchino Volpe tra passato e presente, Economia e politica da Camaldoli a Saragat (1941-1971), Geopolitica del Terzo Millennio, Il Codice di Camaldoli e la “ricostruzione” cattolica.Appena pubblicato: Dalla globalizzazione alla tecnocrazia. Orientamenti di consapevolezza distopica del Terzo millennio e All’ombra della vulgata. Articoli inediti sugli argomenti più attuali tra nuovi mondi economici e manipolazione tecnologiche. Un testo scorrevole ma profondo, preciso e vivo, in grado di rappresentare un saggio di valore all'interno di quella letteratura che vuole capire gli sviluppi della società moderna invece che subirli, che vuole farsi domande invece che accettare ogni nuovo dogma del capitalismo pseudo-felice, un panorama di fatti raccontati in maniera coraggiosa che ci danno modo di riflettere.RESEARCH INTERESTS Storiografia, Storia economica, Storia Contemporanea, Geopolitica