L’epoca delle grandi esplorazioni da parte dei navigatori europei, quella che ebbe inizio con i viaggi di Colombo, Vasco da Gama, Magellano, Vespucci, ecc…, è stata un’epoca irripetibile; ma non fu sempre tutto rose e fiori. I primi esploratori transoceanici erano a loro modo, ça va sans dire, degli ardimentosi avventurieri. Come vedremo in seguito, non è forse completamente esatto asserire che partirono verso l’ignoto, ma indubbiamente i mezzi che avevano a disposizione per queste traversate erano alquanto limitati se pensiamo ai giorni nostri. Soprattutto, ci voleva del gran coraggio per prendere il mare senza conoscere in ogni momento della navigazione in che punto preciso ci si trovasse. Sostanzialmente, il principale ostacolo era costituito dall’impossibilità di determinare con una certa accuratezza la longitudine. Il calcolo della latitudine, almeno per un abile comandante, è sempre stato cosa relativamente facile: bastava semplicemente osservare la stella polare o l’altezza del sole a mezzogiorno per riuscire a determinare con una buona approssimazione la latitudine alla quale si stava navigando. Ma non altrettanto facile risultava il calcolo della longitudine. E questo portò a più di una tragedia.

Nel 1707 la flotta reale inglese andò incontro, proprio per le difficoltà nel determinare la longitudine, ad un disastro spaventoso, in realtà uno dei tanti, passato alla storia come il disastro navale di Scilly1. Terminato l’assedio alla città francese di Tolone nel corso della guerra di successione spagnola2, la flotta inglese al comando del viceammiraglio Shovell3 stava facendo ritorno in patria, allorché, entrata nel golfo di Biscaglia, si trovò a navigare in acque procellose. Ad un certo punto della navigazione, all’imbocco del canale della Manica, Shovell pensò di trovarsi al largo dell’isola bretone di Ouessant4, quindi in una posizione tranquilla, lontano da pericoli potenziali. Ma non si era reso conto di aver sbagliato a calcolare la longitudine: le navi al suo comando si trovavano invece in prossimità delle isole Scilly5, a sud-ovest della Cornovaglia. L’urto con gli scogli portò all’inabissamento di quattro navi: furono circa duemila i marinai inglesi a perire nell’incidente.

La tragedia ebbe vasta eco in Inghilterra e spinse il parlamento a votare per l’approvazione del cosiddetto Longitude Act6, col quale si dava vita alla Commissione per la Longitudine7, incaricata di promuovere un bando, quasi una sorta di concorso a premi, per l’individuazione di un metodo affidabile per il calcolo della longitudine. Il premio offerto era particolarmente sostanzioso: si offrivano, infatti, 10.000 sterline (equivalenti oggi a oltre un milione e mezzo di euro) per chi fosse stato in grado di sviluppare un metodo per l’individuazione della longitudine con un margine di errore sino ad un grado; 15.000 sterline se il margine di errore fosse stato fino a 40 minuti; 20.000 se il margine fosse stato inferiore ai 30 minuti8.

Alla fine, l’ambito premio fu appannaggio di John Harrison9, un semplice mastro orologiaio che ebbe il merito di perfezionare nel 1735 il primo cronometro marino: conoscendo la differenza di orario rispetto al meridiano zero di Greenwich, era diventato dunque possibile determinare con una buona approssimazione la longitudine, sapendo che una differenza di un’ora corrisponde a circa 15 gradi di longitudine (360° diviso 24 ore). Sebbene il metodo di Harrison avesse dato ottimi riscontri sin dall’inizio, la Commissione per la Longitudine si impuntò e non volle riconoscere al brillante inventore che una parte del premio pattuito. Solo in tarda età, ormai prossimo alla morte, Harrison ricevette il saldo di quanto di sua spettanza.

Tuttavia, i meriti di Harrison sono indubbi. Il suo metodo per l’individuazione della longitudine non solo rivoluzionò il mondo della navigazione rendendo le grandi traversate transoceaniche più sicure (il famoso navigatore James Cook si servì del suo cronometro nelle sue spedizioni nei mari del sud), ma soprattutto permise la realizzazione di mappe nautiche di un’accuratezza sino ad allora impensabile.

Almeno, questo è ciò che, a rigor di logica, si sarebbe portati a pensare: essendo ormai in grado, grazie al cronometro di Harrison, di calcolare con precisione sia la latitudine sia la longitudine ci si sarebbe potuto aspettare che a partire dal XVIII secolo i cartografi sarebbero stati capaci di realizzare mappe il cui grado di precisione sarebbe stato superato solo in epoca recente, grazie all’introduzione dei satelliti e del GPS. Ma mappe così precise, anzi ancor più precise, esistevano già, ed erano ben antecedenti al periodo da noi considerato.

La prima che analizzeremo è il cosiddetto portolano di Dulcert 10, cartografo questi di probabile origine italiana:

Come si può ben notare, il grado di accuratezza è sorprendente: il margine di errore nel calcolo della longitudine è inferiore al mezzo grado. Ed il portolano è del 1339!

Notevole, per quanto esistano dei dubbi sulla sua autenticità, è anche la cosiddetta mappa di Zeno11, pubblicata nel 1558 dal cartografo veneziano Nicola Zeno.

La carta, che rappresenta la Groenlandia come sostanzialmente priva di ghiacci e l’Atlantico del Nord (dove appaiono alcune isole misteriose di cui oggi non c’è traccia e forse pure l’estremità orientale della Nova Scotia), sarebbe stata realizzata sulla base di alcune mappe ancora più antiche che Nicola avrebbe ereditato dai suoi antenati Niccolò e Antonio Zeno12. Questi ultimi, esperti navigatori vissuti a cavallo tra XIV e XV secolo, avrebbero raggiunto – così narra una leggenda – le coste nel Nord America quasi un secolo prima di Cristoforo Colombo alla guida di una flotta di esplorazione approntata per volere del conte delle Orcadi Henry Sinclair13. Anche in questo caso, la mappa risulta particolarmente precisa, benché quei luoghi non fossero certo tra i più frequentati dai grandi mercanti internazionali.

Riguardo al fantomatico viaggio dei fratelli Zeno in Nord America patrocinato dal conte Sinclair, se non è possibile confermare la veridicità di questa tradizione, vanno comunque segnalate giusto un paio di stranezze.

La prima riguarda la cosiddetta Newton Tower14, che sorge in Rhode Island, ovvero là dove si presume siano sbarcati i fratelli Zeno nel loro viaggio transoceanico. È opinione comune che siano i resti di un mulino a vento costruito nel XVII secolo, ma alcuni si dicono convinti che la torre sia ancora più antica e che risalga all’epoca precolombiana, e cioè proprio al periodo cui sarebbe avvenuto il viaggio dei due fratelli veneziani.

La seconda concerne la famosa Rosslyn Chapel15, che fu eretta nei pressi di Edimburgo verso la metà del XV secolo da William Sinclair16, , nipote del succitato Henry. La Rosslyn Chapel è oggi conosciuta soprattutto per essere stata menzionata nel famosissimo best seller “Il codice da Vinci” di Dan Brown. Ma viene ricordata anche per i suoi continui richiami all’esoterismo ed ai Cavalieri Templari, che ne fanno a tutti gli effetti un “tempio iniziatico” (pare che la cappella sia stata edificata sulla falsariga del Tempio di Salomone). Costruita pochi decenni prima dell’avventura di Colombo, alcune delle colonne della cappella presentano figure che a qualcuno ricordano spighe di mais e foglie di aloe, piante queste originarie dell’America che solo successivamente al viaggio dell’esploratore genovese furono introdotte in Europa.

Proseguendo oltre, menzioniamo un’altra mappa alquanto interessante. Si tratta di una mappa di origine cinese pubblicata nel 1763 ma che secondo il suo autore sarebbe in realtà basata su una mappa precedente risalente al 1418. Quest’ultima sarebbe una di quelle carte nautiche che erano in uso presso la flotta dell’Ammiraglio cinese Zheng He17, contemporaneo dei fratelli Zeno, che viaggiò largamente negli oceani.

Che sia un falso o meno, questo al momento non ci è dato di sapere. Ma un ex ufficiale della Royal Navy, Gevin Menzies18, dopo aver studiato la suddetta mappa, si è fatto fautore dell’ipotesi che i Cinesi scoprirono l’America alcuni decenni prima di Cristoforo Colombo.

Ma sicuramente, tra tutte, la mappa che ancora oggi più di ogni altra affascina e fa discutere gli studiosi è la mappa di Piri Reìs19, datata 1513.

La mappa venne rinvenuta casualmente nel 1929 nella biblioteca del vecchio Palazzo Imperiale di Costantinopoli, il Topkapı Palace, oggi adibito a museo, mentre erano in svolgimento lavori di ristrutturazione. Una delle iscrizioni reca la seguente dicitura: “Questa carta è stata disegnata da Piri Reìs Ibn Aji Mehmed, nipote di Kemal Reìs, a Gelibolu (Gallipoli, in Turchia), nel mese di Moharrem dell’anno 919 (ovvero tra il 9 marzo ed il 7 aprile del 1513, secondo il nostro calendario)”.

L’autore ne era, appunto, un famoso e celebrato ammiraglio e cartografo turco20, forse di origine greca, meglio conosciuto col nome di Piri Reìs. Disegnata su pelle di gazzella, di essa non rimane che un frammento dalle dimensioni di 90 x 65 centimetri (si presume che l’intera carta misurasse in origine circa 140 x 165 centimetri). Nella legenda della mappa, Piri specificò che la medesima era basata su una ventina di carte ancora più antiche, cosiddette sorgenti. Secondo Piri, queste mappe includevano otto mappe di origine tolemaica, una mappa araba dell’India, quattro mappe portoghesi ed una mappa, addirittura, disegnata da Cristoforo Colombo in persona. L’ammiraglio turco sarebbe entrato in possesso di quest’ultima avendo fatto prigioniero, in una delle tante battaglie navali che a quei tempi opponevano la cristianità ai saraceni, un ex marinaio che aveva navigato assieme al capitano genovese nei suoi viaggi nelle Indie Occidentali.

Anzi, a proposito di Colombo, nel suo libro Kitabi Bahriye (Il libro della marina), una sorta di trattato sulla navigazione nelle acque del Mar Mediterraneo, Piri scrisse :”Un infedele, di nome Colombo, originario di Genova, fu colui che scoprì quelle terre. Nelle mani del suddetto era capitato un libro, ed egli vi lesse che al di là del Mare Occidentale (l’oceano Atlantico), ad ovest, c’erano coste ed isole, e metalli e pietre preziose di ogni genere”.

La scoperta della mappa di Piri Reìs suscitò immediatamente clamore presso la comunità scientifica. Gli studiosi rimasero sbalorditi nell’apprendere che la mappa rappresentava anche ciò che si pensava non avrebbe mai potuto rappresentare. Non solo con una certa precisione venivano tratteggiate le coste di territori che all’epoca non potevano che essere quasi sconosciuti agli stessi esploratori europei, come il litorale atlantico del Nord e del Sud America (in fin dei conti, Colombo, che aveva navigato solo per i mari caraibici, compì i suoi viaggi transoceanici solo pochi anni prima rispetto alla stesura della mappa); addirittura erano raffigurati luoghi che nel 1513 non erano ancora stati ufficialmente scoperti dagli europei, come la Terra del Fuoco (la spedizione di Magellano ebbe inizio nel 1519) e le isole Falkland (queste ultime avvistate la prima volta nel 1522 dall’esploratore portoghese Esteban Gómez21). Ma, se possibile, c’è ancor di più.

Diversi anni dopo il suo rinvenimento, nel 1956 un ufficiale navale turco presentò una copia della mappa all’Ufficio Idrografico della Marina degli Stati Uniti, dove attirò le attenzioni del Capitano Arlington H. Mallery, valente studioso di carte antiche. Mallery si convinse che la parte inferiore della mappa dipingeva il profilo della terra che oggi giace sotto la calotta polare antartica. Ma l’Antartide, come noi sappiamo, fu ufficialmente scoperta solo nel corso del XIX secolo, anche se sin dall’antichità i geografi avevano prospettato l’esistenza di un vasto continente posto agli antipodi del mondo conosciuto, e denominato Terra Australis22. Infatti, già il geografo greco del II secolo Tolomeo23 (lo stesso autore di ben otto delle venti mappe sorgenti della mappa di Piri Reìs) aveva disegnato sulle sue mappe una vasta terra a meridione, all’altezza del 20º parallelo, chiamata Terra Incognita che descrisse come abitata da popoli ricchi24.

Ma la mappa di Piri Reìs si spingeva oltre. Secondo Mallery, essa mostrerebbe come prive di ghiacci regioni antartiche che oggi sono completamente coperte dalla calotta polare e la cui vera conformazione geografica sarebbe stata determinata solo a seguito di diverse spedizioni scientifiche effettuate dopo la fine della seconda guerra mondiale. Secondo alcune recenti rilevazioni del terreno, vi fu effettivamente un remoto passato in cui l’Antartide non era stata completamente coperta dai ghiacci; ma si parla di oltre 6000 anni fa!

Charles Hapgood25 è stato probabilmente lo studioso che più di ogni altro si è interessato alla mappa di Piri Reìs. Professore universitario, assieme ai suoi studenti giunse alla conclusione che la mappa di Piri Reìs era stata realizzata attraverso la tecnica della proiezione azimutale equidistante26 (per fare un esempio, la mappa della Terra presente sulla bandiera dell’ONU è una proiezione azimutale equidistante centrata sul Polo Nord). Dovendosi rappresentare su un piano (la carta geografica) delle misure che in realtà sono presenti sulla superficie di una sfera (la Terra stessa), si fa ricorso a tecniche assai complesse, che richiedono un’ottima conoscenza della matematica nonché precisione nel calcolo della longitudine e della latitudine.

E la mappa di Piri Reìs, almeno stando alle conclusioni di Hapgood, dimostra un tale grado di accuratezza da doversi necessariamente concludere che il livello di conoscenze matematiche, soprattutto in materia di trigonometria, con le quali venne realizzata era a dir poco strabiliante. Lo stesso gruppo di lavoro di Hapgood stabilì che il punto su cui era centrata la mappa di Piri Reìs corrispondeva grossomodo all’antica città egizia di Siene, la moderna Assuan.

Di Siene ci si ricorda perché, trovandosi grossomodo sul Tropico del Cancro ed allo stesso meridiano di Alessandria, fu scelta dal matematico ed astronomo greco del III A.C. Eratostene di Cirene27, assieme alla città fondata da Alessandro Magno e sede della più grande biblioteca dell’antichità28, come punto di riferimento per il primo e sorprendentemente preciso calcolo della circonferenza terrestre29.

Chiaramente, la comunità scientifica internazionale è stata per lo più scettica al riguardo. Non tutti hanno concordato con le tesi di Hapgood e Mallery cui non sono state risparmiate critiche feroci. In molti hanno obiettato che non c’è alcuna evidenza scientifica del fatto che la mappa di Piri Reìs rappresenti realmente le coste dell’Antartide. Inoltre, vengono spesso rimarcati alcuni errori grossolani presenti sulla mappa, soprattutto nella regione caraibica, cioè proprio quella per la cui compilazione Piri Reìs si sarebbe servito della mappa perduta di Colombo. In più, il Rio delle Amazzoni viene riportato due volte, mentre si nota l’assenza del Rio Orinoco e di un lungo tratto di costa lungo il litorale atlantico del Sud America.

In compenso, però, compare anche una ben dettagliata descrizione delle Ande, su cui all’epoca nessun esploratore europeo poteva essersi ancora avventurato. La mappa di Piri Reìs, inoltre, evidenzia chiaramente come i principali fiumi del continente latinoamericano nascano proprio dalla cordigliera andina.

Comunque, la nostra disamina delle mappe impossibili non finisce qui. Ve ne sono altro che meritano la nostra attenzione. Tra di esse, menzioniamo la mappa di Hadji Ahmed30, altro cartografo turco del XVI secolo

La mappa, pubblicata nel 1559, presenta anch’essa nella parte inferiore il continente antartico, anche se la proiezione utilizzata è palesemente esagerata. Ma gli aspetti più interessanti sono altri. Le coste occidentali del Nord America, allora praticamente sconosciute al mondo europeo, sono designate con una sorprendente precisione. Vengono rappresentate pure le isole Hawaii, dove il primo europeo a mettere piede è stato il capitano Cook nel 1778 durante il suo terzo viaggio nel Pacifico31. Ma soprattutto, non c’è soluzione di continuità tra l’Alaska e la Siberia; non c’è lo stretto di Bering e le due regioni sembrano direttamente collegate da una striscia di terra. Noi sappiamo che in tempi antichi, quando il livello dei mari era considerevolmente più basso, è effettivamente esistito questo istmo di terra tra il Nord America e la Siberia: era la Beringia32, attraverso cui si pensa che uomini ed animali si siano diffusi dall’Asia al continente americano. Ma la Beringia scomparve a seguito dell’innalzamento del livello del mare, al termine dell’ultima glaciazione Würm33, circa 12.000 anni fa.

Altra mappa del XVI secolo, questa volta ad opera del cartografo francese Oronzio Fineo34:

Anche qui compare l’Antartide, chiamata Terra Australis (ma, come abbiamo detto in precedenza, era consuetudine sin dall’antichità rappresentare una terra australe non ancora conosciuta che si immaginava esistesse nell’opposto emisfero). È importante però rilevare come nella mappa di Fileo appaia una netta distinzione tra l’Antartide Minore35 (che, paradossalmente, è quella parte del continente antartico ricoperta dallo strato di ghiaccio pià basso, sebbene sia la zona maggiormente interessata da precipitazioni atmosferiche), e l’Antartide Maggiore36 (che al contrario è un deserto di ghiaccio, con precipitazioni quasi inesistenti ma dove la calotta glaciale è più spessa). Anzi, l’Antartide minore viene persino rappresentata come solcata da fiumi.

Ennesima rappresentazione dell’Antartide:

Quest’ultima mappa è addirittura opera del famoso Gerardo Mercatore37, considerato come il padre della moderna cartografia. A lui si deve l’invenzione della proiezione cilindrica centrografica modificata detta, appunto, di Mercatore, forse la più diffusa tra le proiezioni oggi utilizzate in cartografia. Questa mappa, risalente al 1538, rappresenta anch’essa con dovizia di particolari il continente antartico.

Eccone un’altra, questa opera del cartografo cretese Giorgio Calopodio e realizzata nel 1537:

Anche in questa, vi compare il continente antartico. Anzi, la precisione della rappresentazione è stupefacente.

Ennesima carta con l’Antartide prima della sua scoperta ufficiale, solo un po’ più recente rispetto alle altre (1737):

Quest’ultima è opera del francese Philippe Buache38. Si noti l’esistenza di un canale marino nel bel mezzo del continente antartico e come non sembri esservi riportata alcuna calotta glaciale.

L’ultima mappa che vi presentiamo è opera di un altro autore musulmano, Ibn Ben Zara, nativo di Alessandria.

Realizzata nel 1487, apparentemente sembra un normalissimo portolano, per quanto ben realizzato e preciso nel tracciato delle coste: non mostra alcun continente ancora sconosciuto ma solo il buon vecchio Mar Mediterraneo. Ma anche qui non mancano i misteri. A destare impressione sono soprattutto le isole egee: sembrano più grandi e persino più numerose di quanto non lo siano oggi. A tal riguardo, nel suo celebre libro Maps of the Ancient Sea Kings, Charles Hapgood scrive: “Ero stato attratto dallo studio di questo portolano perché sembrava decisamente superiore a tutte le altre carte che avevo visto nella finezza di come erano delineati i dettagli delle coste. Mentre esaminavo questi dettagli rispetto alle mappe moderne, sono rimasto sorpreso dal fatto che nessun isolotto, per quanto piccolo, sembrava troppo piccolo per essere notato[…]. Ci sono molte meno isole sulle mappe moderne, e molte di esse appaiono più piccole rispetto a come mostrato su questa vecchia mappa. […]. Noi troviamo che sia difficile credere che il mare fosse molto più basso nel XV secolo, ma un altro punto interessante è che il portolano di Ibn Ben Zara mostra informazioni risalenti a prima dell’eruzione del vulcano Thera sull’isola egea di Santorini”. Il vulcano Thera scoppiò intorno al 1500 A.C.39 ed è considerato come la causa dell’improvvisa scomparsa della civiltà minoica.

In altre parole, la mappa di Ben Zara potrebbe rappresentare il bacino del Mediterraneo così come era in un’epoca in cui, per via di un processo di glaciazione allora ancora in corso, il livello del Mar Mediterraneo era inferiore a quello attuale e molti isolotti, oggi sommersi dalle acque, erano invece ben visibili o addirittura abitabili. Infatti, nel portolano di Ben Zara buona parte delle isole Britanniche pare come coperta da una coltre di ghiaccio.

In realtà, questi non sono che i casi più eclatanti. Se ne potrebbero aggiungere altri. Ma giunti a questo punto non servirebbe a nulla. Adesso è il momento di porsi delle domande.

Prima di procedere oltre, è opportuno precisare quanto segue: nessuna di queste mappe è, per così dire, “originale”, nel senso che i loro autori non hanno avuto responsabilità per il rilevamento e la cartografia originale. Questi autori erano semplicemente dei compilatori che si sono limitati a copiare da carte più antiche, trovate qua e là, magari in qualche bazar, oppure in qualche ben fornita biblioteca, oppure ereditate da qualche lontano avo, come nel caso di Nicola Zeno. Come si ricorderà, lo stesso Piri Reìs puntualizzò di aver realizzato la sua carta partendo da una ventina di mappe sorgenti, alcune molto antiche. In pratica, si trattò di una sorta di collage. Ebbene, Piri era di casa al palazzo imperiale di Costantinopoli (la sua famosa mappa fu infatti un dono al sultano Solimano il Magnifico40). E Costantinopoli, a quei tempi, era probabilmente dotata della maggiore biblioteca dell’epoca.

E lo era da secoli, almeno da quando gli invasori arabi distrussero nel VII secolo la maestosa biblioteca di Alessandria, che era arrivata a contenere più di un milione di libri. Si narra che la soldataglia araba, una volta conquistata Alessandria, volendosi concedere un bagno caldo nelle famose terme romane della città, non trovando niente di meglio per riscaldare le acque, decise di utilizzare i libri della biblioteca come combustibile! Verosimilmente, per evitare questo immane scempio e che tutto quell’immenso sapere potesse andare perduto per sempre, qualcuno si attivò per portare a Costantinopoli, allora centro della cristianità e della romanità, il maggior numero possibile di preziosi ed antichi manoscritti; magari anche delle semplici copie. E probabilmente alcune di esse finirono tra le mani di Piri in quella Costantinopoli appena conquistata dai turchi.

È quindi ben probabile, come si diceva poc’anzi, che questi autori abbiano preso spunto da mappe antiche quando non erano in grado, con le conoscenze che in quel momento avevano a loro disposizione, di completare una parte di mappamondo che a loro era completamente ignota. Questo spiegherebbe perché in molte delle mappe che abbiamo esaminato venga continuamente riproposta l’Antartide, benché sia evidente che a quei tempi nessuno avesse potuto ancora metterci piede. Forse, da tempo immemore, in certi circoli “esoterici”, girava la voce dell’esistenza di un continente perduto agli antipodi: appunto la Terra Australis di cui sopra si è fatto accenno. I cartografi, volendo comunque rappresentare questo continente perduto di cui intuivano l’esistenza, presero spunto da antiche mappe che avevano trovato chissà dove.

Ma quanto antiche erano queste mappe? Come è possibile che esse fossero tanto precise quanto quelle realizzate solo dopo l’introduzione del cronometro di Harrison? Anzi, anche più precise. Il succitato Mallery era arrivato al punto di esclamare, sbalordito dall’accuratezza delle misurazioni delle varie mappe da lui analizzate: “Non si riesce a comprendere come si siano potute tracciare quelle carte senza l’ausilio dell’aviazione”.

Ma soprattutto, non si riesce a capire non tanto il fatto che questi portolani riproducano territori che ai tempi della loro compilazione erano, a tutti gli effetti, sconosciuti ai designatori, perché non ancora scoperti; no, la sorpresa non sta nel vedervi disegnata l’Antartide, quanto piuttosto nel vedervi disegnate quelle linee costiere dell’Antartide che non esistono più da migliaia di anni. Quanto antiche dovevano essere queste mappe sorgenti perché l’Antartide e la Groenlandia fossero rappresentate senza la presenza della calotta glaciale? Perché comparissero nell’Egeo isolotti oggi completamente sommersi? Perché addirittura apparisse la Beringia, che i geologi ci dicono essere stata ricoperta dai mari allorché l’ultima glaciazione ebbe termine?

Possibile che queste mappe sorgenti siano così antiche da avere migliaia e migliaia di anni? Da risalire a tempi letteralmente antidiluviani? E chi mai avrebbe potuto realizzarle in epoca pressoché preistorica? Sono forse opera di un’antichissima ed evoluta civiltà antidiluviana misteriosamente scomparsa? Sono forse questi ultimi i costruttori della Sfinge di Giza? Delle misteriose città precolombiane di Tiahuanaco e di Tenochtitlán?

Ovviamente, il lettore può farsi la propria idea personale a tal proposito. Si è liberi di considerare questi portolani come si preferisce: come errori, come opere di fantasia, oppure come ciò che, con un termine invero dispregiativo, si suole definire “bufala”. In questo caso, non avrebbe alcun senso tentare di rispondere alle precedenti domande; anzi, sarebbe a dir poco pleonastico anche solo porsele.

Ma se si presta fede a quanto gli autori di queste mappe hanno loro stessi riferito, e cioè che sono stati ispirati nel loro lavoro da mappe molto, molto antiche, non rimane che un ultimo quesito a cui rispondere: ma non sarà che Cristoforo Colombo e tutti quegli altri famosi esploratori le cui gesta studiamo sui libri di scuola in una qualche maniera fossero consapevoli di quello che stavano facendo? Si deve accettare per vera l’ipotesi che stessero navigando verso l’ignoto? O piuttosto, non sarà che abbiano navigato, per così dire, a colpo sicuro, sapendo bene sin dall’inizio delle loro avventure cosa stavano per scoprire?

In Fourteen Hundred Ninety Two

Columbus sailed the ocean blue

He headed straight for Cuba’s shore

Much fame he gained, so I am told

For he proved true the maps of old

BY Gianox, Fonti allegate:

  • 1 https://en.wikipedia.org/wiki/Scilly_naval_disaster_of_1707
  • 2 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_successione_spagnola
  • 3 https://en.wikipedia.org/wiki/Cloudesley_Shovell
  • 4 https://it.wikipedia.org/wiki/Ouessant
  • 5 https://it.wikipedia.org/wiki/Isole_Scilly
  • 6 https://en.wikipedia.org/wiki/Longitude_Act
  • 7 https://en.wikipedia.org/wiki/Board_of_Longitude
  • 8 https://en.wikipedia.org/wiki/Longitude_rewards
  • 9 https://en.wikipedia.org/wiki/John_Harrison
  • 10 https://it.wikipedia.org/wiki/Angelino_Dulcert
  • 11 https://it.wikipedia.org/wiki/Mappa_di_Zeno
  • 12 https://it.wikipedia.org/wiki/Fratelli_Zeno
  • 13 https://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Sinclair_I,_conte_delle_Orcadi
  • 14 https://en.wikipedia.org/wiki/Newport_Tower_(Rhode_Island)
  • 15 https://en.wikipedia.org/wiki/Rosslyn_Chapel#Templar_and_Masonic_connections
  • 16 https://en.wikipedia.org/wiki/William_Sinclair,_1st_Earl_of_Caithness
  • 17 https://it.wikipedia.org/wiki/Zheng_He
  • 18 https://en.wikipedia.org/wiki/Gavin_Menzies#1421:_The_Year_China_Discovered_the_World
  • 19 https://it.wikipedia.org/wiki/Mappa_di_Piri_Reis
  • 20 https://it.wikipedia.org/wiki/Piri_Reìs
  • 21 https://it.wikipedia.org/wiki/Esteban_Gómez
  • 22 https://it.wikipedia.org/wiki/Terra_Australis
  • 23 https://it.wikipedia.org/wiki/Claudio_Tolomeo
  • 24 https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell’Antartide
  • 25 https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Hapgood
  • 26 https://it.wikipedia.org/wiki/Proiezione_azimutale_equidistante
  • 27 https://it.wikipedia.org/wiki/Eratostene_di_Cirene
  • 28 https://it.wikipedia.org/wiki/Biblioteca_di_Alessandria
  • 29 http://dm.unife.it/matematicainsieme/matcart/misterra.htm
  • 30 https://en.wikipedia.org/wiki/Hacı_Ahmet
  • 31 https://it.wikipedia.org/wiki/Terzo_viaggio_di_James_Cook
  • 32 https://it.wikipedia.org/wiki/Beringia
  • 33 https://it.wikipedia.org/wiki/Glaciazione_Würm
  • 34 https://it.wikipedia.org/wiki/Oronzio_Fineo
  • 35 https://it.wikipedia.org/wiki/Antartide_Occidentale
  • 36 https://it.wikipedia.org/wiki/Antartide_Orientale
  • 37 https://it.wikipedia.org/wiki/Gerardo_Mercatore
  • 38 https://fr.wikipedia.org/wiki/Philippe_Buache
  • 39 https://it.wikipedia.org/wiki/Eruzione_minoica
  • 40 https://it.wikipedia.org/wiki/Solimano_il_Magnifico
Foto archivio personale Ale&Paul Het Scheepvaartmuseum Kattenburgerplein 1, 1018 KK Amsterdam, Archivio 08/2012