Si stava meglio quando si stava peggio!

Quante volte abbiamo sentito questa frase che ogni volta ci appariva come la solita frase fatta, qualunquista, buona per tutte le situazioni e usata spesso a sproposito? Non vi dico quando si parla di politica, non manca mai qualcuno che la pronunci, credendo di dire chissà quale verità, sottolineando come il presente risulti essere sempre peggiore di un passato che assume, alla luce degli avvenimenti attuali, un aspetto decisamente migliore di quanto non ci sembrasse allora. Ma è proprio applicata alla politica che questa frase perde buona parte della propria banalità per assumere le caratteristiche di un motto dalla filosofia spicciola e popolare ma non per questo meno calzante.

L’idea di scrivere questo articolo – oddio, articolo mi sembra eccessivamente pomposo – diciamo piuttosto che l’idea di mettere per iscritto queste riflessioni personali mi è venuta leggendo i post di alcuni utenti, su questo blog e altri, in cui vengono messi a confronto situazioni politiche nazionali e internazionali odierne con quelle di un passato non troppo remoto.

In una serie di post si è parlato di come la situazione internazionale fosse meglio delineata e più bilanciata all’epoca del muro di Berlino, quando esistevano due Germanie e il mondo era diviso in due blocchi granitici e contrapposti, rispetto alla situazione internazionale degli ultimi anni.

In un altro post un utente metteva a confronto la situazione politica attuale, dove il cambio di intenzione di voto nell’elettore è estremamente dinamico e soggetto a “sentimenti” del momento, sentimenti dettati da cose estremamente pratiche, “terra terra” direbbe qualcuno, qualcuno direbbe voto di pancia, da contrapporre al voto ponderato e basato su considerazioni più “alte”, in cui il leader del momento, più abile e pronto a intercettare il sentimento popolare, riesce a primeggiare rispetto a chi propone soluzioni più ponderate e di largo respiro. Una volta, prosegue lo stesso utente, invece il voto era ben delineato tra i due partiti maggiori, la DC e il PCI, e i passaggi dall’uno all’altro erano estremamente rari e questo comportava una situazione politica rigida, in cui le sorprese non erano contemplate.

In un altro post, poi, un altro utente suggeriva che non bisogna disperarsi troppo del consenso popolare che le attuali forze di maggioranza sembrano avere, poichè basta poco tempo per ribaltare tutto. Certo, prosegue il lettore, se si andasse a votare domani il governo giallo-verde ne uscirebbe parecchio rafforzato, ma basta aspettare uno o al massimo due anni per veder finire nella polvere questa maggioranza e i suoi due leader.

La situazione politica italiana ai tempi della cosiddetta prima repubblica – definizione che ho sempre considerato sbagliata e fuorviante, perchè per poter parlare di prima e seconda repubblica è necessario che nel passaggio dall’una all’altra siano state approvate significative riforme costituzionali con conseguenti importanti cambiamenti nella vita politica del paese, cosa che non è mai avvenuta – era davvero bloccata tra due visioni opposte della vita politica, economica e sociale italiana. Da una parte la DC, partito fautore di una visione delle cose di tipo capitalistico e legato agli USA, dall’altra il PCI, partito che portava avanti istanze di carattere socialista e marxista, legato, almeno fino al famoso/famigerato compromesso storico, all’URSS. Impossibile che chi votasse per gli uni passasse poi ai secondi e viceversa, salvo rare eccezioni. Chi votava DC votava per un sistema di tipo occidentale o votava contro l’altro sistema, turandosi il naso, come diceva Montanelli. Chi votava PCI votava un’idea di società socialista o al massimo contro la mala politica democristiana, scivolata nel corso degli anni sempre più verso clientelismi, corruzione e infiltrazioni mafiose. Le conseguenze di una situazione così rigida erano la sicurezza che ad ogni tornata elettorale, la DC si sarebbe confermata il primo partito e quindi avrebbe governato, il PCI il secondo partito e quindi il principale partito di opposizione. Bisognava solo stabilire con che percentuale avrebbe vinto il primo e si sarebbe confermato secondo l’altro. La certezza direi matematica di vittoria alle elezioni della DC causava facilmente la fine anzitempo della legislatura e il ricorso frequente a elezioni anticipate, poichè la possibilità di “brutte sorprese” era estremamente remota.

Ma la situazione italiana, rispetto a quella di qualsiasi altro paese del mondo occidentale sviluppato, era un’anomalia. La vasta partecipazione al voto, intorno al 90% era anomala rispetto a percentuali decisamente più basse di votanti in media, negli altri paesi. La presenza di un Partito Comunista così forte nonchè guida assoluta della sinistra italiana era un unicum in tutto il mondo democratico. I quasi 50 anni consecutivi con lo stesso partito al potere, eccezione fatta per il Giappone, non trovano riscontro in nessun altro paese democratico, dove l’alternanza tra forze politiche al governo era cosa diffusa.

Paradossalmente la situazione politica italiana odierna è più vicina a quelle degli altri paesi occidentali di quanto non fosse allora. In molti paesi assistiamo a partiti che acquisiscono parecchi voti in una tornata elettorale per perderne parecchi in quella successiva. Anche in altri paesi assistiamo alla nascita e al successo di formazioni politiche nuove e non legate a vecchi schemi ideologici.

In Italia la fine delle vecchie ideologie ha liberato l’elettore dalla zavorra del voto ideologico e rigido, rendendolo estremamente variabile e soggetto a cambi di rotta in pochissimo tempo.

Le vecchie ideologie non esistono più, altra frase fatta e spesso abusata, ma che contiene parecchia verità. Basti pensare che gli eredi dei due partiti antagonisti della prima repubblica sono confluiti in un nuovo partito, il PD, forza politica che pur definendosi di sinistra rappresenta oggi il principale partito di centrodestra! Infatti come si potrebbe definire altrimenti un partito che, al governo, ha di fatto eliminato l’articolo 18, ha votato la più dura e penalizzante riforma delle pensioni dell’intero mondo capitalistico, che ha avallato la macelleria sociale operata dal governo Monti, che ha colpito lo stato sociale, ha ridotto gli ammortizzatori sociali?

Già l’esistenza stessa di un partito come il PD lascia gli elettori completamente liberi di votare non secondo un’ideologia precostituita ma in base alle proposte fatte in campagna elettorale e le esigenze del momento di chi si reca a esprimere la propria preferenza sulla scheda. Qualcuno definisce questo nuovo modo di votare come esprimersi con la pancia, come se esprimersi con la testa volesse significare, di contro, votare in maniera “alta” e basata su ragionamenti di alto profilo. Ovviamente sono tutte cazzate, propalate a piene mani da chi non ha più la capacità di rappresentare non dico il popolo ma almeno quegli individui che una volta costituivano il naturale bacino elettorale delle forze cosiddette di sinistra. La perdita di identità soprattutto della sinistra italiana costituisce una sorta di “tana libera tutti” per cui l’elettore si sente libero di cambiare voto tra una tornata elettorale e l’altra senza per questo essere considerato incoerente.

La fluidità della situazione politica attuale costituisce il principale “antidoto” all’instaurazione di una egemonia politica di questo o quel partito per cui i timori da una parte, le speranze dall’altra di vedere la coalizione oggi al governo guidare il paese per anni e anni sono remote. Basta poco perchè tutto si ribalti: la coalizione giallo-verde potrebbe perdere parecchi consensi e il PD tornare a guidare la politica del paese oppure potrebbero nascere nuove formazioni politiche in grado di contendere alle attuali la ribalta nazionale. Tutto però dipende se nuovi leader con nuove idee siano in grado di affermarsi: in fondo Berlusconi è rimasto ai vertici della politica italiana per 18 anni, Prodi per 10. Solo l’avvento dei due Mattei, Renzi e Salvini, ha potuto permettere l’uscita di scena dei due vecchi leader. Ma chi oggi è in grado di ricalcare le orme dei due controversi Mattei? Probabilmente ancora nessuno. Renzi, dopo aver portato il suo PD al 41% nel 2014 ha visto la sua stella tramontare ma, nonostante gli annunci di ritiro dalla politica, è ancora lì e sembra essere il principale leader di quella forza politica una volta conosciuta come centro-sinistra e ora diventata  quello che alcuni direbbero il centro-destra peggiore possibile: politiche di destra economica sommate a tracotanza e arroganza di sinistra. Salvini, che viaggia verso il 34% dei consensi potrebbe però scendere rapidamente ma rimanere il leader di uno schieramento che una volta veniva definito centro-destra mentre oggi rappresenta le istanze dei cosiddetti populisti e/o sovranisti. Rimane l’enigma 5s: il partito sembra preso tra due direzioni opposte, cioè spingere più a sinistra o seguire l’esecutivo verso destra. Potrebbe accadere che una scissione tra le due anime porti alla formazione di due distinti movimenti politici: uno, magari guidato da Di Battista e Fico con l’intenzione di costruire alleanze con le forze a sinistra del parlamento, l’altra, guidato da Di Maio e Toninelli che stringa rapporti più stretti con la Lega di Salvini e magari la destra di Giorgia Meloni.

Il triumvirato mancato

Ma fare previsioni sulla base dell’attuale situazione politica senza tenere conto di possibili nuovi elementi futuri è sempre un azzardo. Ricordo che anni fa, quando la stella di Berlusconi e Prodi sembrava sbiadita, per gioco ipotizzammo sul vecchio Calcydros che la politica italiana potesse essere guidata da una sorta di triunvirato formato da Fini, Casini, Rutelli. Mai previsione fu più sbagliata: Berlusconi e Prodi continuarono a guidare i rispettivi schieramenti politici mentre, con l’eccezione di Casini – si sa, l’erba cattiva non muore mai – Fini e Rutelli ai giardinetti.