L’attentato terroristico al Crocus City Hall, come tutti gli attentati di tale efferatezza, ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale ma in particolar modo quella russa, ovviamente, lasciando degli strascichi che avranno grosse ripercussioni sulla scena geopolitica mondiale. A distanza di settimane le indagini procedono a ritmo serrato e non passa giorno senza che le autorità russe non rivolgano accuse sempre più circostanziate. Sin dal principio, i sospetti si sono indirizzati verso l’Ucraina, che per altro non è nuova a atti di puro terrorismo. Ad esempio, mettere a repentaglio la sicurezza della centrale nucleare di Zaporižžja, col rischio concreto di causare uno spaventoso incidente nucleare, in quale altra maniera potrebbe essere definita se non un deliberato attacco terroristico? Invero è frustrante, per non dire peggio, che la stampa internazionale si ostini ad accusare i russi di tali episodi1, trovando del tutto normale e senza contraddizioni il fatto che questi si siano auto-bombardati una centrale nucleare che è da tempo sotto il loro controllo.
In ogni caso, i russi hanno più volte sottinteso che è l’Ucraina ad essere il vero mandante dell’attentato alla sala concerti. Ma giacché dietro di essa vi sono notoriamente gli Stati Uniti e tutto il blocco NATO, sono questi ultimi i veri destinatari delle accuse del Cremlino. E non sono affatto accuse leggere. Per il ministro degli esteri Lavrov è da considerarsi come “ovvio” il coinvolgimento dell’Ucraina, e di conseguenza dell’occidente collettivo, nell’organizzazione dell’attentato2. Il generale Alexander Bortnikov3, oggi a capo dell’FSB, in pratica l’erede del KGB, non ha dubbi che USA, Regno Unito ed Ucraina siano da incolpare per l’attentato4. Nikolay Patrušev, segretario del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, è stato ancor più perentorio: “La traccia porta ai servizi speciali ucraini. È risaputo che il regime di Kiev non è indipendente ed è pienamente controllato dagli Stati Uniti. Dovremmo anche tenere conto del fatto che l’ISIS, Al-Qaeda e altre organizzazioni terroristiche sono state create da Washington”5.
Occorre convenire che i russi non hanno tutti i torti a fare così forti affermazioni, e non solo perché il regime di Kiev si è macchiato di numerosi crimini; infatti le loro non sono altro che conclusioni cui si può può legittimamente e logicamente giungere dando credito alle parole pronunciate da alcuni dei maggiori protagonisti della scena politica americana di questi ultimi anni. Già Trump nel 2016, nel corso di un suo comizio elettorale, aveva imputato ad Obama la fondazione dell’ISIS, mentre la Clinton ne sarebbe stata la cofondatrice6. Lo stesso Obama non ha nascosto che il Pentagono ha a lungo addestrato i militanti salafiti7. La Clinton arrivò persino a confessare, durante un’audizione al Congresso, che gli stessi terroristi contro cui i soldati americani stavano combattendo in Medio Oriente erano stato in precedenza finanziati proprio da loro8. Né si possono negare i legami stretti tra il governo di Kiev e la soldataglia islamista: già nel 2015 veniva reso noto che miliziani ceceni affiliati all’ISIS erano al fianco dei soldati ucraini nella guerra del Donbass9.
Insomma, non si può certo biasimare la Zakharova quando punta il dito contro gli USA: “Il fatto stesso che nelle prime 24 ore dopo l’attacco, ancor prima che l’incendio fosse domato, gli americani abbiano iniziato a urlare che non si trattava dell’Ucraina, credo, è una prova incriminante. Non posso classificarlo altrimenti; è una prova in sé e per sé. Penso che si siano messi all’angolo, perché non appena hanno iniziato a urlare che si trattava dell’ISIS, tutte quelle persone che lavorano nelle relazioni internazionali, che sono scienziati politici ed esperti, hanno ricordato e ricordato a tutti gli altri cosa è veramente l’ISIS”10. In effetti, come darle torto?
Anzi, i russi stanno ulteriormente alzando il tiro. Proprio in questi giorni, il Ministero della Difesa russo ha comunicato di aver aperto un’indagine penale nei confronti della società ucraina Burisma, i cui funzionari sono accusati di finanziare attraverso canali illegali gruppi terroristici operanti in Russia11. È superfluo ricordare i nomi di coloro che sono legati a questa società; in particolare il nome di colui che, anche se non si sa bene a che titolo, vi ha lungamente lavorato percependo lautissime provvigioni:
Quindi, pare proprio che il cerchio si stia chiudendo. Tutte le strade portano a… Washington. Verrebbe da dire: “il caso è chiuso, vostro onore; la parola passi ora ai giurati”. Tuttavia, permettetemi delle riflessioni. Premetto che si tratta solo di pensieri in libertà. Niente di più. Ma vi sono diversi lati oscuri in tutta questa vicenda che non mi convincono affatto. E ritengo pertanto che sia doveroso soffermarvisi un po’, per quanto ciò che esporrò dovrà essere preso solamente per delle semplici congetture. D’altronde il principio del Rasoio di Occam, che come noto è un enunciato che invita a scegliere la soluzione più semplice tra tutte quelle egualmente valide, porterebbe a pensare che le esternazioni e le accuse da parte dei russi siano più che fondate e sacrosante.
Però, non tutto torna. Pare strano che le cose siano state così lineari. Gli americani, sbigottiti per i continui successi militari che i russi stanno macinando ai danni di un’Ucraina ormai impossibilitata a proseguire ancora a lungo la guerra per mancanza di carne da cannone da mandare al macello, vedendo i propri sogni di una lunga guerra di logoramento ai danni della Russia andare in frantumi, presi da una rabbia cieca e covando un’insaziabile sete di vendetta per un fallimento che appare sempre più prossimo (anche il segretario generale della NATO Stoltenberg lo ha ammesso12), avrebbero voluto impartire ai russi una dura lezione spronando il satellite Ucraina, attraverso i loro soliti maneggi, ad attivare delle cellule terroristiche dormienti, ed avendo così al contempo la possibilità di incolpare dei propri misfatti il terrorismo di matrice islamica.
Ecco, questo è ciò che si è portati a credere che sia successo soprattutto sulla base delle esternazioni delle autorità russe. D’altronde non fa una grinza, no? Il ragionamento fila che è una meraviglia. Qualcuno si sarà anche ricordato che l’attuale capo di Stato Maggiore dell’esercito americano, il generale Mark Milley, si era lasciato andare a parole alquanto minacciose nei confronti dei russi, a nessuno dei quali secondo lui dovrebbe essere lasciata la possibilità di “andare a dormire senza chiedersi se gli verrà tagliata la gola nel cuore della notte”13. E poi, è proprio in questa direzione che stanno conducendo le inchieste che i russi stanno facendo. Quindi, perché dubitare che le cose non siano andate proprio così? Perché dare credito agli americani, quando è ormai risaputo che della loro parola non ci si può fidare? Persino i loro stessi leader hanno confessato i loro legami indiscutibili legami col terrorismo internazionale. Perché dubitare dei russi?
Il fatto è che questa volta, detto in tutta sincerità e a titolo meramente personale, ai russi non credo tanto. Per carità! Non è detto che stiano mentendo, potrebbe essere che ci stiano dicendo solo una parte della verità o che questa possa pure essere maskirovka. In questo caso la loro non sarebbe che un’accorta strategia con la quale – tanto per fare un’ipotesi – celerebbero i loro reali obiettivi sviando l’attenzione generale su elementi secondari.
Facciamo pertanto alcune considerazioni, giusto per riordinare le idee. Premetto subito che non credo verosimile che dietro all’attentato al Crocus City Hall vi siano i maggiori indiziati, per lo meno quelli che tali sono presentati dagli stessi russi, e cioè americani ed ucraini. Mi rendo conto che è un’asserzione paradossale la mia, visto che i fatti emersi nelle ultime settimane a seguito delle investigazioni delle autorità russe paiono smentirmi. E magari succederà che prima o poi dovrò rimangiarmi tutto quanto e fare pubblica ammenda per le castronerie che vado dicendo. In fin dei conti, i terroristi tagiki autori del massacro, allorché sono stati catturati, stavano fuggendo verso l’Ucraina perché era stato loro detto dai loro mandanti di scappare proprio là, dove si sarebbero messi al sicuro. Già questo potrebbe essere considerato una solida prova a sostegno delle accuse mosse dai russi.
Ma già qui vi sono alcune incongruenze, almeno a mio giudizio. Prima di tutto, gli attentatori pensavano veramente di essere in grado di trovare rifugio in Ucraina? Era chiaro che il confine, già blindato di suo per la guerra, sarebbe stato ulteriormente presidiato e che le prime strade che le forze dell’ordine russe avrebbero maggiormente sorvegliato sarebbero state quelle che conducono all’Ucraina. È anche vero che la Russia è talmente grande che è difficile pensare di poter imbastire un qualche piano di fuga. Ma proprio per questo a me viene in mente che sarebbe stato più semplice, forse, organizzare un attentato nei pressi di San Pietroburgo, e non nei dintorni di Mosca, essendo da lì più facilmente raggiungibile il confine con la Finlandia o con gli stati baltici.
E poi, perché reclutare proprio dei tagiki? Non sarebbe stato più semplice organizzare un attentato assoldando un qualche reietto di etnia slava, ucraino o russo che fosse, che avrebbe dato meno nell’occhio al momento della fuga? I servizi segreti ucraini avrebbero potuto facilmente procurarsi un qualche utile idiota da usarsi alla bisogna e da sacrificare al momento opportuno senza dover necessariamente ricorrere a della marmaglia asiatica. Per di più si tenga presente che i tagiki non corrispondono perfettamente all’identikit del classico attentatore suicida dell’ISIS, essendo di etnia iraniana, e non arabi sunniti.
Difatti gli arabi sono più facili da manipolare ai fini di un attentato terroristico, non fosse altro perché tendono sempre a morire quando attentano alla vita dei miscredenti. Una qualità non da poco. Sbandati, tossicodipendenti, ex galeotti che si sono radicalizzati nelle carceri dei paesi occidentali, a volte persino un po’ gai, solitamente dotati di scarsa intelligenza, dediti alla microcriminalità, disoccupati o comunque sottopagati, spesso letteralmente degli scappati di casa, e talvolta con legami più o meno inconsapevoli con individui particolari che, chissà perché, si viene a sapere essere in odore di servizi. Questo è appunto l’identikit del terrorista medio dell’Isis. Questa è la descrizione che si può fare, ad esempio, a proposito di Salah Abdeslam, il terrorista di origine marocchina considerato una delle menti dell’attentato al Bataclan di Parigi14 (in realtà lui non è morto ma è tuttora detenuto in un carcere di massima sicurezza); o a proposito dei fratelli Kouachi, responsabili dell’attentato a Charlie Hebdo; ma anche del tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, autore della strage di Nizza.
Ma proprio il fatto che i quattro tagiki non si siano fatti saltare in aria appare molto strano. Davvero. Eh sì, perché autentica conditio sine qua non perché un attentato possa essere effettivamente attribuito all’ISIS è che i terroristi muoiano mentre lo stanno portando a termine, o facendosi saltare in aria con un cintura esplosiva, o a seguito di una sparatoria con le forze di polizia. Se no, come attentato dell’ISIS non è credibile. Quindi è sempre necessario fare in modo che nel corso degli attentati si creino le condizioni perché i terroristi non ne escano vivi. Non so se mi spiego.
A Mosca evidentemente queste condizioni non potevano esserci. C’era il rischio che i terroristi potessero essere catturati vivi dalle notoriamente ben preparate forze speciali della Federazioni. E così è stato. Proprio questo mi porta a pensare che non sia stato un attacco dell’ISIS. In realtà, questo è effettivamente ciò che i russi ci stanno dicendo: non è corretto incolpare l’ISIS perché la manovalanza sarà stata pure islamica, ma i mandanti no. Il fatto però è che se i mandanti fossero veramente quelli che i russi sottintendono, beh, non credo che avrebbero organizzato il tutto in questa maniera. L’attentato secondo me sarebbe avvenuto con modalità differenti: magari non avrebbero assoldato dei tagiki, ma degli arabi; forse non avrebbero organizzato l’attentato a Mosca, ma a San Pietroburgo; può essere che non avrebbero detto loro di fuggire in direzione dell’Ucraina, ma piuttosto verso un paese baltico; ma soprattutto non avrebbero permesso agli attentatori di non morire.
Ribadisco che le mie sono solo congetture. Però trovo tutto ciò molto strano. Parimenti, è strano che attraverso la propria ambasciata gli Stati Uniti abbiano con largo anticipo preannunciato che un attacco terroristico era imminente, specificando per di più che sarebbe potuto avvenire in una sala concerti15. E pure l’Iran aveva tempestivamente allertato le autorità russe16. È mai possibile che queste non siano corse per tempo ai ripari essendo state preavvertite non solo da coloro che oggi tendono velatamente ad incolpare, ma anche dai fedeli alleati persiani? Alla fine, questo annuncio da parte dell’ambasciata americana sembra piuttosto configurarsi come una presa di distanze. In altre parole, pare quasi che gli americani abbiano voluto dire ai russi: “vi comunichiamo che ci sarà un attentato. Lo sappiamo per certo e ve lo diciamo proprio perché vogliamo che si sappia che noi non c’entriamo nulla. Però non siamo tenuti a dirvi anche dove e quando avverrà perché fondamentalmente sono cazzi vostri. Il nostro l’abbiamo fatto; tanto vi dovevamo”.
E poi, che interesse avrebbero mai avuto gli americani in combutta con gli ucraini ad ordire un tanto sanguinoso ed efferato attentato? Gli ucraini hanno solo da perderci perché era evidente a priori che i russi avrebbero colto l’occasione per intensificare gli attacchi nei loro confronti. Il regime di Kiev può essere effettivamente tacciato di terrorismo, ma il terrorismo di cui si macchia, pur odioso ed esecrabile perché prende di mira inermi civili, è per lo più di altro tipo, più simile a quello di un gangster, ed è essenzialmente finalizzato a dimostrare agli alleati occidentali che, potendo esso colpire la Russia in ogni momento, necessita di incessanti forniture di armi. L’attentato al Crocus City Hall invece, se fosse provato che gli ucraini ne sono stati i mandanti, sarebbe per loro fortemente controproducente perché un crimine tanto vile non può lasciare l’opinione pubblica mondiale indifferente. Diventerebbe assai difficile per Volodymyr Zelens’kyj girare per il mondo elemosinando armamenti17 e contrastare tutte quelle voci che sempre più alte si levano in ogni dove per chiedere la fine dell’assistenza militare al suo paese. Allo stesso tempo, c’è da dubitare fortemente che c’entrino gli americani, per quanto verosimilmente il cosiddetto Deep State con sede a Washington D.C. ci abbia messo lo zampino. Ci manca solo che l’amministrazione Biden, già di per se stessa discreditata per parecchi motivi agli occhi dell’opinione pubblica americana, venga persino tacciata di una cosa del genere!
Quindi? Ammesso e non concesso che americani ed ucraini non c’entrino niente, chi può essere stato? Chi è il colpevole? Chi ci guadagna? Perché la prima domanda da porsi è sempre quella: cui bono? Beh, prima di tutto, bisogna dire che un po’ ci guadagna anche la Russia. Non sto ovviamente sottintendendo che si sia trattata di una false flag. Riconosco che non è questo il modus operandi dei russi, che mantengono una loro lealtà. Tuttavia, cinicamente parlando, occorre ricordare che non tutti i mali vengono per nuocere. La Russia ha così ottenuto una buona scusa non solo per moltiplicare gli attacchi sull’Ucraina, ma soprattutto per poter giustificare la sua eventuale futura cancellazione dalle cartine geografiche, potendo ora presentarla come uno stato canaglia che fomenta il terrorismo islamico (Medvedev è stato molto esplicito al riguardo18). In più, sta ulteriormente montando l’orgoglio patriottico nazionale: mentre in occidente i giovani, sempre più smidollati e debosciati, schifano la vita militare, in Russia al contrario i giovani fanno la fila agli uffici di reclutamento proprio perché desiderosi di vendicare l’attentato19. Da ultimo, bisogna anche segnalare che il fatto che gli attentatori siano tagiki ha dato il là alle pulizie di primavera: la polizia russa realizza di continuo delle retate per individuare immigrati illegali da deportare fuori paese20. Il che non è mai un male, visto che a quanto pare la Russia resta un paese i cui cittadini non hanno piacere a farsi sostituire etnicamente.
Proseguendo nel ragionamento, ritorniamo a chiederci: cui prodest? Per capirci qualcosa di più vorrei rimandare il lettore ad un articolo, invero molto interessante, a firma del sempre sagace Tom Luongo21. Egli prima di tutto ricorda una cosa: Victoria Nuland non si è dimessa dal Dipartimento di Stato americano, ma è stata licenziata. Pare che, malgrado tutto, i vertici militari russi ed americani siano costantemente in contatto tra di loro per concordare la fine delle ostilità in Ucraina, o quanto meno per evitare che la situazione degeneri fino al punto di non ritorno22. Le attività della Nuland al Dipartimento di Stato evidentemente erano di ostacolo a questi colloqui (normale, essendo lei la principale responsabile di Euromaidan). Quindi il suo improvviso licenziamento potrebbe essere interpretato come un’effettiva presa di distanze da parte del governo americano da questo attentato, che sapeva imminente.
La tesi di Luongo è che il massacro sia stato ordito allo scopo di mettere in difficoltà gli USA in un momento in cui si fa sempre più evidente il disimpegno da parte loro nel conflitto in Ucraina. Se Trump vincesse le prossime elezioni (fermo restando che potrebbero saltare per qualsivoglia motivo, non potendosi il Deep State permettere che The Donald governi per un altro mandato), la sorte del regime di Kiev sarebbe segnata. Lo è già, se è per questo, ma indubbiamente la sua fine verrebbe notevolmente accelerata. Ma Luongo fa un’ulteriore precisazione. Sottolinea anche quanto non sia credibile la versione ufficiale circa l’incidente che ha causato il crollo del ponte Francis Scott Key a Baltimora. Secondo lui, si tratterebbe di sabotaggio, o per meglio dire di un deliberato atto di guerra ai danni degli Stati Uniti.
In effetti, per quanto le autorità americane si siano affrettate a dichiarare che è stato un normale seppur tragico incidente molti dubbi permangono. È quanto meno sospetto che solo poche settimane fa Biden avesse emesso un ordine esecutivo con cui ha rafforzato i poteri della Guardia Costiera in fatto di sicurezza informatica all’interno dei porti americani23. Gli esperti già da tempo avevano messo in guardia di come sia facile hackerare una grossa nave portacontainers e portarla così fuori rotta24, trasformandola in una gigantesca arma in grado di causare spaventosi incidenti. Cosa questa che si è puntualmente verificata a Baltimora.
Come ha specificato l’ex consigliere militare di Trump Michael Flynn, il crollo del ponte Francis Scott Key rischia di diventare un “evento da cigno nero” per l’economia statunitense25. Infatti il ponte di Baltimora era una delle infrastrutture più critiche del paese. Era stato appositamente progettato per consentire il traffico di merci quali carburante, diesel, gas propano, azoto, materiali altamente infiammabili, prodotti chimici e carichi di grandi dimensioni non idonei al passaggio nei tunnel. Quella che passava da questo ponte è l’arteria stradale più importante della East Coast per il traffico di questo genere di merci26.
Si consideri inoltre che il porto di Baltimora, oggi ancora in parte bloccato, è di vitale importanza per i traffici marittimi degli Stati Uniti. Si stimano in parecchi miliardi di dollari le perdite che l’economia americana subirà fino a che il ponte non sarà stato completamente ricostruito27. Per la città di Baltimora, tra le più in decadenza del paese, si tratta di un colpo potenzialmente ferale. Inoltre la catena di approvvigionamento degli USA è stata così fortemente minata. Da notare infine che il porto di Baltimora è importante anche per il transito delle navi militari. Proprio a seguito del disastro sono rimaste bloccate al porto due delle otto navi di classe Algol di cui la marina americana è in dotazione: sono le più veloci navi da trasporto a sua disposizione28, e sono navi fondamentali qualora scoppiasse una guerra in Europa o in un altro continente, perché gli americani se ne dovrebbero servire per rifornire il più velocemente possibile gli alleati.
Insomma, se fossero stati proprio gli americani i mandanti della strage al concerto in Russia, bisogna convenire che questa non avrebbe potuto trovare modo migliore di vendicarsi, senza dare troppo nell’occhio, se non distruggendo una delle infrastrutture più strategiche e vitali degli interi Stati Uniti, facendolo comunque passare per un disgraziato incidente. Tuttavia, mi persuade maggiormente un’altra ipotesi, che Luongo espone nel suo articolo. Riportando le sue parole, “o gli Stati Uniti vanno avanti con i loro piani per il futuro o saranno distrutti dall’interno. Questo attacco al ponte Key di Baltimora è un evento da incubo, destinato a fungere da catalizzatore per un collasso dell’economia statunitense, creando il caos durante un anno elettorale”. In poche parole, si sospetta che un terzo attore in campo, qualcuno che evidentemente non è né gli USA né la Russia, abbia interesse a mestare nel torbido, seminando zizzania tra queste due superpotenze, provocandole e mettendole l’una contro l’altra, allo scopo di far in modo che una delle due commetta prima o poi un errore di una tale gravità da far degenerare la guerra in corso in Ucraina nell’occasione propizia per dare il là alla terza guerra mondiale. Personalmente trovo quest’ipotesi molto convincente. Non sarebbe la prima volta nella storia che succede.
E chi mai potrebbe avere questo insano interesse di spingere il mondo sul baratro di un conflitto planetario? Tom Luongo nel suo articolo menziona esplicitamente il Regno Unito. Anzi, secondo lui i britannici dovrebbero essere i primi sospettati. D’altronde, gli inglesi non sono nemici irriducibili solo di noi italiani: da sempre lo sono anche dei russi, come non manca mai di ricordare Medvedev29. Ma Luongo accenna anche all’Europa, succube dei davosiani. È una versione questa molto plausibile. Infatti l’Europa, senza l’appoggio degli USA, non ha alcuna possibilità di sostenere ulteriormente sia dal punto di vista economico sia da quello delle forniture militare l’Ucraina. È quindi normale che l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Borrell metta paura ai cittadini europei rimarcando non solo come “la possibilità di una guerra convenzionale ad alta intensità in Europa non sia più una fantasia”, ma anche come “l’ombrello degli Stati Uniti che ci ha protetto durante la Guerra Fredda e dopo potrebbe non essere sempre aperto”30. In fin dei conti, come si approfondirà più dettagliatamente in seguito, ogni grande guerra ha sempre reso possibile un reset dell’Europa. Il Great Reset dei davosiani può più facilmente realizzarsi a seguito di una grandissima crisi. E che più grande crisi ci può essere di una terza guerra mondiale?
Tuttavia, è bene tenere a mente un altro nome, quello di Israele. Israele sta attraversando un momento di grande difficoltà. La guerra contro Hamas non sta procedendo nella maniera sperata dal governo Netanyahu. Un certo disfattismo sta iniziando a permeare l’opinione pubblica israeliana31. Le manifestazioni di protesta si stanno moltiplicando: a Netanyahu viene chiesto di dimettersi non essendo stato capace di (o non avendo affatto voluto) portare a casa i prigionieri detenuti da Hamas32. Sempre più commentatori incominciano a dire che Israele sta perdendo questa guerra, non tanto sul campo di battaglia dove, malgrado i proclami vittoriosi dei suoi generali, si sa già che le operazioni militari potrebbero continuare ancora a lungo33. No, Israele sta perdendo principalmente un’altra guerra, quella che Trump chiama delle Pubbliche Relazioni34. Se persino uno dei più famosi “padroni del discorso” che operino in Italia, Gad Lerner, in una crisi di coscienza che pare del tutto genuina arriva al punto di definire la posizione di Israele “indifendibile”35, vuol dire che le cose per lo stato ebraico stanno volgendo al peggio. Sempre più si fa largo presso la società israeliana la convinzione che le atrocità di Gaza e la mancanza di volontà da parte del governo Netanyahu di intraprendere un percorso imperniato sulla diplomazia stiano irrimediabilmente minando le basi dell’esistenza stessa dello stato di Israele36. Questo succede perché l’opinione pubblica mondiale è talmente sconvolta da quanto sta vedendo succedere a Gaza ed al contempo talmente disgustata per il modo in cui governi e media, senza alcuna coscienza morale, si stanno prodigando per sminuire la gravità degli eventi e le responsabilità di Israele, che sempre più persone si domandano se un simile stato canaglia possa ancora proclamare di avere il diritto di difendersi e magari di continuare ad esistere.
L’élite del paese, permeata di un’evidente mentalità sabbatiana, potrebbe volersi giocare il tutto e per tutto: “che muoia Sansone con tutti i Filistei”! D’altronde, è risaputo che in Israele certi movimenti religiosi ultra-ortodossi mirano alla ricostruzione del Terzo Tempio. Stanno già allevando delle apposite giovenche rosse per il sacrificio rituale prescritto dalla legge37.
Ma ciò potrà avvenire solo previa distruzione della moschea di Al-Aqsa, considerata il terzo luogo più sacro dell’islam. Se questi movimenti religiosi oltranzisti proseguiranno nei loro propositi di ricostruzione del Tempio, un conflitto su scala mondiale con l’islam diverrà inevitabile. Far sprofondare il mondo intero nel caos potrebbe venire a loro vantaggio. Una guerra generale, una sorta di tutti contro tutti con continui scontri senza quartiere, in cui nostro malgrado ci vedremmo coinvolti noi cristiani, se non sarà funzionale alla sopravvivenza dello stato di Israele sarà forse comunque utile per il raggiungimento dei loro loro folli progetti millenaristici.
A questo punto dell’articolo, è necessario iniziare a dare un senso a tutte le elucubrazioni fin qui fatte. Si ribadisce ancora una volta che quanto sopra esposto sono delle semplici congetture che servono solo da punto di partenza per ulteriori riflessioni. Ci si soffermerà particolarmente sulla Russia, perché – nell’ipotesi, per altro tutta da comprovare, in cui le responsabilità di USA ed Ucraina per l’attentato al Crocus City Hall si rivelino assai limitate – bisogna però chiarire perché i russi siano partiti lancia in resta nel lanciare nei loro confronti accuse così pesanti. Infatti non si può trascurare che queste stesse accuse, nell’attuale contesto di tensioni crescenti sullo scacchiere internazionale, assumo una valenza particolare poiché potrebbero essere interpretate come una vera e propria dichiarazione di guerra. Se fosse inequivocabilmente dimostrata la colpevolezza degli americani, ciò fornirebbe alla Russia un perfetto casus belli per dare inizio ad una guerra contro di loro. Una escalation sarebbe inevitabile e la probabilità che un tale conflitto faccia sprofondare il mondo intero nella terza guerra mondiale, combattuta con armi atomiche, diventerebbe certezza. Ma, per l’appunto, questo alzare i toni non è tipico dei russi, per lo meno non lo è mai stato di Putin. Da quando è al potere, Vladimir Vladimirovič si è sempre piuttosto contraddistinto per il suo eccesso di cautela ed ha sempre fatto di tutto per stemperare le tensioni, ingoiando nel contempo non pochi rospi.
Vale pur sempre una massima di Napoleone: “non interrompere mai un nemico che sta facendo un errore”. Indubbiamente gli USA in questo momento ne stanno commettendo a bizzeffe. A titolo di esempio, si tenga presente di come il sequestro dei beni russi detenuti all’estero sia diventato uno dei tanti fattori che stanno oggi accelerando su scala mondiale il processo di de-dollarizzazione. Il portavoce del Cremlino Peskov ha ricordato come queste confische vadano nella direzione della “distruzione dei fondamenti giuridici del diritto europeo e del diritto internazionale”38. Questo non solo è vero ma sta enormemente danneggiando l’economia americana poiché questa palese mancanza di rispetto per le regole accettate a livello internazionale ha indotto molti investitori, timorosi che basti un’accusa di russofilia per vedersi sequestrare i propri averi, a dirottare i propri investimenti non più verso gli USA e i paesi occidentali, in cui si è perso la fiducia, ma verso altre forme di investimento. Ciò è una delle principali cause delle difficoltà crescenti che stanno incontrando sui mercati finanziari i treasury bonds americani39.
Queste difficoltà non possono che portare ad una prima, grave conseguenza: un aumento vertiginoso del debito pubblico americano. Il grafico seguente esprime in maniera più che eloquente quanto in America la situazione del debito, sia quello pubblico sia quello privato, abbia ormai raggiunto livelli a dir poco drammatici:
Un ulteriore fattore da tenere in considerazione è ciò che succederà in Giappone, che è il maggior detentore al mondo di treasury bonds americani:
Attualmente lo yen non gode di buona salute, per via del fatto che la Bank of Japan non solo di recente ha aumentato i tassi di interesse, ponendo fine ad un lungo periodo in cui sono stati addirittura negativi40, ma ha anche dovuto negli anni stampare moneta come se non ci fosse un domani proprio allo scopo di poter acquistare questi bond:
Questa per gli USA potrebbe rivelarsi non una buona notizia. Uno yen alquanto svalutato è stato sempre funzionale all’economia giapponese che ha così potuto incrementare le esportazioni delle sue grandi industrie. Ma quest’ultimo deprezzamento rischia di avere serie ripercussioni sulla bilancia dei pagamenti e sul tenore di vita dei cittadini, essendo nel frattempo le importazioni venute a costare molto più che in precedenza. Pertanto potrebbe presto capitare che la Bank of Japan, allo scopo di conseguire una rivalutazione dello yen, si veda costretta a vendere in maniera massiccia una buona parte degli investimenti da essa detenuti in dollari americani41. Venendo i mercati letteralmente inondati di treasury bonds statunitensi, il Tesoro americano potrebbe a sua volta vedersi costretto – per di più proprio adesso che ha deciso di collocarne sul mercato un quantitativo maggiore del solito42 – a riconoscere agli acquirenti dei tassi più elevati in modo da incentivarli all’investimento.
E tutto questo potrebbe accadere in un momento in cui non solo i paesi BRICS stanno compiendo grossi sforzi per diminuire considerevolmente gli scambi tra di loro in valuta americana43, fino al punto di ricorrere a forme di baratto non dissimili da quelle che sotto la guida di Hjalmar Schacht consentirono alla Germania nazista di risollevare la propria economia44; peggio ancora per l’America, lo stesso petroldollaro, che per cinquant’anni è stato il fondamento della sua supremazia politica, economica e militare, pare avviarsi inesorabilmente verso il viale tramonto, dal momento che i paesi arabi esportatori di petrolio si sono già attivati per vendere l’oro nero in altre valute che non siano i dollari americani45.
“La perdita di fiducia nei titoli del Tesoro americano porterà inevitabilmente all’erosione del dollaro e diventerà un punto di svolta: gli Stati Uniti non solo perderanno l’accesso a finanziamenti a basso costo, il che priverà l’economia americana dell’opportunità di svilupparsi, ma perderanno anche il potere globale, il prestigio e l’influenza nel mondo. Tutto ciò nel suo insieme significherà solo una cosa: il collasso dell’economia americana”. Questa è la conclusione a cui è giunto uno studio di Bloomberg Economics, che ha eseguito un milione di simulazioni di previsione sulle prospettive del debito degli Stati Uniti46. Ciò che vi si dice è una condanna: si stima pari all’88% la possibilità che il debito pubblico americano diventi insostenibile nei prossimi anni, e cioè che l’America faccia default. questa è la fine dell’impero che si avvicina. Non a caso oro e argento continuano la propria inarrestabile crescita, segno inequivocabile che qualcosa di molto grosso sta bollendo in pentola:
Stante quanto appena esposto, si deve concordare col noto hacker ed imprenditore tedesco Kim Dotcom che fa notare come tutto questo si configuri come la fine dell’impero che si avvicina47. Ma proprio per questo motivo, proprio perché l’impero sembra ormai destinato a collassare a breve dal punto di vista finanziario, sociale, politico e militare, perché oggi il Cremlino sente la necessità di affrettare i tempi accusando più o meno apertamente gli americani di essere i veri mandanti dell’orribile attentato?
Come abbiamo detto in precedenza, questa non è mai stata la politica di Putin che ha sempre preferito prendere tempo anziché arrivare allo scontro diretto. In questa maniera si è spesso attirato non poche critiche in patria per via della sua apparente arrendevolezza di fronte alla tracotanza occidentale. Lo ha fatto sicuramente per motivi di opportunità, anche se spesso ciò non è apparso chiaro. Ma sono state le sue scelte del tutto razionali, ponderate e soppesate. Quando ha rotto gli indugi, come nel caso dell’annessione della Crimea, è perché non ha potuto fare altrimenti. Se no ha scelto sempre la strada del temporeggiatore. Oggi, per l’ennesima volta, malgrado la guerra in corso, la gravità dell’evento e la commozione sorta nell’opinione pubblica russa, potrebbe avere sia l’interesse sia l’opportunità di tergiversare, anche se significa ingoiare un altro boccone amaro. Ma che fretta c’è dopotutto considerando che l’impero è agli sgoccioli? Si tratterebbe solo di resistere alla tentazione rispondere per le rime alle provocazioni del nemico, di non covare vendetta e di pazientare quanto basta, alla maniera di Confucio, in attesa di vedere il suo cadavere passare nel fiume.
Invece è ben strano tutto ciò. Non è sospetta la fretta con cui gli USA hanno scaricato le responsabilità dell’attentato sull’ISIS, quanto al contrario quella con cui i russi hanno sottinteso che siano stati proprio gli americani. Può essere, come già si anticipava all’inizio del presente articolo, che si tratti una deliberata strategia: maskirovka appunto. Segretamente si stanno perseguendo obiettivi precisi e per il momento si preferisce nasconderli. Quindi, accusare gli ucraini e pertanto gli americani di essere dietro all’attentato – anche se poi magari si scoprirà che le cose sono andate veramente così – potrebbe essere il classico specchietto per le allodole. D’altro canto, alcuni risultati concreti sono già stati raggiunti. Il mondo intero, forse per la prima volta, si sta interrogando.
Questo periodo così turbolento e gravido di tragicità sta suscitando in tutti noi non pochi turbamenti ed emozioni contrastanti. Ma questo, quanto meno, ci sta finalmente portando a porci delle domande che altrimenti non ci saremmo mai fatti. Che cosa è per davvero il terrorismo di matrice islamica?
Chi c’è realmente dietro di esso?
Si tratta veramente di fanatismo religioso oppure vi è qualcuno che, agendo nell’ombra, lo strumentalizza per fini inconfessabili?
L’Unione Europea è ancora credibile e difendibile?
È stata realmente essa ad averci portato la pace e la prosperità dopo la fine della seconda guerra mondiale?
È oggi così indispensabile proseguire nell’integrazione europea?
È sul serio necessario che gli stati nazionali, perdendo la propria sovranità, confluiscano negli Stati Uniti d’Europa?
Siamo sicuri che tutto ciò sia imprescindibile per il prosieguo della pace?
Eppure oggi i più ferventi politici europeisti ci stanno dicendo esattamente il contrario! Che dobbiamo prepararci alla guerra! Lo dobbiamo fare per difendere i nostri valori messi in pericolo da Putin, il boia.
Ed Israele? Siamo realmente tenuti a prendere le difese dell’unica democrazia in Medio Oriente solo si spaccia per una democrazia?
Ma non sta agendo come tale! Non rispetta i diritti dei palestinesi. Anzi, li sta proprio massacrando! E per di più lo fa in una maniera tale che loro stessi sembrano nazisti!
Come è possibile? Loro che così tanto hanno sofferto, perché non capiscono quanto a loro volta stiano facendo male ad altri? Dovrebbero essere i primi a rigettare una tale malvagità. Perché? Perché noi dobbiamo portare i sensi di colpa per tutto ciò che è loro capitato quando sono essi stessi i primi a non provarne per ciò che oggi stanno facendo? Che senso ha tutto questo?
E la democrazia? Può una democrazia provocare simili atrocità?
Può una democrazia essere considerata la più perfetta forma di governo quando consente queste bestialità?
Perché i nostri governanti, che ci spronano a difendere anche a costo di una guerra, i nostri cosiddetti valori democratici, tacciono di fronte a tutto questo?
Perché ignorano le disperate richieste d’aiuto che provengono da terre tanto martoriate?
Ma poi, perché dobbiamo andare in guerra contro la Russia?
Come è possibile che ci venga presentato come necessario lo scontro con la Russia quando nessuno tra di noi, se non qualche decerebrato, la percepisce come una minaccia?
Ma non conta nulla la tanto sbandierata volontà popolare? Dove è finita?
A cosa serve votare se chiunque poi salga al potere non fa mai quello che il popolo vuole?
Ma a che cosa si è ridotta in definitiva la democrazia?
Può essere ancora chiamata tale quella in cui noi viviamo?
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