
Sulla crisi di governo e la fine dell’esperienza della maggioranza giallo-verde se ne è parlato in abbondanza e su tutti i media tradizionali e alternativi. Le teorie fioccano copiose, alcune plausibili, magari più plausibili di altre, molte piuttosto fantasiose. Non mancano i complottismi, i retroscena più o meno ad effetto, e tutto il corollario di teorie che accompagnano fatti in grado di interessare l’opinione pubblica in maniera appassionata.
Con questo post vorrei provare a vedere la cosa da una diversa angolazione, sia per quanto riguarda le modalità con cui questa crisi si è concretizzata, sia per le cause che l’hanno generata.
Che si tratti di una crisi anomala, nelle modalità con cui si è presentata, è sotto gli occhi di tutti.
Salvini, in vacanza al Papeete Beach a Milano Marittimo, annuncia ai media che la partnership con il Movimento 5 Stelle è da ritenersi conclusa e che il governo giallo-verde è al capolinea. Lo fa di punto in bianco, apparentemente senza una causa precisa, visto che pochi giorni prima la Lega aveva incassato il sì da parte dei 5s al decreto sicurezza bis. Se avesse annunciato la crisi all’indomani del voto del gruppo parlamentare europeo grillino alla nomina della Von Der Leyen a commissario europeo, decisivo, avrebbe avuto un suo perchè. Invece è successo tutto dopo un certo tempo. E poi anomala, oltre alla modalità, pure la scelta di farlo in piena estate, a camere chiuse per vacanze estive.
Questo mi fa venire in mente un’altra cosa: formalmente, cioè da un punto di vista strettamente tecnico, la Lega non ha ufficialmente sfiduciato il governo Conte, non c’è stato nessun passaggio parlamentare che abbia sancito ufficialmente la crisi di governo, non c’è stato un voto di sfiducia e non si è dimesso nessun ministro, viceministro o sottosegretario leghista. C’è stata solo una dichiarazione non ufficiale, sia pure pubblicamente, extraparlamentare di Salvini. Sempre tecnicamente però, è stato Conte a rassegnare le dimissioni e sono stati i grillini a dichiarare in parlamento, che l’esperienza di governo con la Lega era finita.
La storia ci insegna che quando un Presidente del Consiglio si dimette di sua “spontanea volontà”, nonostante non ci sia stato alcun voto di sfiducia, ed esistono i numeri per incaricare un altro governo senza passare da elezioni anticipate, il premier dimissionario lascia il posto a un altro soggetto.
E’ successo con D’Alema nel 2000, si dimise e al suo posto ci andò Amato. Enrico Letta si dimise in favore di Renzi e Renzi sostituito da Gentiloni. Anche Berlusconi, dimissionario, fu sostituito da Monti.
In pratica, quando un premier si dimette, può nascere un governo molto diverso, magari sostenuto da una maggioranza diversa, oppure può rimanere sostanzialmente la stessa maggioranza e un governo quasi uguale, nella sua composizione, a quello precedente, sicuramente invece cambia il premier. Riconfermare Conte, con una maggioranza diversa, peraltro, è una grossa anomalia. Il perchè questa volta si sia scelto di riproporre Conte per un governo molto diverso sia come composizione che come forze di maggioranza che lo sostengono, ha generato diverse ipotesi. Io azzardo la mia.
Conte chiaramente, come premier è stato scelto come figura terza, proposta dai grillini e accettata dai leghisti, come garante di un contratto di governo e mediatore tra le figure dei leader dei rispettivi partiti, entrambi vicepremier e ministri di peso. Più che un premier che prende decisioni e guida autentica dell’esecutivo giallo-verde, un mediatore in grado di limare le differenze tra i due schieramenti e stemperare l’esuberanza degli ingombranti capi politici dei due partiti di governo.
Scegliere Conte anche per un governo giallo-rosso non sarà invece una operazione simile a quella vista nel precedente governo, per due motivi: il primo è che il PD pretende che ci sia un solo vicepremier e che sia del Partito Democratico. Il secondo è che Giggino deve essere ridimensionato o addirittura fuori dai giochi. Se l’attuale capo politico del Movimento è “persona non grata” per il PD significa che Conte da figura terza sarà il prossimo vero capo politico del M5s, che il Movimento assumerà caratteristica sempre più di sinistra a danno di quelle prettamente destrorse, pur presenti soprattutto nella base, si legherà più strettamente al PD e che sarà a tutti gli effetti un partito filoeuropeista gradito all’establishment. Un’opera di trasformazione guidata dal PD pronto a fagocitare il M5s e trarre i maggiori profitti possibili da una sua possibile futura implosione.
Sulle cause della crisi, scambiando alcuni pareri con Mitt Dolcino sul suo blog, dove si sostiene con una certa veemenza che l’amministrazione americana non gradisce la figura di Matteo Salvini come politico di punta in Italia e che gradirebbe un governo di centrodestra senza Salvini, magari presieduto da Tremonti, mi sono fatto una idea.
Se una volta caduto il governo si fossero sciolte le camere e indette nuove elezioni, la Lega di Salvini, accreditata già di un 38% di consensi da parte dei sondaggi, avrebbe potuto aspirare a superare il 40%. Con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, in grado di raggiungere e superare il 10% avremmo avuto un polo sovranista di destra detentore della maggioranza assoluta senza l’ausilio degli inaffidabili vecchi compagni di viaggio di Forza Italia. Considerando che un terzo dei seggi parlamentare si elegge col maggioritario uninominale, la compagine Lega-FdI avrebbe avuto in parlamento una maggioranza schiacciante per formare un governo molto compatto, omogeneo e forte. Talmente forte da poter mettere in pratica i propri programmi, costituire una vera e propria spina nel fianco dell’Europa, costruire nella UE un fronte populista-sovranista in grado di competere con i lobbisti filo europeisti, ed essere il più possibile indipendenti dagli USA, magari continuando a portare avanti una collaborazione più stretta con la Russia di Putin e rapporti commerciali proficui con la Cina.
Tutto inaccettabile sia da parte delle forze europeiste filo franco-tedesche, sia da parte dell’amministrazione Trump.
Si parla in questi giorni, di una telefonata tra Salvini e Zingaretti, prima del Papeete Beach, in cui il segretario PD avrebbe assicurato a Salvini che, in caso di crisi di governo, il PD non avrebbe cercato un’alleanza di governo con i 5s, e che avrebbe spinto per le elezioni anticipate. Possibile trappolone per il leader leghista ordito dai suoi nemici con la collaborazione del fratello di Montalbano? Tutto può essere.
E allora Salvini fuori dai giochi, il governo giallo-rosso che cade al primo refolo di venticello, nuove elezioni che potrebbero ancora essere vinte dalla Lega, ma con percentuali molto più basse, quindi bisognosa dell’aiuto dei filoamericani di Berlusconi, un premier, magari come Tremonti, abbastanza autorevole da ricevere il gradimento dell’elettorato di centrodestra, non così carismatico nè così “popolare” da avere una forza tale da renderlo autonomo. In pratica il solito governo debole, claudicante e sempre in procinto di cadere, che quindi ha bisogno degli aiuti tanto del fratellone americano che dei cugini dispettosi dell’Europa. In pratica il governo che abbiamo sempre avuto da 75 anni a questa parte.