Nelle ultime settimane, da quando cioè la SpaceX ha effettuato il secondo test di volo orbitale della Starship, ho avuto modo di vedere video e leggere commenti di persone che si dicono stupiti del fatto che, nonostante tutte le belle premesse e promesse di Elon Musk, ad oggi non siamo ancora arrivati su Marte. Molti, visto questo palese ritardo rispetto alle fantastiche intenzioni di molti anni fa, affermano che, come in tanti altri casi, anche queste sono solo “stupidaggini”, “fuffa”, o addirittura palesi “prese per i fondelli” ai danni di chi attende con ansia quel fatidico giorno. Una truffa insomma, perpetrata dai soliti poteri forti più o meno noti, per “distrarre l’opinione pubblica” da altri problemi più importanti.
Essendo totalmente in disaccordo con queste posizioni, provo ad affrontare l’argomento, invero già discusso in altri post precedenti, per cercare di chiarire le motivazioni alla base di questo presunto ritardo. Cercherò di essere quanto più sintetico possibile, ma al contempo esaustivo. L’argomento è talmente complesso che richiederebbe un blog dedicato e non qualche post saltuario.
Luna: l’inizio dell’era spaziale
Partiamo dal presupposto che le difficoltà che si incontrerebbero in una missione umana sul pianeta rosso, sono di diversi ordini di grandezza superiori a quelle affrontate dalla Nasa durante tutto il programma lunare Apollo.
All’epoca della prima corsa alla Luna, l’obiettivo principale dell’intero programma spaziale statunitense, non era tanto “scientifico” ma piuttosto di tipo “politico”. C’era la necessità di battere l’URSS nella corsa allo spazio e bisognava inevitabilmente arrivare primi, dimostrando al mondo intero quale tra le 2 potenze era la migliore, la più sviluppata tecnologicamente e quale, soprattutto, era politicamente più forte.
Per raggiungere quegli obiettivi vennero investiti una quantità di miliardi di dollari semplicemente spropositata rispetto all’attuale bilancio della NASA. Investimenti che riguardarono, in gran parte, la realizzazione di laboratori di ricerca e poli universitari e industriali sparsi in varie parti degli USA, specialmente in quegli stati a forte connotazione agricolo-rurale nei quali si aveva la necessità di creare posti di lavoro, istruzione e più in generale, sviluppare le infrastrutture cittadine.
La corsa allo spazio degli Stati Uniti venne vinta con un progetto faraonico, basato sul razzo Saturn V e sulla capsula Apollo, al quale parteciparono decine di migliaia tra ingegneri e tecnici specializzati.
Tutto era stato ridotto al minimo perché la capacità di lancio del Saturn V era limitata a 48 tonnellate circa verso la Trans Lunar Injection, l’orbita che la capsula Apollo doveva percorrere per raggiungere la Luna. In quelle 48 tonnellate andavano considerate la capsula Apollo (28 tonnellate), il LEM (15 tonnellate), i viveri, il carburante, gli esperimenti e tutto il resto. Di conseguenza, la durata dell’intera missione lunare non poteva superare un certo numero di giorni complessivi, considerando che per il solo viaggio orbitale Terra-Luna ne servivano 3 per l’andata e 3 per il ritorno. Essendo poi le primissime missioni con equipaggio oltre la magnetosfera, nulla (o quasi) si sapeva circa la pericolosità delle radiazioni cosmiche e solari. I test in orbita con le capsule Mercury e Gemini e i più recenti voli delle capsule Apollo anche in orbita lunare, avevano dato qualche indicazione sommaria, ma non vi era alcuna certezza o stime precise circa la durata massima tollerabile dagli astronauti ai raggi cosmici. E non vi era tempo per poter progettare apposite tecnologie schermanti. I sovietici si stavano preparando alle loro missioni lunari e la NASA rischiava di non riuscire a raggiungere gli obiettivi impostigli dal Congresso.
La distanza Terra-Luna di circa 384.000 km permise, nel corso dei 3 anni tra il Luglio 1969 e il Dicembre 1972, l’effettuazione di ben 6 missioni di successo con atterraggio sulla superficie lunare. Poi il programma Apollo venne interrotto per motivazioni politiche ed economiche. A dire il vero il Congresso avrebbe voluto interromperlo già dopo l’allunaggio dell’Apollo 11, nel Luglio 1969, ma la NASA riuscì a confermare le missioni fino all’Apollo 17. L’obiettivo di battere i sovietici nella corsa allo spazio era stato ampiamente raggiunto e, politicamente parlando, non vi era più alcuna necessità di continuare con le missioni umane nello spazio. L’interesse della popolazione e dei politici era venuta meno e la Scienza non era ancora “matura”.
Vi erano progetti e idee riguardanti missioni umane su Marte, ma il costo faraonico e la durata delle missioni non convinse ne la NASA, ne tanto meno il Congresso.
Finiva quindi un’era gloriosa, ma fortunatamente ne iniziava una fondamentale per il futuro dell’uomo nello spazio: la conoscenza dell’ambiente spaziale, dei rischi che gli astronauti avrebbero dovuto affrontare e lo sviluppo delle tecnologie necessarie a realizzare missioni umane molto più lunghe. Tutto questo, insieme allo sviluppo dei primi laboratori in orbita per imparare a vivere nello spazio, divennero le priorità assoluta per la NASA. Tutto il resto delle ricerche scientifiche sarebbero state svolte con sonde automatiche, il cui costo era di gran lunga inferiore.
Marte, un obiettivo strategico
Marte è il pianeta roccioso fisicamente più simile e vicino alla Terra. La distanza varia da circa 55 a circa 401 milioni di km, con una finestra di lancio utile di poco più di 2 mesi che si apre ogni 26 mesi circa. Con le attuali tecnologie, tale distanza può essere percorsa in circa 6 mesi di viaggio, a seconda della quantità di propellente che si è disposti a consumare nelle fasi di accelerazione e decelerazione necessarie durante il volo orbitale. Una ipotetica missione umana sul pianeta Marte, quindi, durerebbe oltre 2 anni e mezzo complessivi, richiedendo la pianificazione e la progettazione dell’astronave e dei relativi sistemi tecnologici, un lavoro maniacale della durata di oltre un decennio.
Viaggiare nello spazio profondo, oltre la magnetosfera terrestre, richiede Energia, ovvero il propellente per i propulsori e l’energia elettrica per alimentare i sistemi tecnologici di bordo; Aria respirabile, ovvero l’elemento essenziale per garantire la sopravvivenza degli astronauti all’interno del modulo abitativo pressurizzato; Cibo e acqua, ovvero i nutrienti per permettere agli astronauti di vivere per tutta la durata del viaggio. La quantità totale di questi elementi varia a seconda della missione, del numero di astronauti che compone l’equipaggio, dell’efficienza dei sistemi tecnologici di bordo e, ovviamente, della destinazione da raggiungere. Tutto va caricato a bordo dell’astronave prima della partenza e nulla può essere lasciato al caso, perché nello spazio non vi sono “stazioni di servizio” o supermercati, e per le missioni su Marte, è impensabile ricevere rifornimenti fuori dalle finestre di lancio.
Di fondamentale importanza è la progettazione dell’astronave, del modulo abitativo e della schermatura anti-radiazioni da applicare al rivestimento esterno.
Gli studi della NASA, sia in orbita che in vari ambienti estremi terrestri, hanno dimostrato che un l’aspetto psicologico va considerato attentamente. Ambienti piccoli, scarsamente illuminati e realizzati con materiali non ottimali, può portare anche gli astronauti più esperti e preparati, a sviluppare forme potenzialmente pericolose di claustrofobia. Le missioni di lunga durata, quindi, richiederanno volumi abitativi “privati” molto maggiori (almeno 70 metri3 per singolo astronauta) rispetto a quelli necessari per le missioni in orbita terrestre e lunare.
Considerando i dati progettuali della Starship di SpaceX, ovvero 150 tonnellate di carico utile in orbita terrestre bassa, per le missioni verso il pianeta Marte si potrà considerare un equipaggio formato da non più di 12 persone.
L’abitabilità del modulo abitativo dell’astronave, richiederà riserve di aria respirabile (Azoto, Ossigeno e Argon) che verrà caricata a bordo con speciali serbatoi pressurizzati. Anche l’acqua che verrà utilizzata e riciclata più e più volte verrà caricata a bordo con dei serbatoi. Altri serbatoi saranno destinati ai rifiuti liquidi e solidi, nonché alla CO2 che il Life Support System (LSS) provvederà a sottrarre dagli ambienti pressurizzati mantenendola sotto il 2%.
Altri serbatoi garantiranno un’adeguata riserva di Idrogeno e Ossigeno da utilizzare nelle Celle a Combustibile allo stato solido. Se in orbita terrestre è possibile utilizzare ampi pannelli fotovoltaici per produrre l’energia necessaria al fabbisogno dell’intera astronave, in orbita marziana questa soluzione produrrebbe esattamente la metà a causa della considerevole distanza dal Sole. Per sopperire alla mancata produzione di energia fotovoltaica, la soluzione ideale (almeno per ora) per produrre l’energia elettrica mancante, è quella delle Celle a Combustibile, già sviluppate nell’ambito del programma Apollo ed ampiamente utilizzate sia a bordo dello Space Shuttle che della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Più lunga sarà la missione, maggiore sarà la quantità di aria, cibo, carburante per le celle a combustibile e propellente per i propulsori dell’astronave, che sarà necessario caricare a bordo di ogni singola astronave. E bisognerà prevedere anche parti di ricambio per i sistemi tecnologici, tute spaziali, esperimenti scientifici e attrezzatura eventualmente necessaria per l’espletamento degli obiettivi di missione. Tutto questo materiale, che ovviamente dovrà restare entro i limiti di capacità di carico della navetta, andrà trasportato in orbita con uno o più lanci.
Arrivare in orbita con carichi di grandi dimensioni e costi abbordabili, oggi non è un problema particolarmente complesso. Le Starship sono state ideate e progettate, anche se attualmente ancora in fase di sviluppo, per trasportare in orbita bassa fino a 150 tonnellate di carico utile con primo e secondo stadio recuperabili e riutilizzabili più e più volte, mentre la capacità di trasporto aumenta a 250-300 tonnellate nel caso si decidesse di non recuperare il secondo stadio (la navetta Starship appunto) di questo colossale sistema di lancio.
Il problema è la fase successiva, ovvero il rifornimento in orbita per permettere alle Starship di raggiungere Marte e completare la missione. Questa fase richiederà fino a 10 lanci di Starship Tanker, versioni appositamente predisposte per il trasporto e il trasferimento in orbita del propellente (Metano e Ossigeno liquidi), per rifornire ogni singola Starship.
Il costo di lancio di ogni kg di carico utile sarà presumibilmente inferiore ai 1000 $ per l’orbita bassa terrestre, con un’indicazione molto approssimativa di Elon Musk che indicava tale costo in meno di 100 $ al kg. Sappiamo che Musk esagera spesso con le sue ottimistiche previsioni, ma se anche fossero 1000$ al kg, sarebbe un costo comunque inferiore a quello attualmente praticato con i Falcon Heavy (1600 $ al kg), con i Falcon 9 (1800 $ al kg) e di gran lunga inferiore rispetto al costo dello Space Shuttle (fino a 50.000 $ al kg).
Rispetto a 25 anni fa, quindi, una ipotetica missione verso Marte costerebbe dalle 10 alle 50 volte meno, e questo solo per il costo di lancio.
Ma è fondamentale comprendere che, 25 anni fa appunto, non esistevano ancora le tecnologie necessarie e indispensabili per poter realizzare con sufficiente sicurezza, una missione umana sul pianeta Marte. Oggi gran parte di queste tecnologie esistono, o sono in avanzata fase di sviluppo, garantendo così una potenziale realizzabilità di missioni umane di lunga durata oltre l’orbita terrestre.
La nuova corsa allo spazio
Raggiungere Marte sarà sicuramente un’impresa epocale la cui realizzabilità si sta concretizzando man mano che lo sviluppo della Starship prosegue. Ma non è tutto.
Di fondamentale importanza sono le tecnologie per proteggere gli astronauti dalle radiazioni nocive, cosmiche e solari. Le soluzioni sono diverse e spaziano dall’uso di speciali polimeri di nuova concezione (come l’RXF1 sviluppato dalla NASA) a intercapedini riempite con del gel a base di acqua. Molto importanti sono poi le procedure da seguire scrupolosamente all’interno dell’astronave, in caso di attività extraveicolare (EVA) e sulla superficie di Marte.
Per mettere a punto tutto questo è stato sviluppato ed è in corso di realizzazione il programma Artemis, il cui obiettivo principale è quello di riportare l’essere umano sulla superficie entro la fine dell’attuale decennio.
Artemis utilizzerà un mix di tecnologie e mezzi di trasporto, impiegando migliaia di ingegneri, scienziati e tecnici di decine di paesi del mondo, e prevede una prima fase di esplorazione e studio della superficie lunare ed una seconda nella quale è prevista la realizzazione di un avamposto permanente. Il punto individuato per tali missioni è il cratere Aitken, posto al Polo Sud, una zona particolarmente importante nella quale è stato individuato del ghiaccio d’acqua, ma non mancheranno missioni con destinazione la fascia equatoriale e la faccia nascosta, zone nelle quali è presente una risorsa di fondamentale importanza per il futuro energetico della razza umana: l’Elio-3.
Questo isotopo è il risultato del costante bombardamento della regolite lunare da parte del vento solare e costituisce l’elemento fondamentale per la reazione di fusione nucleare Elio-3/Deuterio, l’unica che si conosce che non produrrebbe scorie radioattive . Sebbene più complessa da sviluppare, tale reazione di fusione nucleare è ancora l’unica perseguibile realmente, in quanto non prevede l’uso del Trizio, un isotopo dell’idrogeno la cui disponibilità sul pianeta Terra è estremamente limitata e la cui produzione risulta estremamente complessa e costosa, in quanto sottoprodotto di altre reazioni nucleari.
Di conseguenza, se in futuro si vorrà disporre di energia realmente pulita e abbondante, è indispensabile raggiungere la Luna e sfruttarne le risorse minerarie.
I piani sviluppati nel corso degli anni per realizzare le missioni su Marte, prevedevano l’uso di astronavi assemblate in orbita terrestre, spinte da sistemi propulsivi di vario tipo e dotate di moduli abitativi e capsule concettualmente simili a quelle Apollo. La NASA aveva studiato varie soluzioni a tal riguardo, ipotizzando missioni umane con 4 membri di equipaggio da realizzare tra nella seconda metà dell’attuale decennio. Erano gli anni ‘90 all’epoca, ed il principale problema che impedì la realizzazione di questi progetti furono gli incidenti allo Space Shuttle.
La mancanza di un adeguato sistema di lancio, soprattutto per capacità di carico e costo effettivo, ritardò prima e annullò subito dopo, qualsiasi speranza di realizzazione di questi piani.
Solo dopo il 2000 si decise di aprire lo spazio alle attività private.
SpaceX, fondata nel 2002, iniziò ad operare diversi anni dopo con i razzi Falcon. Il Falcon 9 debuttò nel giugno del 2010 ed è oggi il razzo più utilizzato al mondo, raggiungendo il record di 19 lanci con lo stesso primo stadio.
Grazie alle prestazioni eccezionali e ai costi contenuti, la SpaceX è stata in grado di realizzare la capsula Dragon, sia in versione Cargo che Crew per il trasporto fino a 7 passeggeri (certificata dalla NASA per 4 astronauti). Ad oggi è l’unico mezzo di trasporto che permette agli astronauti occidentali di raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale.
I primi piani della SpaceX di raggiungere Marte prevedevano l’uso delle capsule Dragon, equipaggiate con speciali moduli di servizio che ne avrebbero permesso l’uso fino all’orbita di Marte. Le ridotte dimensioni e l’impossibilità di garantire un adeguato trasporto di materiali, rifornimenti e carburante, hanno portato la SpaceX ed Elon Musk ad abbandonare quest’idea.
Atterrare sul pianeta rosso, dove l’atmosfera è estremamente rarefatta, è un’operazione molto delicata e pericolosa. Farlo con una capsula frenata da un sistema di paracadute risultata troppo pericoloso, anche perché per il successivo decollo, la Dragon avrebbe dovuto caricare a bordo una quantità elevata di carburante che andava trasportato dalla Terra. I troppi limiti strutturali e dimensionali hanno portato al definitivo abbandono dell’idea.
Se l’obiettivo era arrivare su Marte con un equipaggio umano, andava rivisto completamente il sistema di lancio, cercando di ottimizzarlo in modo da ridurre il propellente da portarsi dietro per la fase di rientro. Quest’idea portò allo sviluppo di quello che oggi conosciamo come Starship.
Prima di tutto la Starship
A partire dal 2011, Elon Musk iniziò ad anticipare alcuni dettagli di un futuristico sistema di lancio che sarebbe stato poi il “cuore” del programma di colonizzazione di Marte della SpaceX.
Nel corso degli anni successivi vennero rese note alcune informazioni su quel progetto, più volte rivisto e corretto, con diversi cambi tecnologici e strutturali che inizialmente prevedevano l’uso massiccio di materiali compositi (principalmente fibra di carbonio). Nel 2018 arrivò l’annuncio definitivo: il progetto prendeva il nome di Starship, era formato da un primo stadio riutilizzabile alto 70 metri circa con 9 metri di diametro denominato Super Heavy, ed un secondo stadio, la navetta riutilizzabile Starship, alta 50 metri circa e 9 di diametro. Il sistema propulsivo era basato sui motori Raptor alimentati a Metano e Ossigeno liquidi, entrambi teoricamente reperibili sul pianeta Marte, ed il materiale utilizzato per la struttura sarebbe stato l’acciaio inox, in una lega messa a punto specificamente per tale scopo.
Le dimensioni e la potenza complessiva sarebbero state da record, ma bisognava risolvere tutta una serie di problematiche tecniche e strutturali, nonché testare la particolare manovra, denominata Belly Flop, prevista per il rientro in atmosfera, sia su Marte che sulla Terra.
I primi test dei prototipi vennero effettuati nel 2019, con 2 balzi di 150 metri completati con successo, seguiti da 4 voli ad alta quota con distruzione del prototipo. Il 5° volo ad alta quota, effettuato dal prototipo SN15, venne completato con successo il 5 maggio 2021.
Nei mesi successivi la SpaceX ha costruito la torre di lancio per i voli orbitali, realizzato il pad di lancio dove sono stati effettuati una serie di test sul primo prototipo operativo di Super Heavy (B7).
Il primo volo di test dei prototipi B7 e SN24 è avvenuto il 20 aprile 2023. Nonostante i numerosi problemi e danni provocati dall’enorme potenza sprigionata dai 30 propulsori funzionanti su un totale di 33, il colossale sistema di lancio è decollato allontanandosi dalla torre di lancio. Dopo circa 3 minuti di volo il Flight Termination System è stato attivato distruggendo entrambi i prototipi andati ormai fuori controllo.
Il 18 novembre 2023, dopo 7 mesi di intenso lavoro intorno al pad e alla torre di lancio, e dopo aver apportato centinaia di modifiche ai prototipi B9 e SN25, la SpaceX ha effettuato il secondo volo di test. Questa volta il decollo e il volo di entrambi i prototipi, almeno nella loro fase iniziale, sono avvenuti correttamente, permettendo la corretta separazione della navetta dal primo stadio, esploso poi poco dopo. La navetta è stata fatta esplodere in alta quota, dopo che ne era stato perso il controllo.
Con il 3° volo di test orbitale, previsto per il mese di febbraio e che verrà effettuato con i prototipi B10 e SN28 dotati di nuove tecnologie per il controllo dei propulsori, verrà tentato anche il trasferimento del propellente in orbita (dai serbatoi principali a quelli di testa della Starship) e se tutto andrà secondo i piani, verrà tentato il rientro controllato a largo delle Hawaii. Il passo successivo sarà il completamento di varie manovre orbitali ed entro la fine dell’anno, o al più tardi all’inizio del prossimo anno, la Starship dovrà completare diversi voli in orbita terrestre ed almeno un volo in orbita lunare, prima di iniziare le missioni di certificazione per il suo uso commerciale prima e con equipaggio umano dopo.
Entro la fine del 2025 la SpaceX dovrà inviare una Starship HLS sulla Luna, la quale dovrà atterrare in sicurezza, spegnere i propulsori e dopo un certo periodo di tempo, riaccenderli per tornare in orbita, simulando la missione del programma Artemis III prevista in partenza tra la fine del 2025 e la primavera del 2026 con 4 membri di equipaggio. Meno di un anno dopo, sarà la volta della missione Artemis IV a dover raggiungere la Luna, ancora una volta con una Starship HLS in funzione di lander lunare.
Dopo quella data la SpaceX potrà concentrarsi alla pianificazione delle missioni umane verso il pianeta Marte.
Andranno sviluppati e testati in orbita lunare tutti i sistemi tecnologici interni, come il sistema di navigazione e quello per il supporto vitale, quello per la produzione di energia elettrica e il sistema di schermatura dalle radiazioni nocive. Serviranno per tali sviluppi almeno 2 anni buoni, il che significa che prima del 2030, non è ipotizzabile alcuna missione umana su Marte.
La prima “finestra utile” si avrà quindi nel 2031, anche se report indipendenti indicano come data probabile l’anno 2035. Verranno inviate su Marte almeno un paio di Starship Cargo, entrambe con l’obiettivo di verificare la corretta funzionalità dei sistemi tecnologici di bordo e testare le procedure di discesa e i sistemi di atterraggio. Con la finestra di lancio successiva le Starship a partire saranno 4, 2 in versione Cargo e 2 con equipaggio. Si continuerà così, ad ogni finestra di lancio con un numero di Starship in partenza teoricamente sempre crescente.
Anticipazioni futuristiche
Siamo alla fine degli anni ‘30, con decine di torri di lancio per le Starship, un Lunar Gateway, un avamposto lunare funzionante con le Starship HLS che faranno la spola tra la superficie lunare, l’orbita lunare e l’orbita terrestre. In orbita marziana sarà ormai in funzione il Mars Gateway e vi sarà un avamposto stabile sulla superficie, con decine di astronauti che si alterneranno ogni 26 mesi circa.
A questo punto è lecito ipotizzare un concreto sviluppo di una Economia Spaziale, basata sulla fornitura di sistemi tecnologici e servizi integrati, da privati verso privati ed enti governativi, con decine di società di varie parti del mondo che si contenderanno i contratti migliori.
Le attività economiche in ambito spaziale si divideranno essenzialmente in 4 macro settori: trasporto e logistica, sistemi e servizi tecnologici, mezzi e strutture, risorse umane.
Se fino ad ora abbiamo assistito ad uno sviluppo tecnologico all-in, ovvero ogni società sviluppa al proprio interno gran parte di ciò di cui ha bisogno, in futuro si assisterà ad un processo differente.
Vi saranno società che si specializzeranno nello sviluppo di sistemi propulsivi; altre nella fornitura di sistemi produttivi; altre ancora nella fornitura, realizzazione e assemblaggio di strutture complesse per uso scientifico e industriale, altre ancora si specializzeranno nelle telecomunicazioni e nella fornitura di sistemi tecnologici specifici per tali scopi. E infine vi saranno società che recluteranno, addestreranno e forniranno la mano d’opera specializzata per le attività lavorative in orbita e sui pianeti.
Di tutti questi settori, quello che personalmente ritengo il più interessante per una eventuale idea di business è quello dei trasporti interplanetari.
La Starship è sicuramente il sistema di lancio migliore che al momento possiamo immaginare per avviare un programma di colonizzazione del pianeta Marte. Ma dopo la fase iniziale, diventerà inevitabilmente un collo di bottiglia difficilmente superabile. Sebbene vi siano indicazioni relative a versioni di Starship di maggiori dimensioni, immaginare di partire con un’unica navetta dalla superficie del pianeta Terra e arrivare sulla superficie di Marte, per poi fare il percorso inverso, non è sicuramente la soluzione ottimale. L’uso di una navetta, in questo caso la Starship, nonostante le enormi dimensioni rispetto alle capsule Apollo degli anni ‘70 o le Orion del programma Artemis o ancora le Crew Dragon della SpaceX, equivale ad utilizzare una normale utilitaria per fare viaggio di migliaia di chilometri senza sosta. È sicuramente un’impresa fattibile, ma non certo comodo e sicura. Aumentare il numero di Starship da inviare su Marte ad ogni finestra di lancio significherà aumentare a dismisura il numero di lanci da effettuare per rifornire di propellente le navette in orbita. E questo potrebbe diventare sia problematico per una pura questione di costi, sia pericoloso, introducendo fattori di rischio che andrebbero evitati.
La soluzione ottimale sarebbe quindi utilizzare le Starship unicamente per raggiungere l’orbita terrestre bassa, trasferire il carico e gli astronauti a bordo di una vera Astronave interplanetaria, ed utilizzare quest’ultima per raggiungere l’orbita di Marte. A quel punto, una o più Starship farebbero la spola tra l’orbita e la superficie per portare a destinazione il prezioso carico.
Questo schema, se da un lato permetterebbe di ridurre i rischi e i costi derivanti dall’uso di decine e decine di Starship, permetterebbe anche, e soprattutto, di trasferire un carico anche 100 volte maggiore fino all’orbita di Marte, consumando una quantità di propellente potenzialmente molto inferiore.
Bisognerà attendere la seconda metà degli anni ‘40 per una tale ipotetica astronave. A quel punto, oltre alle destinazioni ovvie dell’orbita lunare e di Marte, si potrebbero ipotizzare viaggi specifici verso gli asteroidi NEO (Near Earth Object) o la Fascia degli Asteroidi, o perché no… verso le lune di Giove e Saturno, per i quali si avrebbero missioni con un viaggio di sola andata verso l’orbita di Giove della durata minima di 12-14 mesi, e verso Saturno di 18-20 mesi.
Astronavi sempre più grandi, spaziose, sicure e confortevoli, permetteranno agli astronauti di vivere a bordo delle stesse per periodi anche molto lunghi, sopperendo ai rischi dovuti all’assenza di gravità, con la messa in rotazione del modulo abitativo che riprodurrebbe così una gravità artificiale simile a quella terrestre. Strutture enormi, di diverse centinaia di metri di diametro, la cui costruzione richiederebbe apposite Stazioni Spaziali da realizzare, magari, in orbita lunare e sfruttando idealmente le risorse minerarie estratte direttamente dalla Luna, da Marte e dai vari asteroidi NEO, raffinate e lavorate direttamente nello Spazio.
Ma per questo è importante che le attuali generazioni tornino a sognare, a desiderare di vivere e prosperare nello spazio, a pretendere un futuro migliore nel quale il genere umano possa ritrovare la pace e l’armonia con l’obiettivo di “arrivare là dove nessuno è mai giunto prima”.