“La Germania non vuole pagare il nuovo debito dei populisti italiani”. Così Berlino prepara lo scontro

Si va verso un braccio di ferro nei confronti dell’Italia, né più né meno di quanto accadde con la Grecia nel 2015 nei riguardi del governo “populista” di Tsipras: non cedere, non negoziare, non consentire ad un paese membro di condizionare il sistema dell’euro ad egemonia tedesca con il ricatto dell’uscita dall’euro

[L’analisi] “La Germania non vuole pagare il nuovo debito dei populisti italiani”. Così Berlino prepara lo scontro

Mettiamoci l’anima in pace. L’Italia è (non da oggi) un paese a sovranità limitata, in cui persino il recente risultato delle urne – che piaccia o non piaccia aveva chiaramente indicato la volontà degli italiani di voltare pagina rispetto all’esperienza delle ultime legislature – può essere condizionato al gradimento dei mercati e di alcuni partners europei  in particolare. Lo certifica la decisione grave – ben oltre la moral suasion – del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in nome dello spread e delle agenzie di rating si è assunto la responsabilità tutta politica di negare l’assenso sulla nomina del professor Paolo Savona al dicastero del Mef, aprendo una crisi al buio che con il disconoscimento de facto dell’attuale maggioranza parlamentare ben difficilmente potrà evitare il voto in autunno come già anticipato – in modo inedito e irrituale – dallo stesso nuovo premier incaricato Cottarelli.

Ritorno alle urne non metterebbe al sicuro l’Italia

La cosa più paradossale, in questo scenario, è che il ritorno alle urne non solo non metterebbe al sicuro i conti del paese, ma sarebbe un assist formidabile proprio per quelle forze antieuropee ed antisistema che in teoria si sarebbe voluto contrastare.  Si va incontro infatti ad una radicalizzazione di quel clima che lo stesso professor Savona, pochi giorni fa aveva tentato di stemperare, chiarendo per iscritto di essere non contro, ma a favore del completamento dell’Unione europea siglata nei trattati di Maastricht:  “Un’Europa diversa, più forte e più equa”.

Ma la colpa capitale di Savona – che ricordiamo, non è un parvenu antisistema, ma un economista di fama internazionale di scuola bostoniana, già presidente di Bankitalia e ministro della Repubblica sotto il governo dell’europeista Ciampi – sembra essere soprattutto un’altra: quella di aver indicato una via di uscita dal debito basata non più sull’austerity imposta da Berlino, quanto piuttosto sul rilancio della crescita e della competitività con “investimenti e con il rilancio della domanda estera”.  Ed è forse proprio il timore per l’eventuale sforamento del vincolo di bilancio e verso l’ipotesi di una svalutazione competitiva (l’ipotesi dei mini bot già lanciata in verità da Berlusconi in campagna elettorale) ad aver allarmato oltremisura il think – tank tedesco. Non è sfuggito il moltiplicarsi in questi ultimi giorni degli attacchi della stampa estera, in cui il povero Savona è finito addirittura con l’essere additato come l’uomo “che odia la Germania” mentre la compagine sovranista e grillina è diventata “la coalizione del debito”, il cui monito vale per tutta l’Europa: “Il principio di stabilità dell’Ue, per noi non è negoziabile.

Germania non vuole pagare il nuovo debito

La Germania non intende pagare per il nuovo programma del debito in Italia”, ha detto il capogruppo Csu Alexander Dobrindt, interpretando  il sentiment diffuso dell’establishment tedesco e quello del partito di maggioranza relativa stretto fra la perdita di consenso e la crescita delle destre estreme certificata dall’esito dell’ultimo voto tedesco.  L’opinionista Daniel Stelter, sul prestigioso “Manager Magazine”  va persino oltre, affermando che l’euro resta una costruzione che ha aumentato le differenze economiche, invece di promuovere la convergenza, e che non può essere stabilizzato con maggiori trasferimenti tra i paesi. Per Stelter , “Paesi come l’Italia, il Portogallo e la Grecia non hanno alcuna possibilità di restare nell’euro”. Dunque, tanto vale lasciarli andare al loro destino, sembra sottintendere la conclusione del ragionamento. Al di là delle posizioni euroscettiche della Lega e dei Cinquestelle, dunque,  il dibattito su un’ “Europa a due velocità” non è affatto inedito ma anzi, è molto attuale fuori dai confini nazionali e proprio in questi giorni si fa più vivo nell’approssimarsi all’appuntamento di giugno del Consiglio Europeo in cui si parlerà delle riforme strutturali della casa comune europea.  E’ la vecchia idea – teorizzata non già dal professor Savona, ma dal “falco” tedesco Schauble  quasi vent’anni fa – di un’Unione a cerchi concentrici, comprendente un “nucleo duro” di paesi allineati sul fronte economico e su quello dell’integrazione – Francia, Germania, Benelux -, ed un secondo cerchio di paesi a rischio di ritardo- fra cui anche l’Italia – per i quali dovrebbe valutarsi l’uscita dall’Unione Economica e Monetaria al fine di non rallentare il processo di coesione.

Un’idea ripresa quasi specularmente anche dal presidente francese Macron durante il suo discorso alla Sorbona nel settembre dell’anno scorso.  Stanti così le cose, ciò che sorprende, nell’atteggiamento della stampa estera è l’ipocrisia di un conformismo che nasconde qualcosa di più forse, che un pregiudizio di fondo nei confronti dell’Italia. E’ come se si stesse preparando il terreno al consenso, da parte della propria opinione pubblica, verso una politica del braccio di ferro nei confronti di Roma, né più né meno di quanto accadde con Atene nel 2015 nei riguardi del governo “populista” di Tsipras: non cedere, non negoziare, non consentire ad un paese membro di condizionare il sistema dell’euro ad egemonia tedesca con il ricatto dell’uscita dall’euro. Berlino non è disposta a modificare nulla di quel costrutto monetario e finanziario che sembra cucito addosso alle esigenze della “locomotiva d’Europa”. Né tantomeno sembra disposta a modificare le storture del surplus esterno tedesco, puntualmente scaricate sulle spalle dei partners europei che perdono competitività senza ricevere nulla in cambio. Berlino pretende il rispetto degli impegni non ritenendosi però altrettanto vincolata nei confronti dei partners dell’eurozona. Ecco perché le prossime elezioni politiche in Italia rischiano di trasformarsi  di fatto in un pericoloso referendum sull’euro e l’appartenenza all’Unione Europea, finora mai messa in discussione nemmeno nel famoso patto di governo fra Lega e Cinquestelle. Ecco perché il veto ostinato di Mattarella sul nome del professor Savona sembra essere più che altro una vittoria di Pirro, che rimanda ma non risolve il nodo profondo del rapporto fra l’Italia e l’Europa, e quello dell’Europa con il suo “azionista di maggioranza” tedesco.