Feroci combattimenti con molte vittime civili sono scoppiati in Sudan tra due generali che hanno governato congiuntamente il Paese. Nei media, la questione viene dipinta come una semplice rivalità tra due militari in cerca di potere indiviso. Tuttavia, un fatto che viene vistosamente poco menzionato nei resoconti potrebbe avere un ruolo: La Russia stava per concludere un accordo con il Sudan per stabilire una base navale sulla costa sudanese del Mar Rosso.
Un esempio di molte delle coperture occidentali della situazione in Sudan è una lunga analisi di Chatham House, sponsorizzata dal governo britannico. È stata pubblicata il 28 marzo, circa dieci giorni prima dell’inizio dei combattimenti. Non c’è una sola parola sulla base navale russa concordata, una questione che deve essere di primaria importanza per i governi americano e britannico. Allo stesso modo, praticamente nessuno dei tanti servizi sulla guerra in Sudan che ci vengono serviti in questi giorni menziona questa prospettiva così minacciosa per gli interessi della NATO.
Tuttavia, alcuni notiziari della CNN e altri affermano che il gruppo paramilitare russo Wagner sta sostenendo una delle due parti in conflitto, ovvero il generale Mohammed Hamdan Dagalo, comandante delle forze paramilitari di reazione rapida (RSF). Non è stata fornita alcuna spiegazione.
A febbraio, tuttavia, ABC News ha pubblicato un reportage dal titolo “Sudan military finishes review of Russian Red Sea base deal”. Secondo il rapporto, l’esercito sudanese aveva terminato la revisione dell’accordo con la Russia sulla costruzione di una base navale e lo aveva approvato. Il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato che l’accordo deve ancora essere ratificato dalla legislatura sudanese, ancora da formare, prima di poter entrare in vigore.
Il Sudan aveva originariamente concluso l’accordo che permetteva a Mosca di costruire la base durante il governo dell’ex dittatore Omar Hassan al-Bashir, estromesso dal potere nel 2019. Secondo il rapporto, la Russia avrebbe fornito armi e attrezzature militari al Sudan in cambio del diritto di costruire la base navale. L’accordo avrebbe dovuto durare 25 anni ed essere automaticamente rinnovato per 10 anni alla volta se nessuna delle due parti si fosse opposta.
Questo dà l’impressione che il governo russo avrebbe voluto vedere completata la transizione dal governo militare a quello civile, come previsto da un accordo negoziato dalle Nazioni Unite e da vari Paesi nel dicembre 2022.
Il governo statunitense, d’altra parte, ha chiarito inequivocabilmente di non gradire l’idea di una base navale russa sul Mar Rosso. All’inizio di settembre 2022, ha inviato in Sudan il primo ambasciatore a pieno titolo in 25 anni. Già alla fine dello stesso mese, quest’ultimo ha pubblicamente e senza mezzi termini messo in guardia i generali al potere del Sudan dal permettere alla Russia di stabilire una base navale sulla costa del Mar Rosso. Ha affermato che:
“Se il governo sudanese decide di procedere con la creazione di questa struttura o di rinegoziarla, danneggerà gli interessi del Sudan. (…) Tutti i Paesi hanno il diritto sovrano di decidere con quali altri Paesi vogliono collaborare, ma ovviamente queste decisioni hanno delle conseguenze”.
I media si schierano indirettamente
Il comandante della RSF, il generale Mohammed Hamdan Dagalo, sembra particolarmente preoccupato per le relazioni con la Russia. Nel febbraio 2022 si è recato a Mosca per una settimana di negoziati e, al suo ritorno, ha dichiarato che il suo Paese non ha alcuna obiezione alla creazione di una base russa. Inoltre, mantiene legami più stretti con Etiopia ed Eritrea, i cui governi non sono in buoni rapporti con l’amministrazione statunitense.
Il suo avversario, il capo dell’esercito generale Abdel Fattah al-Burhan, invece, ha stretti legami con l’Egitto, un importante alleato degli Stati Uniti.
Se si leggono le notizie occidentali sulla situazione in Sudan, soprattutto nei media statunitensi, si può dedurre da ciò che viene tralasciato da che parte sta l’Occidente. I servizi che ho letto si concentrano su Dagalo e lasciano poche parole su Burhan, dando l’impressione che Dagalo sia l’attore principale e quindi il principale colpevole di questo conflitto.
Allo stesso tempo, si nota che né gli Stati Uniti né l’Unione Europea condannano chiaramente gli sconsiderati attacchi aerei contro la popolazione civile di Khartoum. I media evitano anche di chiedersi chi stia effettuando i bombardamenti, oppure accennano brevemente e in modo neutrale, come l’ARD-Weltspiegel, al fatto che l’esercito guidato dal generale Burhan sta “usando la sua superiorità nei cieli”. Quando si tratta dell’Ucraina, i responsabili dei bombardamenti sui civili, tra cui molte scuole e ospedali, ricevono parole meno neutrali.
Il retroscena
Gli Stati Uniti hanno inserito il Sudan, insieme alla Corea del Nord, all’Iran e alla Siria, nell’elenco degli Stati sostenitori del terrorismo fino alla fine del 2020, il che ha comportato uno scarso sostegno finanziario da parte di organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, oltre che da parte di altri governi. Dalla secessione del Sudan meridionale, ricco di petrolio, avvenuta nel 2011 con il sostegno degli Stati Uniti, si è verificata una grave carenza cronica di valuta estera.
Nel 2019, dopo mesi di proteste e manifestazioni, un colpo di Stato militare ha prima deposto il dittatore militare Omar al-Bashir e poi strappato alla nuova giunta un governo di transizione moderato e civile-militare, in carica dal settembre 2019. Era guidato da Abdalla Hamdok, un economista di formazione britannica che in precedenza aveva lavorato per le Nazioni Unite. Il ministro delle Finanze Ibrahim Elbadawi era un economista di formazione statunitense che in precedenza aveva lavorato per molti anni per la Banca Mondiale a Washington ed era stato visiting scholar presso il Center for Global Development di Washington.
Diversi governi e organizzazioni e la Banca Mondiale concordarono programmi di sostegno per il Paese. Ma il disgelo si interruppe bruscamente nell’ottobre 2021 con un altro colpo di Stato militare da parte del generale Burhan.
Conclusioni
Poiché abbiamo ricevuto pochissimi resoconti attendibili sul contesto degli eventi in Sudan, non possiamo fare altro che formulare speculazioni istruttive su quali fili siano stati tirati e da chi. Ma una cosa è certa: il ritratto di una lotta di potere interna, largamente indipendente dall’influenza straniera, che ci viene offerto è decisamente sbagliato. Questa regione è troppo importante dal punto di vista geostrategico per questo.
https://norberthaering.de/news/sudans-buergerkrieg/