Mi alzo alle sette, come tutti i giorni, fuori le solite voci stridule dei vicini.

Non stanno mai zitte, quelle vecchie, sempre a lamentarsi o a raccontare al mondo intero cose di cui non frega niente a nessuno.

Il pavimento è freddo, il cielo è grigio e i vetri sono sporchi.

“bogiorno Anna!” Pulce, il mio fratellino mi corre addosso come sempre, farfugliando nel solito modo.

Ha quattro anni, ormai dovrebbe imparare a parlare bene, ma non c’è verso.

Facciamo colazione, scarsa come al solito, e poi andiamo a scuola.

A scuola nel senso che mio padre o mia madre ci fanno lezione tutte le mattine, sul tavolo della cucina.

Dopo la Guerra non c’è più scuola per nessuno.

Io ho dieci anni, ormai, e presto dovrò andare a lavorare, anche se già adesso do una mano a casa.

Un po di francese, di russo e ripassiamo le equazioni di secondo grado, e la mattina si fa presto corta.

“Ora di andare a fare la spesa, tesoro”

Mia madre è una donna alta, slanciata e ha gli zigomi affilati, come mio padre, gli occhi fissi e concentrati sempre con chi parla. a me sembra un grande falco che osserva la preda, e me la immagino con un becco adunco e appuntito.

Mio padre invece lo immagino come un grande, grosso orso. parla poco lui,e  mai di prima della Guerra.

Ma quello lo fanno praticamente tutti, tranne gli Svitati, quelli che credono ancora di vivere nel passato e cianciano di internet e telefonini.

Mi passa in assoluto silenzio le borse della spesa, e aiuta me e mio fratello a indossare le corazze, i preziosi giubbotti che ci proteggono quando usciamo.

Mia madre invece mi dà i soldi e mi dice di andare dall’armeno, il verduraio a circa un chilometro da qui.

Ogni volta facciamo la spesa settimanale in un negozio diverso.

Apri la porta di casa, protetta da una decina di catenacci e da un paletto e mi avvio con Giulio, alias la Pulce giù per le scale.

La solita, tremenda puzza di cavoli e di spezie misteriose, che schifo! Giulio saluta tutti, un “bogiorno ” non si nega a nessuno, e sorride, sorride sempre. Cosa che faccio pure io, tutti dicono che abbiamo dei sorrisi meravigliosi, con denti bianchissimi.

Tengo per mano il fratellino e ci avviamo da soli verso il negozio dell’Armeno. per strada cartacce, sporcizia e barboni.

La merce viaggia con carretti spinti a mano o con dei tricicli a pedali, un paio di volte se ne vedono trainati da cavalli. qualche macchina alimentata a metano del governo.

Il filobus è fermo dall’anno scorso, da quando hanno rubato i cavi elettrici.

Tanta, tantissima gente, tutti intabarrati in vestiti spesso sporchi e tutti con un muso lungo…

Ma noi ridiamo e salutiamo sempre, vestiti di colori sgargianti.

Difficile non notarci.

Ogni tanto qualche signora gentile ci ferma, quando andiamo a fare la spesa e ci dice di stare attenti.

Io gli rispondo sempre, sorridendo che i miei genitori sono dietro di me, e che si sono fermati un attimo a chiacchierare con un amico, e vado dritta.

Arriviamo dall’Armeno, oggi i contadini sono arrivati dal verduraio con i prodotti delle campagne e i magazzini sono pieni. Due guardie armate con fucili da caccia stazionano ai lati della porta e ci lasciano passare.

Sorrido.

La solita spesa, due borse piene di patate, carote e cavoli, e qualche bella mela rossa.

Le borse sono a rete, così si vede bene cosa c’è dentro. Mio padre si è raccomandato di usare sempre quelle, quando prendiamo le verdure.

Esco appesantita da due pesanti borsoni, do una mela alla Pulce e torno verso casa.

Un barbone, alto, sporco e con una lunga palandrana militare tutta rotta era davanti a casa nostra, e ci ha seguiti fino al negozio.

Gli sorrido e lui mi ricambia, vedo che ha i denti davanti rotti.

Mi guarda fisso.

Gli passiamo di fianco e pulce addirittura gli regala un “bogiorno” squillante, tutto per lui.

Ci avviamo verso casa, io con le borse in mano e pulce che mordicchia la mela.

Stavolta cambiamo strada, ci infiliamo nei vicoli laterali , in mezzo alla spazzatura, là è sempre buio. spesso  porte e finestre sono murate, per non fare entrare la puzza e il ladri.

Mi giro e vedo che il barbone ci ha seguiti. fingo di accorgermene adesso e mi affretto verso la strada aperta, trascinandomi dietro la Pulce.

Ci fermiamo ansimanti nel punto più isolato del vicolo.

Il barbone vede solo due bimbi piccoli e magri, con occhi grandi. E che sorridono.

Ma quello non ci fa caso, lui ha occhi solo per il cibo.

Tira fuori un lungo coltello da cucina, tutto arrugginito.

Comincia a dire ” non vi farò del male, dovete solo darmi le borse…”

Pulce butta la mela, si accuccia appoggiando i palmi a terra, guardandolo fisso.

Apre la bocca, la apre in modo innaturale, le braccia si puntellano a terra.

Io faccio il mio solito numero per distrarlo , un singhiozzo forte e lascio cadere a tera mele e patate, che ruzzolano tutto intorno.

Pulce fa un salto lunghissimo, in alto e in avanti. I suoi denti trovano la gola dell’uomo.

Non riesce ad emettere un suono, i denti sono lunghi e la pressione è terribile, il sangue sgorga rosso.

Si butta in ginocchio, e alza il braccio con il coltello come ubriaco. Ma io con un balzo sono agganciata con i denti al polso, e stringo forte.

Il sangue vivo  è buonissimo.

Muore in pochi secondi, nel silenzio quasi assoluto, senza un grido. Solo quando il suo cuore smette di battere Pulce lascia la sua gola.

Mamma e papà sono già nel vicolo, e tirano fuori le borse della spesa, quelle vere, in rossa plastica pesante.

Mamma mi cambia veloce il giaccone, e brontola che ogni volta lo sporco di sangue.

Pulce, felice si sta sgranocchiando la faccia dell’uomo, è tutto sporco  lui, ma è “solo un bambino“.

Uno, due minuti al massimo  e il barbone è fatto a pezzi e messo dentro le borse, era un omone grande e grosso, e durerà parecchio.

Raccolgo le verdure, saranno buone con lo stufato, e torno a casa.

Lascio a terra le mele e l’insalata, noi non possiamo mangiare quella porcheria.

Saluto e sorrido sempre, con tutti i denti.

Alla nostra Gente piace mostrarli.

——–

Per gli amici di Calcydros da Nuke di www.liberticida.altervista.org