La recente morte di Joseph Alois Ratzinger, scomparso lo scorso 31 dicembre, è destinata a gettare scompiglio nella Chiesa di Pietro. Mai nel corso dell’ormai bimillenaria storia di quest’ultima era capitato di avere in contemporanea due papi, fatta eccezione per quei tempi remoti in cui ad un papa si era contrapposto un antipapa. Ma quanto abbiamo avuto in questi ultimi dieci anni è un qualcosa di diverso, proprio perché al papa ufficiale, che dovrebbe essere Bergoglio – la cui ascesa al soglio pontificio è già di per sé un evento eccezionale essendo egli il primo papa gesuita ad assurgere al soglio di Pietro – si è affiancata una figura totalmente nuova e di difficile decifrazione come quella del papa emerito.
In effetti, data la singolarità di questo evento, occorrerebbe investigare su ciò che potrebbe accadere in futuro. Secondo alcuni commentatori Ratzinger, presentando le proprie dimissioni nel 2013, non avrebbe comunque mai abdicato dal cosiddetto munus petrino1. Avrebbe quindi sì rinunciato a favore di Bergoglio all’esercizio del ministerium, ma non al primo. Si tratta di una differenza non da poco. In base ad una riforma del diritto canonico patrocinata 40 anni fa dal papa Giovanni Paolo II proprio sotto la supervisione dell’allora cardinale Ratzinger, “l’ufficio papale venne suddiviso in due enti, il munus (titolo divino) ed il ministerium (esercizio del potere). Rinunciando a questo o a quello, si configurano due situazioni speculari e radicalmente diverse. Se il papa rinuncia in modo simultaneo e ratificato al munus, c’è la sua abdicazione (canone 332.2). Se rinuncia in modo differito e non ratificato al ministerium (come ha fatto Benedetto XVI) si ricade nella sede impedita (canone 412), dove il papa è prigioniero, confinato, non libero di esprimersi, ma resta papa a tutti gli effetti”2.
In altre parole, sempre che quanto sopra riportato corrisponda al vero, per tutti questi anni il vero papa sarebbe sempre rimasto Benedetto XVI, il quale avrebbe continuato ad incarnare sino alla sua morte il potere spirituale della Chiesa, mentre Francesco si sarebbe limitato semplicemente ad esercitarne il potere temporale nell’impossibilità del primo di farlo. Non a caso Ratzinger non ha mai rinunciato a vestire la talare bianca ed a continuare a farsi chiamare “sua Santità”. Anzi, il fatto che Bergoglio abbia scelto di soggiornare a Domus Sanctae Marthae, di fatto una residenza alberghiera, e non nei Palazzi Apostolici, come da sempre fanno i pontefici, testimonierebbe non della sua presunta umiltà e di una spiccata sensibilità verso i poveri ed i più sfortunati, bensì che egli stesso è sempre stato consapevole di non potersi fregiare del titolo di papa se non limitatamente all’esercizio di un potere esclusivamente politico ma non spirituale.
Evidentemente tutto questo è destinato ad avere conseguenze. È dunque ora lecito chiedersi se Bergoglio, dopo la recente scomparsa di Benedetto XVI, possa seguitare a mantenere la sua posizione non essendo egli mai stato ufficialmente investito del munus petrino, che non può aver ereditato a seguito della morte del papa bavarese. Pertanto oggi, a rigor di logica, dopo la scomparsa di Raztinger, la Sede vaticana dovrebbe essere considerata a tutti gli effetti come vacante. In questi ultimi mesi si sono intensificate le voci che vorrebbero lo stesso papa argentino come prossimo alle dimissioni; Francesco ha fatto sapere di essere pronto rinunciare all’incarico nell’eventualità in cui le sue condizioni di salute dovessero peggiorare3. Ma anche in caso di dimissioni i problemi non mancherebbero.
C’è da chiedersi innanzitutto se possa essere legittima l’elezione di un nuovo pontefice da parte di un conclave composta da cardinali che in gran parte sono stati creati da Bergoglio. Infatti, se dovesse risultare vero che papa Ratzinger non ha mai formalmente abdicato in conformità a quanto previsto dal diritto canonico, la Santa Sede non sarebbe mai stata vacante almeno sino alla sua morte. Di conseguenza Francesco non avrebbe mai avuto alcuna autorità per procedere alla nomina di nuovi cardinali, i quali continuerebbero de facto ad essere dei semplici vescovi4. Ad oggi, sono ben 122 i nuovi cardinali nominati da Bergoglio: circa i ⅔ dei cardinali elettori sono quindi stati scelti da lui direttamente5. Ce ne sarebbe abbastanza perché si possa richiedere di invalidare il prossimo conclave!
Scompiglio, si diceva poc’anzi. Sembra una parola azzeccata. Effettivamente, qualora questi problemi dovessero emergere in tutta la loro virulenza in occasione delle prossime elezioni papali, potrebbe succedere di tutto, anche che si possa verificare uno scisma tra quella parte della Chiesa che già oggi non pare più riconoscere in Bergoglio il legittimo successore di Pietro e quell’altra parte che mai ha messo in discussione la sua autorità ed è intenzionata a proseguire lungo il percorso da lui intrapreso finalizzato ad “aprire la Chiesa al mondo” (anche se questo non farebbe altro che renderla sempre più simile ad una chiesa protestante).
Nuvole nere si addensano all’orizzonte e si fanno sempre più minacciose nei riguardi di Santa Romana Chiesa. Il suo futuro, dopo duemila anni, si tinge di fosco. A questo riguardo, non possiamo non menzionare le profezie della beata Anna Katharina Emmerick6, mistica e veggente tedesca vissuta a cavallo tra XVIII e XIX secolo, le cui visioni sono prepotentemente ritornate in auge soprattutto dopo le dimissioni di Ratzinger, giacché ella aveva chiaramente predetto con due secoli di anticipo la strana coesistenza tra due papi7:

Tuttavia, quando si parla di profezie relativamente al papato, non può che venirne in mente una in particolare: ci stiamo riferendo alla profezia di San Malachia. Si tratta di “un testo attribuito a san Malachia, arcivescovo di Armagh, vissuto nel XII secolo, contenente 112 brevi motti in latino che descriverebbero i papi (compresi alcuni antipapi) a partire da Celestino II, eletto nel 1143. Dopo i motti, al termine della profezia, è presente un testo in latino che prevederebbe, durante il pontificato di un certo Petrus Romanus, la distruzione di una città dai sette colli e il giudizio finale”8.
Se il lettore fosse particolarmente interessato ad approfondire l’argomento della profezia di Malachia, lo invito a consultare il blog del sempre ottimo Remox9: da suo lettore occasionale mi sento di ringraziarlo per lo splendido lavoro che indefessamente assieme ai suoi commentatori dedica al mondo delle profezie, nonché per gli spunti di riflessione che i suoi articoli forniscono di continuo ed ai quali io stesso ho attinto a piene mani per poter scrivere parte del presente articolo.
La profezia di Malachia, che venne pubblicata a Venezia per la prima volta del 1595 ad opera dello storico benedettino francese Arnoldo Wion, secondo una certa critica non sarebbe che un falso. Alcuni fatti portano a pensarlo. Prima di tutto, non si ha alcuna notizia di questa profezia per oltre quattro secoli, dal XII secolo, quando sarebbe stata redatta dal santo irlandese, fino alla sua pubblicazione ad opera del Wion. Non se ne fa accenno neppure nella biografia di San Malachia scritta da San Bernardo di Chiaravalle, che pure era stato suo contemporaneo ed amico. Ma principalmente i primi 74 motti, quelli relativi ai papi ed agli antipapi che si sono succeduti sino all’epoca della pubblicazione del testo, risulterebbero per così dire “fin troppo precisi” per essere credibile che siano frutto di vaticinio. Si sospetta – anche perché presenterebbero gli stessi errori – che siano stati presi a piè pari dallo scritto dell’umanista italiano del ‘500 Onofrio Panvinio10, che aveva scritto una sua storia ecclesiastica. Tutto questo induce a pensare che in realtà si sia trattato solo di un falso con precise finalità politiche, dovendo essere utilizzato per perorare la causa di un potente cardinale italiano che ambiva a farsi eleggere papa nel conclave del 1590. Da questo si evincerebbe che il testo sarebbe stato composto non durante il XII secolo, bensì alcuni anni prima della sua effettiva pubblicazione.
Tuttavia, i motti attribuiti ai papi successivi, per quanto criptici, in alcuni casi lasciano veramente sconcertati tanto sembrano attinenti al personaggio cui si riferiscono: si è così indotti a pensare che, magari a differenza dei primi, questi ultimi abbiano una reale valenza profetica. Ad esempio, il moto De meditetate lunae (del medio periodo della luna) è riferito a papa Albino Luciani, Giovanni Paolo I, il cui pontificato passò alla storia per avere avuto una brevissima durata, all’incirca quella di un mese lunare. A Benedetto XVI sarebbe toccato il motto Gloria olivae (la gloria dell’ulivo), indicante l’ultimo papa prima della fine dei tempi, o quanto meno l’ultimo che abbia potuto esercitare il papato nelle modalità conosciute per duemila anni. L’ulivo potrebbe essere un riferimento alla congregazione olivetana11, che fa parte dell’ordine di San Benedetto, ed i cui membri, a differenza degli stessi monaci benedettini, portano un abito bianco come per altro ha sempre continuato a fare anche Ratzinger dopo le sue dimissioni. Ma potrebbe essere anche un rimando all’orto degli Ulivi, là dove ebbe inizio la Passione di Gesù con il tradimento da parte di Giuda.
A Papa Francesco invece competerebbe il moto In persecutione extrema S.R.E. sedebit (siederà durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa). A questo proposito, è necessaria un’ulteriore precisazione. Lungamente Bergoglio è stato identificato da alcuni commentatori come il Petrus Romanus con cui si chiude l’elenco di Malachia, e cioè con il pontefice sotto il quale dovrebbe avvenire la distruzione della città dai sette colli (presumibilmente Roma) ed il Giudice tremendo giudicherà il suo popolo. D’altronde, lo stesso Bergoglio, appena eletto, si presentò dalla loggia di san Pietro come il papa proveniente dalla “fine del mondo”12: decisamente una ben strana descrizione questa, anche se in apparenza si voleva solo accennare alle sue origini argentine (la sua famiglia comunque è originaria del Piemonte).
Tuttavia, pare che questa sia un’attribuzione sbagliata, dovuta ad una sorta di refuso. Nella pubblicazione originaria del Wion, risalente al 1595, compare quanto segue:

Dopo il motto Gloria olivae, attribuito a Ratzinger, se ne leggono altri due che nel testo originale paiono chiaramente distinti: In persecutione extrema S.R.E. sedebit, ed appunto Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis.
Dunque non sarebbe Bergoglio Petrus Romanus: solo un’errata impaginazione presente nelle più recenti pubblicazioni dell’elenco di Malachia avrebbe portato ad identificarlo come il papa della fine dei tempi. Ma se questo è vero, significa che Petrus Romanus sarà il prossimo papa, quello che presto potrebbe succedere a Bergoglio venendo eletto in un conclave la cui legittimità sarà messa pesantemente in discussione per i motivi già sopra accennati. Chissà chi potrà mai essere questo successore? Forse il tanto decantato papa nero di cui si sente parlare? Ma papa nero, forse, non nel senso di papa africano. D’altro canto, si è già avuto un papa gesuita…
Bergoglio sarebbe quindi – si fa per dire – solo il papa che siede sul soglio petrino in un periodo di terribile persecuzione per la Chiesa Cattolica. Indubbiamente oggi la Chiesa sta attraversando un periodo di grande tribolazione. Non solo viviamo in una società sempre più secolarizzata dove i più hanno perso ogni interesse verso le cose più alte e spirituali della vita, essendosi ancorati ad una materialità ed a un positivismo dogmatico da cui sono stati trasformati in esseri aridi, superficiali, sempre più amorali e completamente alla mercé di quelli che altro non sono che futili desideri, spesso solo vizi e capricci, per lo più spacciati per diritti inalienabili della persona. Ma la stessa Chiesa, che pur nella rigidità della Legge Mosaica era stata per due millenni baluardo della morale e faro di civiltà, tanto da aver saputo arginare le derive più depravanti proprie della natura umana, oggi si trova completamente in balia degli eventi, ricca e potente forse, ma totalmente screditata, non più ascoltata, derisa e derelitta, vilipesa, oltraggiata e sempre più disprezzata quando non apertamente perseguitata; e tutto questo non è che conseguenza delle sue colpe e degli uomini di cui è composta, della stoltezza di questi ultimi, della loro abiezione, ma soprattutto di quella tiepidezza che gli uomini di Chiesa, oramai scesi a patti col mondo della materialità di cui satana è per definizione principe, palesano ad ogni piè sospinto, dimentichi del loro ruolo essenziale di pastori di anime.
Eppure lo stesso libro profetico per eccellenza, l’Apocalisse di Giovanni, aveva avvertito: “Io conosco le tue opere, che tu non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo, io sto per vomitarti dalla mia bocca. Poiché tu dici: Io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me dell’oro affinato col fuoco per arricchirti, e delle vesti bianche per coprirti e non far apparire così la vergogna della tua nudità, e di ungerti gli occhi con del collirio, affinché tu veda. Io riprendo e castigo tutti quelli che amo; abbi dunque zelo e ravvediti13”. La stessa beata Emmerick lo aveva predetto:

Ah, se solo l’uomo desse più ascolto ai veggenti! Quanto dolore potremmo risparmiarci! Invece noi, miseri tapini, tronfi e sicuri delle nostre capacità tanto da sentirci autentici dei in Terra, convinti che la Ragione illuminista sia tutto ciò di cui abbiamo bisogno, giustificati in questa nostra essenza di pura materialità dalle avanzate conquiste tecnologiche che abbiamo saputo conseguire nel corso dei secoli, non solo abbiamo abbracciato un approccio alla vita spiritualmente povero e miserevole che ci porta lontani dal nostro sé superiore, finendo spesso con l’essere infelici, ma seguitiamo a dare ascolto a ciò che chiamiamo scienza senza renderci conto che questa non lo è, trattandosi solo di un’acritica e pedissequa adesione ad una seppur elegante ed organica forma di dogmatismo immanente. La Scienza vera al contrario, quella che ci sentiamo di chiamare con la S maiuscola, ci dovrebbe piuttosto indurre a cambiare questo medesimo approccio positivista e meccanicista, spingendoci a rivalutare il ruolo che la Coscienza ha nella vita di tutti noi.
Il punto è che, quantunque sia ancora opinione diffusa che i fenomeni di chiaroveggenza – di questo ci occuperemo infatti in questo articolo – debbano essere relegati alla sfera del paranormale se non addirittura a quella della ciarlataneria, tanto che ancora oggi si ha persino timore a parlarne pubblicamente per non essere presi per visionari o peggio ancora per terrapiattisti, ebbene, la Scienza, quella vera, quella con la maiuscola, potrebbe essere in grado di spiegare questi fenomeni di precognizione, dei quali ormai si incomincia ad avere una letteratura piuttosto ampia dato che negli ultimi tempi si sono moltiplicate le ricerche condotte per lo più stimati studiosi che hanno semplicemente applicato con assoluto rigore il metodo scientifico galileiano. Con ciò non si vuol significare che la Scienza arriverà al punto di replicare sperimentalmente questi fenomeni, oggi spesso bollati come impostura, così da far diventare ciascuno di noi un potenziale veggente. Tuttavia, esistono delle teorie scientifiche, ben consolidate e largamente accettate dalla comunità scientifica internazionale nonché dal grande pubblico di non addetti ai lavori, che possono fornire comunque una base di partenza per comprendere come i fenomeni di precognizione possano in realtà essere inseriti ed inquadrati in un contesto diverso, tanto da sospettare che un giorno questa stessa Scienza possa darne una spiegazione la più condivisa possibile.
Per forza di cose, ci sforzeremo di trattare l’argomento cercando di essere sì i più precisi e rigorosi possibile ma inesorabilmente, non possedendo noi le qualità e le competenze di un vero scienziato, ma essendo noi piuttosto delle persone mosse dal desiderio di conoscenza, la nostra sarà una divulgazione che agli occhi di molti peccherà di superficialità e dove non mancheranno certo degli errori di cui ci scusiamo sin da ora. Questo vorrebbe essere soprattutto un nostro tentativo di esplorare qualcosa di nuovo, sperando che le nostre argomentazioni – che certo malgrado il nostro impegno non potranno essere complete né godere dei crismi della scientificità e che magari lasceranno sconcertati coloro che possiedono competenze superiori alle nostre – possano comunque spingere il lettore ad ulteriori approfondimenti e magari ad approcciarsi alla realtà con motivazioni diverse rispetto a quelle da lui sinora provate. Altresì dobbiamo avvertire che non saranno argomenti di facile comprensione; il fatto stesso di esserci impegnati ad essere rigorosi per non mancare di precisione ci obbliga a fare ricorso ad un linguaggio quasi da addetti ai lavori, che inesorabilmente appesantirà alquanto il discorso.
Una di queste teorie di cui si diceva poco fa è celeberrima. Anzi, probabilmente non ne esiste una più famosa di questa. Si tratta della teoria della relatività di Albert Einstein, che si suddivide in teoria della relatività ristretta o speciale14 ed in teoria della relatività generale15. Ci soffermeremo principalmente sulla prima. La teoria della relatività ristretta o speciale fu formulata da Einstein attorno al 1905 al fine di spiegare le contraddizioni insite nella fisica classica newtoniana. Essa si applica ai fenomeni che avvengono in sistemi di riferimento inerziali dove, sostanzialmente , viene preservato lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme. Uno dei due postulati fondamentali alla base della teoria della relatività speciale è quello secondo cui la velocità della luce, pari nel vuoto a 299.792.458 m/s, è una costante universale in quanto indipendente dalla velocità della sorgente che l’ha emessa e dal sistema di riferimento.
Quest’ultima asserzione contraddice il senso comune perché esso ci direbbe che, se viaggiassimo a grande velocità in qualche direzione, la velocità della luce in questa medesima direzione dovrebbe apparirci ridotta a qualcosa di meno di c (perché ci aspettiamo che, muovendoci noi in tale direzione, la nostra velocità dovrebbe “sottrarsi” a quella della luce), mentre invece la velocità apparente della luce nella direzione opposta a quella del nostro moto dovrebbe risultare corrispondentemente accresciuta al di sopra di c (poiché in questo caso la velocità della luce dovrebbe “sommarsi” alla nostra). Invece essa è sempre uguale a c.
Senza complicarci la vita con complesse spiegazioni scientifiche che non sono affatto di facile intuizione, qui ci limiteremo a puntualizzare che l’importanza della teoria della relatività speciale di Einstein risiede nel fatto che essa ha rivoluzionato il nostro abituale concetto di spazio e di tempo, che hanno in seguito smesso di essere considerati dei valori assoluti ma appunto relativi, perché dipendenti dal moto dell’osservatore. Al contempo essa ha introdotto una quarta dimensione temporale da affiancare alle tre coordinate spaziali che i nostri sensi sono normalmente in grado di percepire. La struttura quadridimensionale propria dell’universo in cui viviamo prende pertanto il nome di spazio-tempo.
Nella nostra quotidianità non abbiamo alcuna possibilità di renderci conto di quanto appena asserito, e cioè che spazio e tempo sono nozioni relative e dipendenti dal sistema di riferimento nel quale vengono misurate. Questo avviene perché abitualmente abbiamo a che fare con velocità grandemente inferiori a c. Ma quando ci si approssima a velocità relativistiche, cioè paragonabili a quelle della luce, si riscontrano fenomeni come la dilatazione dei tempi, la contrazione delle lunghezze e l’aumento della massa degli oggetti. Questo comporta in definitiva che due eventi che sono simultanei in un sistema di riferimento possono non esserlo in un altro se le velocità a cui i due sistemi si muovono divergono di parecchio poiché, effettivamente, il tempo non scorre allo stesso modo per tutti perché quando ci si muove a velocità elevate esso si dilata scorrendo più lentamente
Per meglio capire il tutto, ricorreremo al classico e famoso paradosso dei due gemelli. Immaginiamo due gemelli aventi 40 anni di età. Uno dei due, che è un astronauta, si accinge a partire in un viaggio interstellare a bordo di un’astronave che lo porterà a raggiungere una stella distante 10 anni luce dalla Terra. Ipotizziamo altresì che il viaggio si compia ad una velocità pari a circa i ⅔ della velocità della luce. Pertanto, considerando quella distanza e quella velocità, il viaggio durerà in tutto 30 anni, 15 per l’andata e altrettanti per il ritorno. Ma attenzione! Si tratta di 30 anni “terrestri”, ossia secondo un osservatore che, al pari del gemello del nostro viaggiatore intergalattico, fosse rimasto sul nostro pianeta. Quando l’astronauta avrà fatto ritorno a casa e correrà a riabbracciare il suo gemello che non vede da 30 anni “terrestri”, egli si accorgerà che questi ormai ha 70 anni ma ne rimarrà sorpreso perché lui in realtà avrà otto anni in meno: 62 e non 70. Infatti sarà successo che, viaggiando ad una velocità così elevata durante il suo viaggio sull’astronave, sarà stato come se per lui il tempo fosse trascorso più lentamente, mentre sulla Terra il tempo terrestre avrebbe continuato a scorrere normalmente. In conclusione, a bordo dell’astronave sarebbero trascorsi soltanto 22 anni mentre sulla Terra 30. Ecco spiegato il concetto di relatività del tempo. Ed ecco perché due eventi che sembrano simultanei per un osservatore possono non esserlo per un altro.
Parimenti, un altro effetto relativistico consiste nella contrazione delle lunghezze, e cioè nel fatto che la misura di un oggetto che è in movimento rispetto al sistema di riferimento in cui avviene la misura, è minore del valore misurato quando esso è fermo rispetto al medesimo sistema di riferimento. Quindi le lunghezze di un oggetto in moto relativistico si contraggono ma, contemporaneamente, gli intervalli di tempo si dilatano. Siccome le due grandezze di spazio e di tempo risultano così intimamente connesse, si è sviluppata l’idea che ad un evento relativistico generico possano venire associate quattro coordinate in grado di descriverne lo stato fisico: appunto le tre coordinate spaziali e la coordinata tempo. Il concetto di spazio-tempo nasce da questa stretta interconnessione. Anche la massa di un corpo a velocità relativistiche smette di essere un valore costante: avvicinandosi a c, tende ad aumentare. Da ciò Einstein trasse la sua celeberrima equazione: E=mc2..
Il citato esempio del paradosso dei gemelli può essere graficamente rappresentato col diagramma seguente, che in seguito provvederemo a spiegare nel dettaglio:

Il segmento AC rappresenta la linea oraria del gemello rimasto a casa, mentre il fratello astronauta ha una linea oraria composta dai due segmenti AB e BC, i quali rappresentano rispettivamente il viaggio d’andata e quello di ritorno. Il gemello rimasto sulla Terra sperimenta un tempo misurato dalla distanza AC, mentre il viaggiatore stellare sperimenta un tempo dato dalla somma delle due distanze AB e BC. Ebbene, questi tempi – come detto in precedenza – non sono uguali perché AC>AB+BC giacché il tempo sperimentato dal gemello rimasto a casa è maggiore di quello del fratello astronauta. Ma la geometria euclidea afferma che la somma di due lati di un triangolo è sempre maggiore del terzo. Pertanto, in questo grafico, dovrebbe essere AC<AB+BC; invece è il contrario.
Infatti questo diagramma non è espressione della geometria euclidea, ma di quella di Minkowski16. Come detto, la teoria della relatività ha affiancato alle classiche tre coordinate spaziali una quarta temporale che si è resa necessaria per indicare un evento. La geometria euclidea, che tutti noi abbiamo studiato a scuola, quando si raggiungono velocità elevatissime, prossime a quella della luce, è inadatta allo scopo proprio perché non contempla la possibilità di questa quarta dimensione. Da lì sorse l’esigenza di introdurre un’apposita geometria che tenesse in considerazione anche la dimensione spaziotemporale. Minkowski, che tra l’altro era stato insegnante dello stesso Einstein, sviluppò pertanto una struttura matematica diversa e quadridimensionale, comprensiva delle relazioni fra spazio e tempo, al fine di meglio rappresentare le proprietà della teoria della relatività elaborata dal suo allievo. Si considerino le seguenti figure:

A sinistra abbiamo un osservatore S stazionario. Nel suo caso la geometria euclidea è sufficiente per dettagliare ciò che egli osserva. La freccia che punta verso l’alto, ovvero l’asse del tempo, rappresenta la sua linea oraria, mentre i piani che intersecano la medesima rappresentano ognuno degli eventi che dal suo punto di vista avvengono simultaneamente. I punti R e Q sono due eventi distinti nel tempo che, secondo l’osservatore S, avvengono in maniera tale che R è anteriore a Q. A destra abbiamo invece un osservatore M in moto la cui linea oraria è rappresentata secondo la geometria di Minkowski. La sua linea oraria è diversa rispetto a quella dell’osservatore S, essendo inclinata, così come lo sono i piani che rappresentano gli eventi che per lui appaiono simultanei. Dal suo punto di vista, però, succede una cosa strana: non è più l’evento R a precedere nel tempo Q, ma il contrario. Il che è in accordo con la teoria della relatività speciale che appunto ci dice che il concetto di tempo è relativo.
Si prenda in considerazione anche quest’altra figura:

Essa è denominata cono di luce di Minkowski ed è una rappresentazione degli eventi nello spazio-tempo secondo la relatività di Einstein e di Minkowski. Tralasciamo il modo in cui Minkowski arrivò al punto di elaborare questo diagramma ma focalizziamoci invece sulla sua descrizione. Si tratta essenzialmente di un doppio cono centrato a qualunque evento si verifichi nello spazio-tempo. In poche parole, il punto zero, là dove si congiungono i vertici dei due coni speculari, rappresenta il presente che noi stessi stiamo vivendo ora, in questo stesso momento. I punti che si trovano all’interno del cono superiore sono invece gli eventi futuri; o per meglio dire, il cono superiore rappresenta l’insieme delle posizioni che un oggetto od un evento possono assumere nel futuro. Parimenti, il cono inferiore rappresenta le posizione che questi hanno potuto assumere nel passato. I punti che si trovano esattamente sui bordi dei coni descrivono invece la linea oraria di particelle, come i fotoni, che viaggiano alla velocità della luce. Ecco perché si chiama cono di luce. Secondo la teoria della relatività, niente in questo universo può viaggiare a velocità superiori a c. La zona all’esterno dei due coni viene definita come altrove assoluto.
A cosa ci è servita questa lunga ed assai complicata dissertazione? Veniamo al dunque, anche se dobbiamo necessariamente saltare qualche passaggio. Per farla breve, qualora esistessero delle particelle che, contrariamente a quanto sostenuto dalla fisica einsteiniana, potessero viaggiare a velocità superiori a quella della luce, in teoria sarebbe possibile viaggiare a ritroso nel tempo, o comunque mandare informazioni dal futuro al passato. Ovvero, si riuscirebbe a passare dal cono superiore a quello inferiore del cono di luce di Minkowski. Infatti, quando la velocità di un corpo in movimento è uguale a quella della luce, il tempo, che è un concetto relativo, si azzera. Così un fotone, che viaggia alla velocità della luce, non sperimenterebbe mai il passare del tempo. Sarebbe come vivere in un “eterno presente”. Diversamente, nel caso di una particella avente una velocità superiore a c sarebbe come se questa “vivesse” all’incontrario, ossia sperimenterebbe il trascorrere del tempo dal futuro in direzione del passato!
Questo sarà dunque ciò di cui ci occuperemo nel prosieguo dell’articolo. Un’anticipazione: parrebbe esistere effettivamente una particella con queste caratteristiche. Dunque, qualora in qualche modo trovassimo il modo di padroneggiarla, essa ci permetterebbe – almeno in teoria – di compiere un viaggio a ritroso nel tempo. Tuttavia è giunta l’ora di prendersi una pausa. Quanto sopra descritto è già più che sufficiente per essersi fatti venire un bel mal di testa. Come avevamo anticipato, non sono argomenti facili né da capire né da spiegare. per non appesantire eccessivamente la discussione rimandiamo il seguito alla seconda parte.
- 1https://www.antoniosocci.com/da-8-anni-vorrebbero-che-benedetto-xvi-dicesse-che-non-e-piu-papa-e-lui-spiega-che-il-suo-si-al-munus-petrino-e-irrevocabile-stavolta-poi-si-e-tolto-anche-un-sasso/
- 2https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/andrea-cionci/30476244/studioso-dinastie-ratzinger-trasse-sistema-antiusurpazione-da-diritto-principi-tedeschi.html
- 3https://tg24.sky.it/mondo/2022/12/18/papa-francesco-firmato-dimissioni-impedimento-medico
- 4https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/andrea-cionci/35251800/sede-impedita-di-benedetto-xvi-cosa-fare-tutto-gia-risolto-da-giovanni-paolo-ii.html
- 5https://www.avvenire.it/papa/pagine/nuovi-cardinali-ad-agosto
- 6https://it.wikipedia.org/wiki/Anna_Katharina_Emmerick
- 7https://it.aleteia.org/2017/03/13/le-false-profezie-di-malachia-e-della-emmerich-sui-due-papi/
- 8https://it.wikipedia.org/wiki/Profezia_di_Malachia#:~:text=La%20Profezia%20di%20Malachia%20(il,alcuni%20antipapi)%20a%20partire%20da
- 9https://www.ducadeitempi.it
- 10https://it.wikipedia.org/wiki/Onofrio_Panvinio
- 11https://it.wikipedia.org/wiki/Congregazione_olivetana#:~:text=La%20Congregazione%20olivetana%20(in%20latino,nome%20la%20sigla%20O.S.B.Oliv.
- 12https://video.repubblica.it/dossier/il-nuovo-papa/prime-parole-del-papa-mi-hanno-scelto-dalla-fine-del-mondo/122231/120716
- 13Apocalisse 3:15-19
- 14https://it.wikipedia.org/wiki/Relatività_ristretta
- 15https://it.wikipedia.org/wiki/Relatività_generale
- 16https://it.wikipedia.org/wiki/Spaziotempo_di_Minkowski