Di lorenzo merlo ekarrrt – 180923

Le realtà che descriviamo discendono da un solo campo volumetrico. Ogni narrazione è un incantesimo coerente, che entra in conflitto nel momento in cui la eleggiamo superiore alle altre. Ma nessuna è in conflitto se vediamo in quali termini è vera, in quali termini descrive una realtà. La dimostrazione cosiddetta scientifica non serve. Essa scompone e quantifica. Praticamente ferma in una bidimensione ciò la cui natura è un volume, entro cui tutte le entità della vita universale sono in perenne relazione reciproca e movimento, pronte a divenire qualunque realtà quando l’osservatore realizza un’affermazione. Come già detto da millenni dalle tradizioni sapienziali, non il principio del calcolo/misurazione, ma quello di forza/tendenza è idoneo a riconoscere tanto il ripetersi, quanto il variare della storia, secondo una coerenza non più irreversibile, come nel tempo lineare in cui crediamo. Una coerenza che non sta nei principi della logica, ma include il proprio opposto alogico, e in cui il binomio materia e spirito non sono due terreni separati, ma cangianti facce dell’Uno.

Una sola realtà

La realtà concepita come ente oggettivo, composto da parti che rispondono a leggi e scomponibile fin dove la tecnologia lo permette, identica per tutti, impone e deriva dall’idea di matrice cartesiana e newtoniana, illuminista e scientifico-materialista; comporta una lettura e un’indagine esclusivamente appoggiata al piano logico-razionale, in quanto così si ritiene di trovare e di restare entro un’interpretazione impeccabile, autentica e definitiva, scalzando quanto a essa non confacente. È una realtà ridotta a materia, allo stato misurabile e quantificabile.

Ma la narrazione logica è incompleta. Dentro la camicia di forza meccanicista, il suo linguaggio non è idoneo per raccontare la realtà. Il suo discorso sempre finalizzato a dimostrare il vero non permette di accreditare quanto scarta e lascia fuori dal reale, né la serendipità verso l’inimmaginato alogico. Le sue parole reificano la realtà e ciò impedisce il volo leggero in ciò che ritiene utopico e impossibile.

Il concetto di tempo raduna bene l’impostura della reificazione. Per tutti noi, esso è uno, scomponibile e moltiplicabile in modo univoco, universale, irreversibile, sempre orientato in avanti. Non comporta sistemi-organismi, ma geometrie piatte e lineari, dove il progresso è sempre più avanti. Sic! Esso crea il passato e guarda al futuro, lasciando di sé solo l’attimo imprendibile del presente. Il suo sistema costretto entro il principio di causa-effetto non può contemplare quello del qui e ora al centro del pensiero magico-taoista, secondo cui solo nel presente possiamo cogliere l’intero.

L’efficacia della descrizione ha emozionato gli spiriti umani, al punto che è ora ordinario per questi intendere nello stesso modo della realtà fisica quanto è umano. La medicina ne è un portabandiera, i suoi protocolli ne sono un campione emblematico. L’inconsapevole idolatria della scienza materialista ha condotto gran parte delle culture del mondo allo scientismo, ovvero al pensiero che solo questa scienza conduca alla conoscenza e alla verità.

Lo si può riscontrare da sempre. Concludere un’affermazione con un è scientificamente provato toglie di mezzo discussioni e la imprime di verità garantita oltre ogni ragionevole dubbio. Anche se li conosce, chi la pronuncia non si cura di Karl Popper (1), che ci ha segnalato i limiti della scienza, tantomeno di Kurt Gödel (2) e del suo principio di incompletezza, né di Ludwig Wittgenstein (3), con la sua critica alla struttura logica del mondo universalmente valida, e men che meno di Alfred Korzybski (4), della sua legittimazione e valorizzazione dell’alogico e, parafrasandolo liberamente, del suo il protocollo non è il territorio (5).

“Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere” (6).

“[…] nessun sistema rigorosamente definito di assiomi corretti può comprendere tutta la matematica oggettiva, dal momento che la proposizione che afferma la coerenza del sistema è vera ma non dimostrabile nel sistema stesso” (7).

“Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati” (8).

“Infatti, l’intero passaggio dal sistema aristotelico al sistema non-aristotelico dipende da questo cambio di atteggiamento dall’intensione all’estensione, dalla tendenza macroscopica a quella submicroscopica, dalla tendenza ‘oggettiva’ a quella processuale, dalla valutazione del soggetto-predicato a quella relazionale, etc.” (9).

E ne abbiamo visto l’applicazione su scala planetaria in occasione del Covid-19, il presunto esiziale virus. Non solo da parte dei professori dello scientismo, ma spettacolarmente da parte di chi, seppur inconsapevolmente, concepisce la cultura che c’è, i suoi specializzati ed esperti come la voce alla quale è sbagliato non attenersi. Ricchi dell’incoronazione che il sistema ha loro tributato, non si fanno cruccio dei paradossi e delle antinomie interne alla logica, unico e pregiato mattone delle loro villette con patio, portico e terrazza, dalle quali osservano, fieri di se stessi, il mondo di sotto.

Ogni loro nuova idea, che porta a cestinare la precedente – l’universo è ampio 4 mlr di anni luce, anzi 13 –, è nuovamente verità indiscutibile. Perché non sarebbe vero che l’universo è largo 13 mlr di anni luce, se loro dicono che lo è? Chi dice che l’universo è altro viene squalificato come ciarlatano che non si attiene alla scienza, cioè alla verità. Non è che un’ennesima planatina nel piccolo cielo del materialismo, di stelle e costellazioni razionali. Cioè ancora rinchiuso nella povera libreria babelica che non sapremo di seguitare a erigere, finché non ci crollerà addosso.

Il mondo è pieno delle ciarlatanate della scienza. Prima di una pletora di alpinisti, Reinhold Messner e Peter Habeler erano saliti sull’Everest nel 1978 senza ossigeno ausiliario, nonostante il mondo scientifico affermasse in coro che la percentuale di ossigeno a quelle quote era insufficiente a mantenere la vita. Tra il 1950 e il 1989, Enzo Maiorca “si trovò in rotta di collisione con la scienza” (10) – parole sue – mentre, record dopo record, scendeva a profondità dove sarebbe morto per schiacciamento della gabbia toracica. Più recentemente, abbiamo l’esempio del record del mondo forse imbattibile. Ce lo ha riferito il signor Draghi sostenendo, imboccato dalla scienza, che “se non ti vaccini, ti ammali, muori” (11). Ma anche senza Draghi fiammeggianti, la scienza, con i suoi del Comitato scientifico, non ha mancato di ricordarci che i vaccinati non infettano.

La concezione dell’uomo, della conoscenza, del progresso, del bene e della verità totalitarista, meccanicista e materialista non è altro che una gabbia emozionale che impedisce un pensiero altro da quello ridondante che gira in tondo, ripetendosi e rinforzandosi. Né più né meno di quanto accade in contesto idolatrico o ideologico.

Se ciò soddisfa la dimensione e le prospettive razionali, non dovrebbe eleggere tuttavia la ragione. L’uomo non è solo ratio. Questa non è che un’espressione minore e superficiale che ha preso il sopravvento nella storia. Il resto, quanto oggi il razionalismo non può che denigrare, suo unico mezzo di interlocuzione, è infinito. Un territorio ben più ampio di quello maneggiato dallo scientismo, composto da limitate norme, elementi e dinamiche. Tutte inette a muoversi in campo sconosciuto, in quanto tutte a sfondo deterministico. La scienza scientista non ha proprio gli strumenti per indagare quanto è alogico e indefinibile. Ma ha l’arroganza e la prepotenza di considerare le sue quattro categorie, entro cui ha posto la realtà, le sole scatolette utili alla vera conoscenza.

Qui abbiamo un campione di quanto detto finora. Il testo è tratto da un commento relativo al seguente articolo: https://gognablog.sherpa-gate.com/la-mente-nella-natura-2/.

“‘Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg (Fisica e Filosofia, Natura e Fisica Moderna) formulò il suo famoso principio di indeterminazione con il quale veniva introdotta inevitabilmente l’osservazione (cioè la mente) in tutti i fenomeni e in tutti i processi. Negli studi e nei comportamenti successivi si sarebbe dovuto tener conto che si stava trattando sempre con entità miste di mente-materia, ormai inscindibili’ [brano dell’articolo in questione riportato dal commentatore stesso, N.d.A.].

Basta questo incipit a far passare la voglia di leggere il resto (cosa che comunque ho fatto, vincendo la naturale repulsione). Parole in libertà. Non c’è niente di male; adoro il nonsense, e alcune delle fantasie linguistiche dei futuristi erano gradevoli, nel loro delirio. Ma se si vuole parlare di scienza, e di fisica quantistica in particolare, sarebbe bene avere una sia pur vaga idea di ciò di cui si sta parlando. Pare però che il fascino esercitato dall’idea che si possa contrapporre il “nuovo paradigma” della fisica quantica alla obsoleta prospettiva “cartesiano newtoniana” della “scienza ufficiale” sia troppo potente per perdere tempo a studiare. Mi limito a far notare che da circa cent’anni a questa parte la fisica quantistica È la “scienza ufficiale”. Ma che te lo dico a fare”.

Se avessimo seguito la bandiera della ragione, e non quella del razionalismo, non ci troveremmo oggi costretti a doverla issare sul pennone affinché proprio loro, i razionalisti, si avvedano che le mappe che hanno realizzato e seguito non solo non sono il territorio, ma lo stravolgono oltremodo.

Georgia O’Keeffe (1887-1986) Evening Star No. II 1917 Watercolor on paper

Campi chiusi e campi aperti

La concezione meccanicistica del mondo non è la sola possibile. Non è che una parte – non disponibile in percentuale fissa, ma solo circostanziale – di quanto l’uomo è in grado di esprimere o elaborare. La ragione è infatti in grado di vedere anche le linee non euclidee che si aggirano nella mente degli uomini. È in grado di vedere che senza relazione non esiste il mondo. Può ritenere che altre visioni contengano verità e non siano meno opportune di quelle protocollabili della concezione razionalista. Può rifiutare che il benessere e il progresso vengano compressi in risibili categorie autoreferenziali.

Non c’è libretto di istruzioni che tenga, quando il campo della relazione non è condiviso, cioè chiuso. Quest’ultimo è un territorio dove l’equivoco non ha terreno per fiorire, il pensiero diviene unico e la creatività si irreggimenta. Sostenere che la realtà è nella relazione è sostenere un’emozione differente rispetto a quella dominante che la considera “oggettiva”.Questa tuttavia è idonea a descrivere quanto avviene in un campo chiuso. È necessario ricordare che la definizione stessa ne crea uno, univocamente definito e condiviso tra le parti di un’interlocuzione. Ciò sottintende che si necessita dell’uso del linguaggio logico-razionale, a sua volta espressione della concezione materialista del mondo.

Campo chiuso, quindi, allude a una relazione simmetrica (emozione condivisa) nei confronti dell’oggetto concettuale o materiale in questione. Una relazione asimmetrica implica invece un campo aperto, territorio dove le emozioni sono individuali, non riconosciute e implicitamente non condivise.

Il campo chiuso è ben rappresentato da un gioco. Il calcio e la briscola ne sono due esempi, nella misura in cui i giocatori intendono che ogni affermazione da loro compiuta è riconosciuta e condivisa dalle parti. Ma insieme ai giochi c’è altro. Campo chiuso è la ricerca scientifica, i contesti amministrativi, il linguaggio radicalmente condiviso e colto nelle sue accezioni, senza spazio per gli equivoci, come quello matematico e quello grammaticale. O anche certi contesti umani, come quello della complicità. In ognuno di questi, chi vuole giocare deve conoscere le regole che lo definiscono e rispettarle, pena l’esclusione o la sanzione. La realtà diviene oggettiva, unica per tutte le parti in causa. Basta non capire il fuorigioco per essere esclusi dal dialogo del gioco.

La configurazione del campo aperto è invece ben rappresentata dalla comunicazione spontanea, terreno in cui, alla faccia di chi ritiene che l’affermazione sia comunicazione, l’equivoco regna sovrano, finché le parti non riferiscono pari livello, prospettiva, intento, motivazione, bisogno, cioè finché il campo non si chiude.

Già Paul Watzlawick (12), Heinz von Foerster (13) ed Ernst von Glasersfeld (14) avevano fatto presente che ogni osservatore del reale ne comporta una narrazione personale. Una considerazione banale a ben guardare – con ragione –, ma ancora senza fioritura nelle culture razionaliste del mondo. Ancora assente nel fare ordinario degli uomini, anche se in qualche contesto, didattico, psicomotorio e psicoterapeutico, nella Pnei (psiconeuroendocrinoimmunologia), in qualche sospiro della medicina e della pedagogia, essa è ben sbocciata. (Non perdo però l’occasione di colpevolizzare i relativi esperti che, a mio parere, non si adoperano come penso dovrebbero per contaminare il pensare comune e sottrarlo così alle limitanti dinamiche egoiche di fondo).

“È assai probabile che la realtà sia quella che noi rendiamo tale o, per dirla con le parole di Amleto, ‘… non v’è nulla di buono o di cattivo, che il pensiero non renda tale’. Noi possiamo soltanto congetturare che alla radice di questi conflitti di punteggiatura ci sia la convinzione, saldamente radicata e di solito indiscussa, che esista soltanto una realtà, il mondo come lo vedo io, e che ogni opinione diversa dalla mia dipenda necessariamente dalla irrazionalità dell’altro o dalla sua mancanza di buona volontà” (15).

“Coloro che decidono di essere osservatori di un universo indipendente, e ci riferiscono i risultati delle loro osservazioni, ci forniscono il vasto campo del sapere ortodosso. Il potere di questa posizione è la fiducia nelle capacità di descrivere in modo definitivo e inequivocabile l’unicità dell’universo — VERITÀ — e di descrivere questo universo senza che le caratteristiche proprie dell’osservatore entrino a far parte delle sue osservazioni — OGGETTIVITÀ —. Le nozioni di Verità e di Oggettività garantiscono la popolarità di questa posizione: la prima promuove autorità — È come io ho detto —, la seconda toglie responsabilità — Te l’ho riferito così come è. Inoltre, separandosi dall’universo, ci si separa anche dagli altri” (16).

“[…] finché parlo a me stesso, il mio linguaggio è denotativo, nel senso che mi riferisco a cose che stanno nel mio campo esperienziale e che posso quindi rapportare a parole. Se gli altri mi parlano, questi altri stanno sì nel mio campo esperienziale, ma ciò di cui parlano sta nel loro campo esperienziale ed è per me inaccessibile” (17).

Universi diversi

La nota affermazione che siamo universi diversi torna utile. Essa dice un’ovvietà a chi ha integrato nelle sue consapevolezze quanto precisato da Watzlawick, e un’assurdità per coloro che ritengono il sapere un accumulo di dati cognitivi esterni a noi, ignorando che la conoscenza è già in noi, per coloro che hanno prevaricato la vita con lo studio e le interpretazioni.

Universi diversi significa che ogni osservatore dispone del proprio e solo a esso fa riferimento, tranne che in contesto chiuso, dove le parti che dialogano condividono tutto ciò che comporta scambio e comunicazione. Significa anche che l’esperienza non è trasmissibile. L’ottusità determinata dal fideismo razionalista fa credere che un’adeguata dialettica permetta il transito dell’esperienza. Ciò appare possibile quando un’affermazione è pronunciata in modo adeguato all’interlocutore, il quale però deve essere soltanto un gradino indietro, dunque pronto a riconoscere il messaggio. Diversamente, saremmo saggi da millenni. È proprio la consapevolezza di ciò che permette di riconoscere la nostra permanente parzialità di prospettiva, e conseguentemente di superare le differenze formali della storia. Essa ci mostra dove è realmente posato il nostro punto di attenzione e, a mezzo dell’empatia, anche dell’altro. Punto di attenzione ed emozione si mantengono e generano simbioticamente. Contemporaneamente, sono due cose che, come l’uovo e la gallina, rappresentano esempi di collasso del sistema logico.

“Ma la situazione cambia completamente se riguardiamo le proprietà come generate dalle nostre definizioni” (18).

È questo il significato di universi diversi, di campo aperto, di impossibilità di determinazione. Quando, come ordinariamente accade, l’affermazione logico-razionalmente ben formulata è creduta latrice di comunicazione, ci si trova a intendere l’interlocutore come identico a noi, come se il suo universo corrispondesse al nostro. Una conseguenza sociale che ne deriva riguarda il dogma della meritocrazia, affilata lama culturale per escludere gran parte del genio non uniformato degli uomini.

Emancipandosi dall’incantesimo del mondo oggettivo, diventa facile osservare come tutti accettiamo quanto non comporta squilibri e rifiutiamo ciò che stravolge la nostra stabilità. È una consapevolezza ordinaria a mezzo dell’ascolto e dell’empatia. Ma questa non si incarna in noi, finché prevarichiamo l’altro con il nostro giudizio di valore, come se la nostra unità di misura fosse la sola valida a concepire la realtà. Finché non diveniamo disponibili a riconoscere il suo universo. Finché non siamo all’altezza di vedere che in campo aperto non c’è una sola verità. Finché non sostituiamo l’idea che una cosa sia vera o falsa con quella che ci impone di chiederci in quali termini lo sia. Finché non viviamo la medesima emozione dell’altro. Solo allora ci si para davanti il medesimo mondo, solo allora il dialogo avviene, l’unità si compie, il credito si realizza. Empatia non è dunque limitato all’approssimativo ascolto delle ragioni altrui e riconoscimento del loro diritto di essere; questa è cosa razionale, ideologica.

Nella sua ricerca, Gregory Bateson (19) aveva riconosciuto nella metafora il potere della comunicazione. Non è una semplice novità, ammesso che mille altri prima di lui non fossero arrivati alla medesima osservazione. Non semplice, in quanto inficia il dogma celebrato sull’altare della logica. La comunicazione si sposta superando i vuoti tra emittenti e destinati, correndo su ponti emozionali. Non solo. L’èureka che succede in noi quando essa avviene non è pregno della sensazione di aver appreso dall’esterno ma, all’opposto, di aver scoperto al nostro interno la prospettiva per illuminare uno dei mille sottoscala di noi stessi.

“[…] l’amore è basato sulla metafora, una metafora a tre termini che lega il sé, l’altro e il sé più l’altro, e usa questa scoperta per asserire il valore della relazione, oltre che il valore del sé e dell’altro” (20).

Metafora, emozione e comunicazione sono una trinità di tipo magico. Se in contesto logico-razionale il rischio della miglior comunicazione tende a verificarsi a mezzo dell’accredito dato all’emittente del messaggio – modalità in cui però sussiste anche il rischio di un’adesione ideologica, dunque di una comprensione superficiale, limitata alla dimensione intellettual-cognitiva –, in quello alogico-emozionale-metaforico, che non comporta una comprensione cognitiva, ma una ricreazione personale, non un concetto condiviso, ma carnalmente ricreato, l’accredito nei confronti dell’emittente può anche mancare del tutto. Dunque, a mezzo della metafora, possiamo disporre di un aggiornamento di noi stessi, emancipati dalle consuetudini dell’ordinato filo rosso predisposto dalla nostra stessa biografia, il nostro inconsapevole oracolo di fiducia.

Senza tale disponibilità, il muro eretto dalle nostre credenze resta senza feritoie e aperture verso il mondo dell’altro. Pretesto necessario per abortire ogni evoluzione individuale verso l’armonia. Le nostre abitudini ci costringono a una ridondanza intorno al perno del sapere cognitivo, il più superficiale. Nient’altro che un vero baluardo contro la presa di coscienza che la nostra evoluzione, il nostro benessere e la nostra armonia non ne hanno alcun bisogno. Contro la consapevolezza che è proprio quel cumulo di dati a tenerci lontani dalla nostra realizzazione. Una meta che non si raggiunge percorrendo sentieri tecnici, ma solo quelli con un cuore, alla Castaneda. Come altro intendere sennò la sicumera di quella medicina capace solo di reprimere sintomi e – Pnei a parte – neppure tentare di rivisitare se stessa, prendere coscienza della sua superficialità e del suo danno e adoperarsi per concepire l’uomo come generatore della propria condizione e rinnegare l’idea meccanicista?

Così riconoscendo, l’universo non è più materia inerte e la realtà non è più una catasta di dati, tra loro separati dal vuoto. Dunque, l’idolatria del codice genetico per esempio, nel quale ci sarebbe scritto tutto di ognuno – roba da calcolatore elettronico e, fino a pochi anni fa, grande cavallo di battaglia della scienza scientista –, non sarebbe divenuta perno e vincolo del pensiero della ricerca medica – l’avvento dell’epigenetica lo conferma –, se la superstizione dell’uomo-macchina non si fosse impossessata della creatività, costringendola a muoversi entro paletti arrogantemente e autoreferenzialmente conficcati nel pensiero.

Note

1 Karl Raimund Popper (1902-1994), filosofo ed epistemologo austriaco, naturalizzato britannico.
2 Kurt Friedrich Gödel (1906-1978), matematico, logico e filosofo austriaco, naturalizzato statunitense.
3 Ludwig Wittgenstein (1889-1951), filosofo e logico austriaco.
4 Alfred Korzybski (1879-1950), ingegnere, filosofo e matematico polacco.
5 “A map is not the territory”. Alfred Korzybski, Science and Sanity. An Introduction to Non-Aristotelian Systems and General Semantics, New York, Institute of General Semantics, 1995, p. 750.
6 Karl Popper, Conoscenza oggettiva: un punto di vista evoluzionistico.
7 Kurt Gödel, Scritti scelti, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, p. 167.
8 Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1968, p. 81.
9 “In fact, the whole passage from the aristotelian to non-aristotelian systems depends on this change of attitude from intension to extension, from macroscopic to sub-microscopic orientations, from ‘objective’ to process orientations, from subject-predicate to relational evaluations, etc.”. Alfred Korzybski, Science and Sanity: An Introduction to Non-Aristotelian Systems and General Semantics, Fort Worth (Texas), Institute of General Semantics, 1995, p. lviii. Traduzione a cura di Alexandra Vişan.
10 https://madagascar-aldo.blogspot.com/2012/.
11 https://www.youtube.com/watch?v=wPNpWDEGH2o.
12 Paul Watzlawick (1921-2007), psicologo e filosofo austriaco, naturalizzato statunitense.
13 Heinz von Foerster (1911-2002), fisico e filosofo austriaco.
14 Ernst von Glasersfeld (1917-2010), filosofo e cibernetico tedesco.
15 Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio, 1971, p. 87.
16 Heinz von Foerster, Attraverso gli occhi dell’altro, Guerini, 1996, pp. 27-28.
17 Heinz von Foerster, Ernst von Glasersfeld, Come ci si inventa. Storie, buone ragioni ed entusiasmi di due responsabili dell’eresia costruttivista, Roma, Odradek, 2001, p. 165.
18 K. Gödel, Scritti scelti cit., p. 19.
19 Gregory Bateson (1904-1980), antropologo, sociologo e psicologo britannico.
20 Gregory Bateson, Mary Catherine Bateson, Dove gli angeli esitano, Milano, Adelphi, 1989, p. 288.


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Lorenzo Merlo Ekarrrt
Lorenzo Merlo EkarrrtDiplomato ISEF, Guida alpina emerita e maestro di alpinismo, insegnante di diverse attività motorie, co-ideatore e responsabile di “Victory Project Scuolanatura”, proposta operativa di reclutamento delle potenzialità individuali.Ha svolto docenze in ambito psicomotorio all’Università degli Studi di Milano – Bicocca. È stato relatore di incontri culturali sul Kosovo, sull’Afghanistan, sulla sicurezza nella relazione. Ha compiuto due viaggi, uno in Afghanistan in macchina e in solitaria e uno in Mongolia con la figlia.Giornalista pubblicista, scrittore e fotografo. Collabora con blog e testate online con articoli che trattano di ambiente, comunicazione, sicurezza, geopolitica, argomenti evolutivi e di critica sociale.Ekarrrt è un riconoscimento al mistico e mago Meister Eckhart.Ricerche: - To feel not to know – comunicazione in contesto didattico delle attività psicomotorie e cognitive, con la persona al centro per la ricreazione della tecnica; - To feel not to know – una nuova prospettiva dedicata alla creazione della sicurezza attraverso la relazione; La realtà è nella relazione – dedicata alle dinamiche relazionali. Progetto editoriale.Pubblicazioni: - L’arrampicata in dieci lezioni, De Vecchi Editore, Milano, 1985. - Sardegna wind and surfer spot, Victoryproject book, Milano, 1991. - Sardegna equiturismo e cultura, Victoryproject book, Milano, 1992. - Afghanistan – fede cuore ragione, Victoryproject book, Milano, 2011. - Essere Terra – viaggio verso l’Afghanistan, Prospero editore, Milano, 2019. - Essere Terra – un viaggio di ricerca, Prospero editore, Milano, 2020. - Sul fondo del barile – Crisi sociale e recupero del sé, Primiceri, Padova, 2018. - Vivere, parlare, pensare senza dire io – Interviste a uomini come noi, Padova, Primiceri, 2021.