
Il rumore mi sveglia, eppure e’ tutto cosi’ innaturale, mi sento soffocare, resisto all’idea di aprire gli occhi, come se un sesto senso me lo sconsigliasse, in disaccordo con gli altri che volevano ribellarsi contro il freddo e il rumore che si fa via via sempre piu’ forte.
L’acqua mi entra nel naso, devo reagire o soffochero’ in pochi minuti, inizio a percepire i primi sintomi dell’ipotermia mentre riacquisto un minimo di sensibilita’ agli arti superiori, ancora insufficiente ad operare una forza sufficiente ad uscire autonomamente.
“ATTENZIONE, ENERGIA INSUFFICIENTE, SUPPORTO CRIOGENICO DISATTIVATO.”
Con la mano sinistra sento una irregolarita’ metallica all’interno della capsula, cerco di sollevarla, poi di abbassarla, nuovamente di sollevarla e finalmente l’acqua inizia a scendere piu’ velocemente e la capsula finalmente si apre, sono libero, intorpidito, semi incosciente, dolorante e non ricordo nemmeno quanto sono rimasto rinchiuso la dentro, ma sono finalmente libero.
Mi guardo intorno, l’acqua che mi arriva alle caviglie ora e’ tiepida, ma qualcosa non va, mi guardo attorno, cerco di orientarmi, attorno a me una dozzina di capsule simili, tutte piene, tranne una, gli altri sono morti soffocati, tutti quanti.
Degli scaffali con sopra dei vestiti, piegati e disposti orizzontalmente di fronte alle capsule, chiunque li ha messi li, l’ha fatto perche’ li indossassimo una volta usciti, se ci fossimo riusciti.
Indosso la tuta, gli scarponi… e finalmente sento aprire un portone metallico alla mia sinistra.
Un uomo armato e corazzato mi accoglie, senza troppi cerimoniali:
“bene, seguimi, fai in fretta, la struttura e’ compromessa, S377 e’ stato terminato, siamo rimasti soli.”
Compromessa? terminato da CHI? e tu chi sei? non riesco che a farfugliare, la bocca ancora impastata dal brusco risveglio e la convinzione che quell’uomo armato avrebbe potuto terminare anche me senza una parola, se l’avesse voluto, quindi ipotizzo che non mi e’ nemico, non nell’immediato perlomeno.
Dopo pochi passi di fronte a noi si apre un’altro portone, l’armeria, gli scaffali compaiono dalla parete sfiorati dall’uomo che mi accompagna, evidentemente conosce il posto e i suoi segreti.
“Prendi le armi che vuoi, indossa casco, corazza, guanti e raggiungimi al piano superiore, evacuazione e cancellazione in cinque minuti.”
“Signorsi’ signore.” l’unica risposta che riesco ad articolare, sebbene l’ultima che avrei voluto pronunciare.
Scelgo di fretta, una pistola semi automatica, un fucile automatico con torcia e puntamento laser ed infine un’arma da corpo a corpo, una lama di 30 cm con la possibilita’ di attivare un campo elettrico capace di tagliare, bruciare e recidere qualunque cosa.
Ultimata la scelta gli scaffali si richiudono da soli, e la stanza e’ ora illuminata da una persistente luce rossa proveniente dal pavimento, che mi ricorda l’urgenza di uscire da li il prima possibile.
Percorro le scale e noto come il corridoio sia piu’ lungo di quanto poteva essermi sembrato ad una prima occhiata, anche se gli spari che sento sempre piu’ prossimi mi distraggono da ulteriori pensieri, senz’altro meno pertinenti per il mio istinto di sopravvivenza.
Un’impulso nella mia mente mi impone di aggiustare l’impugnatura sul fucile e alzarne la canna di 35 gradi, le pareti lucide riflettono la presenza di almeno due individui a me sconosciuti nell’angolo alla mia destra, sparo verso il soffitto, il dolore nella mia testa cessa e i due intrusi cadono colpiti al collo dai proiettili di rimbalzo.
Presto il sangue inonda il corridoio superiore fino a raggiungere le scale nella direzione da cui provengo.
Altri spari, e finalmente ricompare la prima figura che avevo visto al mio risveglio, dietro di lui almeno una mezza dozzina di corpi senza vita, eppure non sento ne paura ne sorpresa.
Come se sapessi il suo segreto.
“Un tiro di sponda sfruttando le pareti, bentornato S386, gli ostili hanno perimetro e ingresso, dobbiamo forzare l’evacuazione e per farlo dovremmo coprirci a vicenda, loro non sono interessati a noi, non quanto siano interessati a questo posto, abbiamo un minuto e salteranno tutti in area, vediamo di uscire.”
“Chi sono? cosa vogliono? e soprattutto, chi o cosa sei tu?”
L’uomo spara due colpi a terra, dando il colpo di grazia ai due ostili che avevo apparentemente solo ferito ed ignorando completamente le mie domande.
“Niente domande, seguimi, coprimi e non sprecare proiettili.”
Avanzo seguendo quest’uomo, sulla cui corazza scorgo solo un numero, 219, l’ingresso e’ apparentemente tenuto da 3 uomini, mentre altre voci sembrano provenire dall’esterno.
Miro a quello al centro, un colpo alla testa e va giu’, mentre gli altri due vengono falciati da una raffica continua proveniente da 219 prima che potessero reagire e trovare copertura.
Faccio per posizionarmi sull’angolo alla mia destra, ma 219 schizza in avanti, dannazione, abbiamo 30 secondi.
Mi lancio all’inseguimento cercando di piazzare colpi nell’orizzonte buio che mi circonda, le poche sporadiche luci attorno a me mi forniscono il modo di individuare di cui ho bisogno per andare a segno, i rumori e le urla mi indicano che quasi tutti i nostri colpi vanno a segno, mentre i nostri nemici sembrano tutt’altro che precisi, e cessano progressivamente di interessarsi a noi, come se fossimo soltando una scocciatura per costoro.
“CORRI!” la voce dell’uomo che mi ha svegliato torna a farsi sentire, supero finalmente il perimetro delimitato da una modesta recinzione arrugginita con un salto, evidentemente chiunque l’aveva progettato pensava che il modo migliore fosse non destare alcuna attenzione.
L’esplosione concatenata travolge un’area sempre piu’ vasta della precedente, illuminando una vasta area apparentemente arida, deserta e disabitata a vista d’occhio.
“Ci vedranno fin sulla luna cosi, ne arriveranno sicuramente altri, separiamoci, dobbiamo sopravvivere, e io ho una missione da compiere, altre stazioni sono in pericolo mentre parliamo, addio.”
“Aspetta, dimmi almeno chi erano, cosa succede, io…” ora che siamo fuori pericolo dovra’ dirmi qualcosa, cosi tante domande e la certezza che tante sarebbero rimaste prive di una risposta.
“Cercatori, dopo l’ultima guerra e la fine della civilta’ sciacalli e cacciatori di tesori prosperano saccheggiando le vestigia di cio’ che abbiam lasciato loro, ma sono il minore dei problemi, adesso…”
“Quale guerra? quando e’ stato? di che parli?” Provo ad incalzarlo, cercando di estrargli quante piu’ informazioni possibili…
“Ah, giusto, tu eri ibernato… sentirai una piccola scossa poi saprai tutto.” Il tono di voce sembra celare una certa soddisfazione da parte sua.
219 estrae una scheda da un taschino, simile a quelle che un tempo si usavano per pagare i corrieri della realta’ virtuale e la pone davanti ai miei occhi
“Accesso Simon-Corp, S386 condivisione file riguardanti l’ultimo conflitto del genere umano abilitata” e’ l’ultima cosa che sento.
Perdo nuovamente i sensi, una volta risvegliatomi 219 era sparito, neanche potevo sapere in che direzione fosse andato, e il cielo era ancora terribilmente cupo e nero, l’aria pesante, ma ora almeno ne sapevo il perche’:
L’inverno nucleare.