tratto da zerohedge.com scelto e tradotto da Gustavo Kulpe

Non c’è alcun dubbio che un’ondata di automazione sta per sconvolgere le economie di tutto il mondo.

E’ un fatto, l’impatto dell’automazione sul mercato del lavoro è diventato più che mai una questione politica, e la sua incidenza sulla forza lavoro viene indicata come una delle principali cause dell’elezione di leader come il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e L’italiano Matteo Salvini, secondo un nuovo editoriale su Bloomberg scritto da Ferdinando Giugliano.

Negli Stati Uniti, il principale fattore per stabilire se un lavoratore può prevalere su un robot per un lavoro sembra essere la sua istruzione. All’estero, nell’UE, per la gran parte è determinante la forza del contratto di lavoro di un lavoratore.

Giugliano sostiene che sarebbe sciocco per qualsiasi governo discutere contro l’automazione perché è un motore parecchio grande per la crescita economica. Allo stesso modo, egli sostiene che l’impatto dell’automazione deve essere distribuito uniformemente.

Definisce “brutale” il modello americano che favorisce il lavoratore istruito, ma almeno ciò consente una parvenza di meritocrazia. Il modello europeo di protezione dei lavoratori con contratti, afferma, è ingiusto nei confronti dei lavoratori più giovani che non hanno esperienza. Questo, a sua volta, non aiuterà con il problema dell’ingiustizia intergenerazionale che spinge gli elettori verso politici populisti, sostiene la rivista.

Da sottolineare inoltre uno studio di Konstantinos Pouliakas per il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, che mostra in che misura l’automazione è una sfida in Europa. Lo studio ha rilevato che il 14% dei lavoratori adulti può subire un “rischio molto elevato di automazione” e che le professioni più a rischio sono lavori di routine con scarsa richiesta di competenze trasferibili o interazione sociale.

Gli economisti Maarten Goos, Alan Manning e Anna Salomons hanno anche condotto uno studio, esaminando 16 paesi europei tra il 1993 e il 2006, trovando un aumento della quota di occupazione per manager professionisti ben pagati, così come lavoratori con occupazioni a basso reddito, contro una diminuzione della quota di manodopera e impiegati ordinari.

Questo è il risultato dei computer che sostituiscono facilmente le attività di routine, conclude lo studio, facendo eco al sentimento che i lavoratori che svolgono questi lavori sono i più vulnerabili.

Vi sono poche prove che l’automazione stia polarizzando i salari in Europa come negli Stati Uniti. Gli economisti Paolo Naticchioni, Giuseppe Ragusa e Riccardo Massari hanno studiato gli stipendi nel continente europeo tra il 1995 e il 2007 e hanno scoperto che la tecnologia ha avuto solo un “effetto debole” sulla loro distribuzione. Hanno anche scoperto che l’istruzione non ha alcun ruolo nel determinare la disuguaglianza salariale nell’UE, cosa che non accade negli Stati Uniti.

A rimetterci con l’automazione in Europa è chiaramente evidenziato dallo studio sulla Germania di Wolfgang Dauth, un economista dell’Università di Würzburg. Ha scoperto che l’onere ricade principalmente sui giovani lavoratori che accedono ai settori manifatturieri. I nuovi lavoratori sono penalizzati perché il mercato del lavoro europeo implica che le aziende devono offrire posti di lavoro più stabili e meglio retribuiti ai lavoratori in carica più anziani.

Giugliano conclude che i governi non dovrebbero dissuadere l’innovazione:

L’esempio dell’Italia mostra che non avere un’automazione sufficiente ha un effetto dannoso sul mercato del lavoro. Gaetano Basso, un ricercatore della Banca d’Italia, ha scoperto che dalla metà degli anni 2000, gli italiani non hanno subito la polarizzazione salariale, ma piuttosto un completo degrado del mercato del lavoro. Solo la percentuale di occupazioni manuali a basso salario è aumentata notevolmente, mentre i lavori ad alto salario sono diminuiti insieme a quelli a medio reddito. La mancanza di automazione è una delle cause. L’economia italiana è stata segnata da una produttività stagnante per tre decenni, quindi non sorprende che i salari e la qualità del lavoro non siano migliorati.

Al contrario, conclude che i governi devono migliorare nel gestire le conseguenze indesiderate dell’automazione promuovendo le giuste competenze e istruzione per i futuri lavoratori.