I prezzi del petrolio sono di nuovo in aumento e ora superano i 40 dollari. Ma è ancora troppo poco e tardi per l’industria dello shale oil statunitense, che da mesi e mesi è con le spalle al muro. Lo shale oil americano si vede negare dalle banche i prestiti ed è investito da un’ondata di fallimenti. La recente guerra dei prezzi del petrolio ha piegato tale industria. Il fracking statunitense (industria dell’olio di scisto) non è mai decollato, ora le banche si aspettano il peggio e si rifiutano di concedere prestiti all’industria petrolifera statunitense.
L’accordo storico dell’OPEC sulla riduzione della produzione di petrolio è arrivato troppo tardi. Le compagnie petrolifere e del gas statunitensi, che da tempo stanno pompando la produzione di scisto attraverso i prestiti, non sono più in grado di ottenere nuovi prestiti essenziali per la sopravvivenza. I banchieri statunitensi stanno evitando i colloqui con l’industria dell’olio di scisto. Il numero di pozzi nel paese è sceso a un terzo in un anno.
Citibank, Goldman Sachs, JP Morgan Chase, Morgan Stanley e Wells Fargo hanno annunciato perdite per il secondo trimestre e hanno smesso di fornire denaro a queste compagnie (lo riferisce il Wall Street Journal). Le maggiori banche statunitensi hanno dichiarato che il peggio sta per arrivare e stanno attendendo una ondata di perdite di credito in questo settore, un debito che non può essere ripagato dagli americani e dalle aziende di shale oil. E con la attuale crisi globale quello che non è redditizio – e dove solo il debito aumenta – deve essere tagliato. Hanno in pancia una montagna di prestiti non rimborsabili.
Per molto tempo queste compagnie – quando il petrolio era superiore a 50 dollari al barile – vivevano già di prestiti, con quelli all’epoca pagavano gli interessi sui prestiti, continuavano a fare nuovi fori, a costruire nuovi impianti di stoccaggio e nuovi oleodotti. Ora non è più possibile perché aumenterebbero il debito dal 40 al 54%. Un onere del debito insostenibile che porterà quasi tutte queste aziende a dichiarare fallimento. Ci sarà una grossa ristrutturazione, le grandi aziende ingloberanno quelle in fallimento. I prezzi del petrolio erano crollati all’inizio di marzo quando l’OPEC e la Russia non trovarono un accordo sulle quote di produzione e il mondo fu inondato di petrolio. Una vera guerra dei prezzi del petrolio tra sauditi e russi, ma chi ci ha rimesso è stata l’industria del fracking statunitense.
PAUL C. F. e io avevamo descritto tale scenario e lo avevamo segnalato con molto anticipo. Il covid in USA ha poi ulteriormente aggravato la crisi, è una industria che produce principalmente per il mercato interno. Hanno cercato di conquistare i mercati esteri e Trump ha pure sanzionato violentemente (tramite Pompeo) il Nord Stream 2. Ma nulla da fare.
Chi pagherà poi il disastro ambientale? Chi chiuderà i pozzi di fracking che continueranno a bruciare? Ignoreranno gli USA il gas flaring? Greta e gli ambientalisti gretini conoscono il problema della chiusura di tali pozzi in fallimento?
- https://www.qualenergia.it/articoli/gas-flaring-bruciato-nei-pozzi-petroliferi-torna-ad-aumentare/
- https://deutsch.rt.com/nordamerika/103983-us-schiefer-pionier-chesapeake-energy-bankrott/
- https://www.anti-spiegel.ru/2020/krise-in-der-us-frackingindustrie-pleitewelle-und-die-banken-verweigern-dringend-noetige-kredite/
- https://www.orazero.org/lo-shale-oil-americano-e-una-bomba-ad-orologeria/
- https://www.orazero.org/la-demolizione-controllata-delleconomia/
- https://www.orazero.org/unholy-alliance-of-many-events-il-dietro-le-quinte-del-coronavirus/